copio e incollo intervento in un altro forum, in cui si affrontava lo stesso tema.
Sessanta pounds per un “access pass” stagionale, dieci per quello giornaliero. L’acquirente dotato di “passi” vedrebbe così riconosciuto il diritto all’accesso nei campi in cui sia stato realizzato un cerchio nel grano. Non solo l’accesso per visitare il crop circle da vicino, anzi dall’interno, ma - a differenza di molti musei - si acquista anche la possibilità di fotografarlo, perfino fargli lo scalpo, cioè portarsi a casa qualche spiga come cimelio. Il reato di violazione di proprietà privata verrebbe così cancellato in un batter di ciglia. Sempre che il campo di grano sia di proprietà di un agricoltore che abbia aderito al progetto, e che pertanto abbia acconsentito all’accesso al suo terreno in caso questo divenga teatro della comparsa di uno o più crop circles. Il proprietario dell’appezzamento, da parte sua, avrebbe tutto l’interesse di aderire a questo progetto, poiché riceverebbe il pagamento di una tassa da parte degli artisti che realizzano il pittogramma, e a fine stagione riceverebbe una quota-parte dell’intero indotto. Inoltre il farmer avrebbe il diritto di far pagare un biglietto di ingresso ai visitatori (almeno quelli “tesserati”), trattenendo per se una parte degli introiti, e destinando al “progetto” la restante parte, che a fine stagione sarà spartita tra tutti i farmers. Un po’ come avviene tra i camerieri per le mance del ristorante.
La proposta, a quanto pare, è partita dall’olanda, da Monique Klinkenbergh, che ora si trova a dirigere il neo costituito organo a capo di questo progetto: il “Crop Circle Information and Coordinatin Center” (CICC).
C’è già un sito web (cropcircleaccess.com) che vende la “Wilthire crop circle access pass”. La “National Farmes Union”, per voce di James Shepherd, ha dichiarato che se questo progetto funzionasse potrebbe essere una buona soluzione. I contadini i cui terreni sono interessati dal fenomeno si stima che subiscano una perdita tra i cinquecento e i mille pounds. Stanti così le cose, mediamente basterebbero dieci visitatori autorizzati per coprire le perdite. Dall’ undicesimo in poi (a volte se ne contano centinaia) sarebbe guadagno.
Da parte nostra noi crediamo, ma soprattutto speriamo, che questa iniziativa fallisca.
Innanzi tutto per una questione di principio. Per noi i cerchi nel grano sono sì opere di Land Art (quindi in tutto e per tutto umane) ma hanno sempre rappresentato qualcosa di emozionale, di culturale e di comunicativo. Qualcosa destinata ad entrare in contatto col nostro intimo, con la nostra spiritualità. Il concetto stesso di “ticket”, biglietto, passi, o qualsiasi altro nome gli si possa attribuire, a nostro avviso ricorda inevitabilmente il concetto di business, e stride con questa natura ingenua, passionale, cristallina di un fenomeno (misterioso o meno) ammaliante e puro.
Una componente commerciale questo fenomeno la ha già, d’accordo. Solo pochi giorni fa nel nostro paese, a Cisterna di Latina, è stato realizzato un crop circle pubblicitario per la birra “Peroni”. Due anni fa era stato realizzato un crop circle per il lancio italiano su Fox Channel della serie televisiva “Fallins Skies”. Ben prima di questo erano molte le aziende ad aver commissionato la realizzazione di crop circles a scopo di marketing. Qualche nome: Nike, Pepsi, Microsoft, Sky, Greenpeace, Mitsubishi, History Channel, Discovery Channel, Fox Channel, e tante altre.
Sull’homepage del sito più visitato al mondo, per una settimana, ha campeggiato il logo di “Google” elaborato in caratteri che richiamavano esplicitamente la simbologia dei crop circles. Un noto album dei Led Zeppelin ha come copertina la foto di un cerchio nel grano.
Alcuni gruppi di circlemakers sono usciti allo scoperto, e realizzano glifi su commissione, com’è il caso di Rod Dickinson, John Lundberg, and Will Russell, che si sono costituiti in società, realizzando così degli utili. Altri circlemakers (ad esempio Matthew Williams) sono spesso ospiti di varie trasmissioni televisive, rilasciano interviste e tengono congressi, riuscendo probabilmente a produrre un indotto grazie a queste sue capacità artistiche.
Esiste anche un turismo dedicato a questo fenomeno: delle agenzie di viaggi specializzate, organizzano tours guidati nelle terre dei crop circles, da ogni parte del globo. Esistono artisti che riproducono i più bei crop circles su tela, e si sta sviluppando un vero e proprio merchandising con riproduzioni su pietre, collane, ciondoli, magliette e gadgets di ogni genere. Accanto a tutto ciò proliferano anche trasmissioni televisive, libri, riviste, dvd, solitamente atte ad arricchire più i produttori e gli editori che non i presentatori o gli autori.
Insomma attorno ai cerchi nel grano esiste già da tempo una componente di marketing, puramente commerciale e con scopo di lucro. E’ inevitabile che sia così, e non sempre la cosa è biasimevole, poiché andrebbe analizzato caso per caso. Tuttavia ci sembra sbagliato insistere in questa direzione fino al punto – questo ci pare che sia - di istituire una società (CICC) di dubbia natura giuridica, al precipuo scopo di riscuotere denaro per redistribuirlo tra i suoi soci e contadini aderenti all’iniziativa. Non sappiamo come funzionino esattamente le cose nel regno Unito, ma forse si porrebbe perfino un problema di diritto, laddove il fatto di far pagare un biglietto comporta di fatto la rinuncia al godimento del diritto alla proprietà privata da un lato, e l’esercizio di una attività commerciale dall’altro. Due diritti, uno cancellato l’altro creato, che non si ha la facoltà di annullare o generare arbitrariamente. Il CICC rischierebbe così di apparire alla stregua di un parcheggiatore abusivo. Per non parlare del rischio che alcuni di questi aficionados, patiti dei cerchi nel grano e muniti di tessera, possano ipso facto ritenersi in diritto di visitare qualsiasi crop circle, e quindi invadere la tenuta di un agricoltore che potrebbe non aderire al “progetto” e non gradire affatto la visita. Non sarebbe la prima volta che un contadino, se disturbato nel suo podere, si scopra essere persona facilmente dedita all’intolleranza e risoluta nell’utilizzo di maniere spicciole. Il CICC allora rischierebbe di essere, almeno moralmente, corresponsabile.
La cosa migliore, a nostro avviso, sarebbe lasciare il mondo com’è. Gli artisti dovrebbero impegnarsi ad accordarsi con i proprietari terrieri o trovare il modo di rifondere loro i danni, privatamente o anche in modo anonimo o in segreto. I contadini propongano – come fatto finora - ai visitatori il c.d. “honesty box”, una libera offerta per rientrare del danno subito. Infine i visitatori abbiano il buon gusto di non procurare ulteriore danno e di lasciare una offerta almeno simbolica.
Un po’ di buon senso da parte di tutti è ciò che ci vuole, niente di più, niente di meno.