Da poche gocce di sangue una grande quantità di «proiettili intelligenti» contro i virus
Il virus dell'influenza aviaria H5N1 (lapresse)
Scienziati americani hanno trovato il modo di produrre anticorpi in grande quantità in laboratorio e in breve tempo a partire da cellule umane. La scoperta potrebbe rivelarsi fondamentale nel caso ci si trovasse ad affrontare una pandemia influenzale causata da un ceppo virale aggressivo.
Con le tecniche a disposizione oggi per fabbricare anticorpi efficaci in quantità utile sono necessari alcuni mesi, mentre il metodo messo a punto nei laboratori della Emory University di Atlanta e in quelli dell’Università dell’Oklahoma promette di ottenere gli stessi risultati in poche settimane e con anticorpi di «migliore qualità». I ricercatori, guidati da Rafi Ahmed, uno dei maggiori esperti mondiali di immunologia, sono riusciti a riprodurre anticorpi contro un ceppo di virus influenzale a partire da una modesta quantità di sangue («tre cucchiaini da caffè») prelevata da persone precedentemente vaccinate contro un ceppo di virus influenzale. La loro ricerca sarà pubblicata online dalla rivista Nature.
«UN SOGNO CHE SI REALIZZA» - «Si tratta di una innovazione che, se confermerà le sue promesse, potrebbe avere un impatto notevole» spiega il professor Alberto Mantovani, docente di Patologia Generale all’Università di Milano e direttore scientifico dell’Istituto Humanitas. «Riuscire a produrre anticorpi ad alta specificità contro ciò che vogliamo e con le caratteristiche che vogliamo è un sogno da almeno 30 anni». «Gli anticorpi monoclonali (cioè “fabbricati in serie”, tutti uguali e diretti contro uno specifico bersaglio) sono in uso da diverso tempo e hanno cambiato la vita di molti pazienti affetti da malattie immunitarie o da tumori o da persone che hanno subito un trapianto. Ma il sogno non è stato ancora realizzato completamente perché per fare anticorpi di questo tipo finora c’è stato bisogno di ricorrere agli animali. La possibilità di partire da cellule umane apre decisamente nuove prospettive perché è legittimo aspettarsi maggiore specificità, quindi maggiore efficacia, e minori problemi. Per semplificare, potremmo dire che questi nuovi anticorpi potrebbero essere parecchio più “intelligenti” di quelli che possiamo fare ora».
Quali sono le malattie che potrebbero beneficiare maggiormente della scoperta? «L’applicazione potenzialmente più interessante riguarda certamente la possibilità di affrontare più in fretta e in modo più efficace eventuali pandemia influenzali e non solo. Ma non è da escludere un miglioramento delle terapie oncologiche, dove poter prelevare anticorpi efficaci dal paziente stesso e moltiplicarli a piacimento per amplificare la risposta immunitaria potrebbe fare la differenza».
Prospettive anche per l’Aids o altre malattie a larga diffusione come la malaria? «Bisogna distinguere da caso a caso. Per l’Aids al momento questa tecnica non dovrebbe comportare novità perché la risposta immunitaria nei confronti del virus Hiv è mediata da cellule e non da anticorpi. Per la malaria bisognerà verificare. Ma, per esempio, il metodo , in teoria, potrebbe essere utile contro il meningococco».
Il meningococco è un batterio. Vuol dire che si può preconizzare anche un utilizzo, per esempio, in caso di polmonite batterica resistente agli antibiotici?
«In teoria sì. Però va tenuto conto che i costi degli antibiotici, almeno per ora, sono molto inferiori a quelli degli anticorpi monoclonali».
Ci sono molti farmaci in studio a base di anticorpi?
«Solo in campo oncologico, circa il 30 per cento di quelli attualmente in sperimentazione nel mondo sono anticorpi monoloclonali».
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