Minori “affidati” a coppie omosessuali: il punto della ricerca
di Paolo Gandolfo e Maria Tantaro,
Sta facendo discutere il provvedimento, emesso dal Tribunale per i Minorenni di Palermo, circa l’affidamento di un ragazzo di 17 anni ad una coppia omosessuale. Il caso accaduto a Palermo, tuttavia, non è il primo. Lo scorso Novembre il Tribunale per i Minorenni di Genova aveva disposto l’affidamento di una minore di 5 anni ad una coppia di lesbiche. Il Tribunale per i Minorenni di Bologna, nello stesso periodo, affidava una bambina di 3 anni ad una coppia di uomini[1]. La questione oggi interessa tutti: sia l’opinione pubblica, sempre più interpellata dalle istanze provenienti dall’associazionismo gay, sia gli operatori sociali e sanitari che a vario titolo operano nell’ambito dell’infanzia e dell’adolescenza.
Un approfondimento, pertanto, sembra indispensabile.
L’intervento giurisprudenziale più significativo è la sentenza n. 601 dell’11 Gennaio 2013 della prima sezione civile della Cassazione. La Corte ha ritenuto legittimo l’affidamento esclusivo alla madre, ex tossicodipendente convivente con una ex educatrice della comunità di recupero in cui era stata ospitata, rispetto al padre responsabile di aver aggredito in una occasione la predetta educatrice alla presenza del figlio. La Corte, nel caso in questione, ha sostenuto che si tratta di un “mero pregiudizio” affermare che sia “dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”, in quanto “non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza”. In molti hanno visto nella sentenza di legittimità la prima apertura in Italia all’adozione da parte di persone dello stesso sesso.
Poca conoscenza o poca considerazione da parte dei giudici circa la consistente mole di dati scientifici prodotti fino a oggi e contrari alla loro posizione?
Il quadro generale
Diversi enti scientifici internazionali si sono opposti all’adozione di figli da parte di coppie omosessuali, mentre, altri hanno assunto una posizione favorevole, altri ancora neutrale. Fra le favorevoli, la più autorevole è l’American Psychological Association (APA), ente che ha una notevole influenza sulla comunità scientifica internazionale, infatti, nel 2004 e 2005 ha preso posizione sulla questione con un comunicato circa la “no differences” (“nessuna differenza”) tra figli di coppie omosessuali ed eterosessuali. Tuttavia l’“APA” è al centro di aspre polemiche per la sua posizione ritenuta “sospetta” da parte dei suoi stessi associati. N. Cummings, ex presidente “APA”, professore di Psicologia presso l’Università del Nevada ha così affermato: “l’APA ha permesso che la correttezza politica trionfasse sulla scienza, sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale[2]”. Tra l’altro l’“APA” è stata criticata per aver delegato i pronunciamenti ufficiali circa l’omosessualità a Charlotte Patterson, ricercatrice, lesbica, convivente e attivista LGBT (acronimo riferito a Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), al centro di controversie giudiziarie che hanno visto il Tribunale della Florida escludere i risultati di alcune sue ricerche per “mancanza di imparzialità, osservabile nei gravi difetti di campionamento” (1997, June Amer, Petitioner v Floyd P. Johnson, p. 11).[3]
Proprio sulla posizione dell’ “APA”, il Prof. Loren Marks (2012) sociologo della Louisiana State University ha pubblicato un importante studio sulla prestigiosa rivista “Social Science Research”.[4] La ricerca ha analizzato i 59 studi citati dall’“APA” per sostenere la propria tesi di “no differences”, dimostrando che essi mancano di campionamento omogeneo, di gruppi di confronto, inadeguatezza del gruppo di confronto, presenza di dati contraddittori, portata limitata degli esiti dei bambini studiati, scarsità di dati sul lungo termine e mancanza di potenza statistica. La conclusione, afferma il Prof. Loren Marks, è che “le forti affermazioni dell’“APA” non sono empiricamente giustificate”.
Va notato, d’altra parte, che un’ampia letteratura scientifica[5] ha significativamente provato che i minori cresciuti in un ambiente omosessuale presentano notevoli differenze rispetto ai coetanei cresciuti in una famiglia eterosessuale.
Lo studio del Prof. Regnerus
Tra i più autorevoli studi che hanno mostrato un notevole svantaggio per i minori cresciuti con genitori che hanno avuto relazioni omosessuali va citata la ricerca comparsa sulla rivista “Social Science Research” a cura di Mark Regnerus[6] professore di sociologia dell’ Università di Austin (Texas of University).
Lo studio, come ha affermato il prof. Loren Marks[7], “è il più serio e condotto con i più rigidi criteri scientifici”, ha destato grande interesse presso scienziati e gente comune, media in testa, non solo statunitensi, ma anche internazionali.
La ricerca vanta di un impianto metodologico inedito quantitativamente e qualitativamente, sia perché si basa sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale (200 minori, oramai adulti cresciuti con un genitore che ha avuto almeno una relazione omosessuale), sia perché per la prima volta fa parlare direttamente i “figli” (ormai cresciuti, 18-39 anni).
I dati: il 12% pensa al suicidio (contro il 5% dei figli di coppie etero), sono più propensi al tradimento (40% contro il 13%), sono più spesso disoccupati (28% contro l’8%), ricorrono più facilmente alla psicoterapia (19% contro l’8%), sono più spesso seguiti dall’assistenza sociale rispetto ai coetanei cresciuti da coppie eterosessuali sposate. Nel 25% dei casi hanno contratto una patologia trasmissibile sessualmente (contro l’8%), sono genericamentemeno sani, più poveri, più inclini al fumo e alla criminalità. Il 23% di chi è cresciuto con una madre lesbica ha dichiarato di essere stato palpeggiato, contro il 2% degli altri giovani. Inoltre, il 31% di quelli cresciuti con una madre lesbica e il 25% di quelli cresciuti con un padre gay sono stati abusati sessualmente e costretti al sesso forzato, contro l’8% di quelli cresciuti da genitori biologici. Hanno più probabilità (40% contro 13%) di essere infedeli al partner, di fare un maggior uso di marijuana, di ore davanti alla televisione, maggior numero di arresti, maggior numero di relazioni e partner sessuali. E solo il 61% di quelli con madre lesbica e il 71% di quelli con padre gay si definisce eterosessuale, contro il 90% di chi è cresciuto con genitori eterosessuali.
Le Reazioni allo studio
Prevedibile è stato il coro di proteste dell’associazionismo gay che ha visto la difesa dello studio da parte dell’Università del Texas[8] (sulle procedure scientifiche di ricerca), della rivista Social Science Research[9] (sulla legittimità delle procedure di pubblicazione) ed infine di un comitato di scienziati e ricercatori con un comunicato comparso sul sito della Baylor University[10] (sul merito dei risultati e la coerenza con analoghe ricerche).
Il limite della ricerca del Regnerus è che i dati rilevati si riferiscono ai soli genitori che hanno avuto almeno una relazione omosessuale. L’autore non ricava ulteriori dettagli quali la durata e le caratteristiche delle predette relazioni. Sarà compito delle future ricerche definire con maggiore precisione in quali situazioni il disagio e lo svantaggio per i minori sia maggiore o minore.
Va in ultimo evidenziato che le risultanze dello studio di Regnerus sono sovrapponibili a quelle di altre ricerche (vedi nota n.5) ed in particolare con la ricerca di Daniel Potter pubblicata dal Journal of Marriage and Family (2012). Lo studioso ha attribuito le differenze riscontrate tra i minori cresciuti con genitori eterosessuali e i coetanei provenienti da nuclei omosessuali ai più alti livelli di instabilità familiare che insistono in quest’ultimi.
Altre ricerche
Continuando il nostro approfondimento, nella direzione che indispensabili ed essenziali alla crescita di un figlio sono la stabilità e l’esclusività della relazione di coppia, diversi studiosi hanno verificato che questi stessi elementi sono deficitari nelle relazioni omosessuali.
I dati:
Le “relazioni fisse” omosessuali non sono paragonabili a quelle eterosessuali né per durata né per esclusività. Una coppia eterosessuale viene considerata “duratura” se raggiunge almeno venticinque anni di convivenza, una coppia omosessuale, invece, viene considerata “duratura” se si protrae almeno per cinque anni. Un terzo delle coppie omosessuali conviventi, infatti, sta insieme meno di due anni, un terzo tra i due e i cinque anni e l’ultimo terzo più di cinque anni.[11]
Lo stesso discorso vale per l’esclusività della coppia. Secondo i ricercatori, più della metà degli uomini con tendenze omosessuali, in coppia da almeno un anno, sostiene di aver avuto almeno un altro partner nel corso dell’anno (con punte del 66% per gli appartenenti alla borghesia e alla piccola borghesia); più di un terzo degli uomini dichiara di aver avuto come minimo quattro partner nel corso dell’ultimo anno[12].
Come si evince dalla stessa ricerca (Barbagli et al 2007), il numero delle relazioni extra coppia cresce con l’aumentare della durata dell’unione, cosa che porta gli autori ad affermare che “è probabile che la stabilità dell’unione sia tanto maggiore quanto più la coppia è aperta”, ossia: stabilità e fedeltà, nelle coppie omosessuali, sono inversamente proporzionali.[13]
Alla stessa conclusione sono arrivati due ricercatori statunitensi, Mcwhirter e A. Mattison (si tratta di due ricercatori omosessuali), che hanno condotto un’indagine sulle coppie omosessuali negli Stati Uniti. Secondo i due autori solo sette coppie (sulle 156 del campione) hanno una relazione sessuale totalmente esclusiva e dalla durata inferiore a cinque anni. In altri termini, tutte le coppie con una relazione che dura più di cinque anni hanno fatto loro un accordo che prevede attività sessuali al di fuori della relazione.[14] Analoghe ricerche europee ed americane confermano i suddetti dati.[15]
Altri studi, inoltre, hanno rilevato il considerevole numero di partner che in media nel corso della propria vita ha un omosessuale (maggiore di 100) anche all’interno di una c.d. “relazione impegnata” [16].
Nella stessa direzione va un recente documento pubblicato dall’American College of Pediatricians (2013) dal titolo “Homosexual Parenting: Is It Time For Change?” (“Genitori omosessuali: è tempo di cambiare?”).[17] Il documento, che cita le più rilevanti ricerche scientifiche sul tema, evidenzia i rischi nell’infanzia, legati allo stile di vita omosessuale dei genitori. Si rileva che la violenza tra partner dello stesso sesso è due/tre volte superiore che tra le coppie eterosessuali.[18] Le coppie dello stesso sesso sono significativamente più soggette a scioglimento della relazione rispetto alle coppie eterosessuali, con una media di durata del rapporto da due a tre anni[19] (1,5 anni secondo la ricerca di M. Xiridou 2003), uomini e donne omosessuali hanno numerosi partner sessuali anche all’interno di relazioni stabili,[20] individui che praticano una stile di vita omosessuale hanno più probabilità degli eterosessuali di avere una malattia mentale,[21] di abusare di sostanze,[22] di avere tendenze suicide,[23] e una durata di vita più breve[24]. Concludono gli autori che, nonostante alcuni sostengono che queste disfunzioni sono il risultato di pressioni sociali in America, le stesse disfunzioni esistono a livelli elevati tra gli omosessuali nelle culture dove sono più ampiamente accettati.[25]
In ultimo, ma non per importanza, va notato che uno degli elementi fondanti della relazione genitoriale è la complementarietà dei ruoli di madre e padre (assente nelle relazioni omosessuali), che permette al figlio di crescere con un sano equilibrio psico-fisico. In numerosi studi[26] si è visto che proprio la mancanza di una delle due figure genitoriali, è all’origine di notevoli disturbi e disagi nella prole.
In questa direzione, dalle pagine del Corriere della Sera, il giornalista ateo Galli della Loggia, nella critica laica alle unioni gay e alla genitorialità gay, chiama in causa gli psicanalisti affinché rispondano al dibattito secondo scienza. All’editoriale risponde la psicologa italiana, Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia Dinamica presso l’Università di Pavia. La docente ha ricordato che: “Sigmund Freud definisce l’Edipo come “l’architrave dell’inconscio”, cioè il triangolo che connette padre, madre e figlio e il gioco di queste parti aiutano il figlio a prendere il posto che gli compete nella geometria della famiglia”.
Inoltre “l’identità sessuale si afferma, non in astratto, ma attraverso una “messa in situazione” dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori”. S. Vegetti Finzi conclude dichiarando: “che non è irrilevante che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale[27]”.
Conclusioni
Se la ricerca è solo all’inizio e deve, pertanto, continuare ad analizzare la realtà dei minori cresciuti con genitori omosessuali, la storia umana è plurimillenaria e vede il minore crescere armoniosamente con la figura materna e paterna che lo generano o in loro assenza con due figure genitoriali (maschile e femminile) complementari.
Pertanto, la comunità professionale e scientifica, nonché la stessa società, hanno il dovere di rimanere saldamente ancorate alla verità antropologica sull’uomo, alla sua storia, alle risultanze delle ricerche scientifiche non svincolate da un paradigma etico che dà senso all’agire umano.
“L’instabilità, la vulnerabilità alla malattia e la violenza domestica che prevalgono nelle relazioni omosessuali rispetto a quelle eterosessuali, normalmente renderebbero inadatti tali ambienti a garantire la custodia dei bambini. Tuttavia, nell’attuale clima culturale che preme per legittimare la pratica dell’omosessualità in ogni area possibile della vita, tali considerazioni sono spesso ignorate[28]” così conclude Costanza Stagetti il proprio saggio sulla letteratura scientifica in materia di omosessualità e genitorialità.
Dello stesso orientamento, lo psichiatra Italo Carta, già docente di Clinica Psichiatrica presso l’Università degli Studi di Milano, direttore della scuola di specializzazione in Psichiatria alla Bicocca, che, così come molti altri studiosi Italiani[29] dichiara: “ritengo che le coppie di omosessuali e quelle di lesbiche che non solo adottano un bambino, ma si fanno ingravidare e inseminare preparino un grave rischio di patologie per la prole”. Ovvero “depressioni, disturbi della personalità e dell’identità, borderline, persone che non sanno più chi sono[…], collasso della funzione simbolica paterna” se si va in questa direzione “vedo che la società corre dei grossi rischi”[30].
In ultimo, non va taciuto il rischio oggetto della durissima requisitoria del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna che, nell’impugnare il provvedimento di affidamento della bimba di 3 anni ad una coppia di uomini omosessuali, ha stigmatizzato l’agire degli operatori sociali come “frutto di una vera e propria sperimentazione socio-giuridica più che frutto di una ordinaria prassi[31]”.
Concludiamo questa breve disamina con la parole del filosofo inglese Gilbert K. Chesterton (1874-1936) riferite al tempo che lesto vedeva avvicinarsi: “La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. […] Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”.
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