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Chiesa, persecuzioni ed omosessualita'

Ultimo Aggiornamento: 29/11/2007 00:20
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Utente Senior
21/06/2007 15:00

guarda non sono daccordo.
Prima di tutto perche' la Bibbia e' stata manipolata e non e' cio' che ha detto Dio...
La chiesa troppo spesso si pone come parola di Dio quando in realta' fa tutt'altro..
Ad esempio (e' un esempio stupido ok ma rende l'idea) il papa parla della miseria nel mondo, della fame e delle malattie.. ma porta anelli d'oro colossali e veste PRADA!!! bello schiaffo alla miseria... il vecchio pontefice vestiva da un sarto normale romano... non PRADA!
Se io sono omosessuale poco importa, poiche' DEVO avere gli stessi diritti di potermi sposare, a prescindere da chi voglio sposare. La chiesa non riconoscera' la mia unione ok, (e sticazzi :P) ma lo stato DEVE. In quanto ci sono milioni di matrimoni non cristiani... la chiesa non puo' nascondersi dietro il fatto di volere un uomo ed una donna perche' devono procreare... perche' allora se ci sono coppie sterili che facciamo ? poveracci non possono avere figli allora gli togliamo i diritti ?
La posizione della chiesa non ha senso (dico di volersi imporre a tutti i costi nelle leggi del nostro stato)
Riguardo all'emancipazione femminile e' la stessa e identica cosa. All'epoca i maschietti (parte di essi) non volevano credere che spettassero diritti al popolo femminile... eppure sono stati raggiunti traguardi importanti no ?
Purtroppo la chiesa discrimina e continuera' a farlo. Ammettiamo che potrei anche capirne il motivo, ma non deve intromettersi in campo giuridico. in quanto la famiglia puo' essere composta anche da un solo individuo.

Tanto per dimostrare che la nostra costituzione e' gia' pronta per i matrimoni omosessuali (o quasi) riporto questo interessante smembramento comma per comma (ci sono due omosessuali che stanno ricorrendo in tribunale, fino ad arrivare al tribunale costituzionale e secondo gli avvocati dimostreranno cose molto belle per il mondo omosex ;P )

L’articolo 2 del d. P.R. n. 136 del 31 gennaio 1958 definisce famiglia anagrafica “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune, che normalmente provvedono al soddisfacimento dei loro bisogni mediante la messa in comune di tutto o parte del reddito di lavoro o patrimoniale da esse percepito .”



L’articolo 4 del d. P.R. n.223 del 30 maggio 1989 dice: “Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. Una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona.”



Pertanto, se l’articolo 29 della Costituzione dice “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare” si può evincere che il matrimonio può dunque, di fatto, essere estendibile anche a una famiglia omosessuale, composta cioè da due persone dello stesso sesso, poiché è famiglia quella formazione sociale che la stessa società qualifica come tale. «Naturale» non vuol dire certo che l’unione tra due persone debba preludere alla procreazione, da cui la necessaria diversità di genere dei nubendi. «Naturale» vuol dire semmai che è la società nel suo insieme a poter qualificare un certo gruppo sociale come famiglia. Se chi si oppone all’estensione dell’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali – quindi anche i giudici italiani – lo facesse riferendosi all’articolo 29 della Costituzione, commetterebbe un errore logico ancor prima che giuridico. Si tende infatti a ritenere che la famiglia, come società naturale, sia sempre e solo quella formata da due persone di sesso diverso, e poiché essa dev’essere fondata sul matrimonio (per vedere riconosciuti e garantiti i propri diritti) si deduce che il matrimonio debba essere a sua volta contratto sempre e soltanto da persone di sesso diverso. Questa premessa è di fatto sbagliata: la famiglia sfugge a ogni definizione giuridica (non è infatti definita né nel Codice Civile né nella nostra Costituzione).



La famiglia è dunque ciò che la società qualifica come tale in un certo momento storico; in questo momento storico è famiglia pertanto anche quella formata da due persone dello stesso sesso. Perché allora, se così non fosse, nella Carta di Nizza (dicembre 2000), trasfusa nella Costituzione per l’Europa – regolarmente firmata e accettata dallo Stato italiano – non si fa cenno alla diversità di sesso quando si garantisce, all’articolo 9 della stessa, il “diritto di sposarsi e di formare una famiglia”? Per altro, è interessante notare in Italia che la Magistratura afferma che “la Costituzione non costituisce di per sé ostacolo alla ricezione in ambito giuridico di nuove figure alle quali sia la società ad attribuire il senso e il valore della esperienza ”.



Il matrimonio nel nostro ordinamento non è né eterosessuale né omosessuale. E’ chiaro che il legislatore né nel 1942 né nel 1975 si era posto il problema del matrimonio omosessuale, così come non lo aveva fatto il costituente. Non ponendo alcun divieto al matrimonio tra persone dello stesso sesso, tuttavia, è a esse estendibile la relativa disciplina.



Il matrimonio non è “definito” nella Costituzione, né nel Codice Civile e neppure nelle leggi speciali che nel tempo hanno regolamentato l’istituto. Il matrimonio è una pratica sociale che serve a esprimere in un certo contesto sociale l’acquisizione di uno status, la modificazione della propria organizzazione di vita, del proprio ruolo nella società. Serve a ribadire la necessità che il resto del gruppo sociale rispetti la nuova condizione esistenziale acquisita. Serve, in poche parole, a rendere socialmente rilevante un proprio modo di essere nel mondo. Pertanto, poiché ognuno è libero di scegliere come condurre la propria esistenza, è impossibile stabilire a priori quale modalità di vivere la propria affettività debba simboleggiare il matrimonio.



Secondo l’articolo 2 della nostra Costituzione, infatti, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”



L’articolo 3 specifica poi che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali.” E continua con “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”



Pertanto, se ci muoviamo sul terreno dei diritti anche solo individuali, come molti suggeriscono, la loro negazione si traduce in una discriminazione, in un continuo violare i principi generali di eguaglianza, di riconoscimento dell’altro. Spesso ci si dimentica (o peggio si finge di dimenticare) che il suddetto articolo 3 della Costituzione obbliga la Repubblica a rimuovere gli ostacoli generati – tra l’altro – da una condizione personale e che impediscono alla persona di realizzarsi fino in fondo.



Nell’articolo 2 della prima parte del Trattato costituzionale dell’Unione Europea, in cui si individuano e si definiscono gli obiettivi dell’Unione, si legge: “Valori dell'Unione - L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. L’aver sottoscritto il Trattato equivale ad affermare che il nostro Paese già oggi si impegna attivamente per la tutela dei diritti delle persone appartenenti ad una minoranza, ispirandosi al principio di non discriminazione, e soprattutto della dignità delle persone. Dignità altro non è che l’insieme dei valori di cui è portatore un individuo e che ne fanno un essere unico. Tutelare la dignità significa rispettare tali valori e consentire all’individuo di viverli nella propria quotidianità con la massima libertà. Vi è, quindi, un dovere di astensione da parte degli altri privati e dello Stato (nel senso che nessuno di essi può impedire o ostacolare la realizzazione in concreto dei valori di cui ciascun soggetto è portatore) e un dovere, da parte dello Stato, di coadiuvare l’individuo nel rimuovere gli ostacoli – e comunque non crearne ulteriori – così da consentire lo svolgimento di attività realizzatrici della persona.



Impedire, limitare, ostacolare, lo svolgimento di una relazione omosessuale (o eterosessuale che sia) significa ostacolare la persona nella sua realizzazione personale, nella sua libertà di autodeterminazione. Tutto ciò ovviamente a condizione che non siano calpestate prerogative di altri soggetti coinvolti nel rapporto.



La sussistenza di un matrimonio tra due persone dello stesso sesso è già una realtà normativa, in Italia, da circa 23 anni.



A leggere attentamente, infatti, l’articolo 3, comma 2, lettera g) della L. 1.12.1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), così come modificata dalla L. 14.4.1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), già oggi è immaginabile il caso di due persone dello stesso sesso che siano tra loro coniugi. L’articolo 3, comma 2, lett. g), infatti, riconosce come un presupposto per la richiesta di divorzio il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso. E ciò induce a delineare due evenienze: 1) nell’attesa del passaggio in giudicato della sentenza e dopo l’intervento chirurgico di modificazione del sesso, due persone morfologicamente dello stesso sesso rimangono coniugi; 2) una volta passata in giudicato la sentenza i due coniugi possono decidere di rimanere sposati e di non ricorrere all’istituto del divorzio, posto che la rettificazione di sesso non fa venir meno ope legis il vincolo matrimoniale, ma legittima ciascun coniuge a proporre il ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio.



Qualcuno potrebbe obiettare che in questo caso l’uguaglianza di sesso è sopravvenuta alla celebrazione del matrimonio e che, pertanto, ci troviamo in un caso del tutto diverso da quello del matrimonio di due gay o di due lesbiche. Dal punto di vista giuridico non sposta minimamente i termini del problema. Se l’istituto matrimoniale è incompatibile con l’uguaglianza di sesso tra i coniugi, lo è sia al momento della celebrazione sia successivamente ad essa, altrimenti ci troveremmo di fronte ad una norma non compatibile con l’articolo 3 della Costituzione che comanda un trattamento (giuridico) uguale per situazioni uguali.



Infine, il pensiero va alla recente Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, datata 8 novembre 2000, n. 328, che al suo primo articolo pone a carico dello Stato un preciso impegno nella lotta contro la discriminazione: “La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”.






Riferimenti Giuridici:



Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali



Articolo 14 - Divieto di discriminazione.



Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione.






Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa



ARTICOLO I-2 - Valori dell'UnioneL'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.












La Costituzione della Repubblica Italiana



Art. 2.



La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.






Art. 3.



Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.






Il Codice Civile Italiano



Art. 87 Parentela, affinità, adozione e affiliazione






Non possono contrarre matrimonio fra loro:



l) gli ascendenti e i discendenti in linea retta, legittimi o naturali;



2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini;



3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote;



4) gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l'affinità deriva dal matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunciata la cessazione degli effetti civili;



5) gli affini in linea collaterale in secondo grado;



6) l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti;



7) i figli adottivi della stessa persona;



8) l'adottato e i figli dell'adottante;



9) l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato.



I divieti contenuti nei nn. 6, 7, 8 e 9 sono applicabili all'affiliazione.



I divieti contenuti nei nn. 2 e 3 si applicano anche se il rapporto dipende da filiazione naturale.



Il tribunale, su ricorso degli interessati, con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio nei casi indicati dai nn. 3 e 5, anche se si tratti di affiliazione o di filiazione naturale. L'autorizzazione può essere accordata anche nel caso indicato dal n. 4 quando l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo.



Il decreto è notificato agli interessati e al pubblico ministero.



Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell'art. 84. (Minori di Età -ndr)






Dichiarazione Universale adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948Articolo 1. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.



Articolo 2.



1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. 2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.

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