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Alla ricerca della felicità? Dobbiamo guardare nell’intestino. La singolare scoperta, compiuta da un gruppo di ricerca dell’Alimentary Pharmabiotic Centre dell’University College Cork (Irlanda), guidato dal neuroscienziato Gerald Clark, dimostrerebbe come i livelli di serotonina, l’ormone del benessere, dipendano da quantità e qualità dei batteri che popolano questo nostro organo vitale.



Lo studio indica in generale come le funzioni cerebrali dell’adulto dipendano dalla presenza di questo tipo di microbi nell’intestino durante lo sviluppo. Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno utilizzato un modello di topo privo di batteri, ottenendo come risultato una crescita anomala dell'animale: in particolare, nell’età adulta, i topi mostravano una concentrazione di serotonina nel cervello al di sotto della media.

“Questi risultati da un lato sono affascinanti per me come neuroscienziato, dall’altro sottolineano l’importante ruolo che i batteri dell’intestino giocano nella comunicazione bidirezionale tra il cervello e l’intestino stesso –commenta Clark- e aprono interessanti opportunità per lo sviluppo di trattamenti dei disturbi cerebrali basato unicamente su strategie a base di microbi”.

Il lavoro precisa anche che l’influenza dei batteri dipende dal sesso dell’individuo, con incidenza prevalente nei maschi rispetto alle femmine. Clark e i suoi collaboratori hanno inoltre tentato di ripopolare i topi con i batteri nell’età adulta, verificando che le deficienze di serotonina potrebbero non essere reversibili, e dimostrando dunque che l’età evolutiva, anche sotto questo punto di vista, gioca un ruolo chiave e non sostituibile nel corretto sviluppo psicofisico dell’individuo.

Possibili ricadute dello studio potrebbero riguardare anche l’utilizzo dei farmaci antibiotici. Al di là dalla proliferazione di resistenze batteriche dovuta ad un intensivo impiego di tali trattamenti, un loro uso eccessivo e talvolta sconsiderato, soprattutto nell’età evolutiva, potrebbe portare a problematiche cerebrali in quella adulta.

Lo studio è stato pubblicato su Molecular Psychiatry.