00 05/11/2011 16:12
Cerchi nel grano e pubblicazioni scientifiche, un equivoco da chiarire

Di Stefano Panizza

“Se riviste scientifiche hanno pubblicato ben quattro studi sui cerchi nel grano, significa che la loro presenza non può essere spiegata come un semplice artefatto umano”.
In effetti, apparentemente, il discorso non fa una grinza.
Ricordo che stiamo parlando dei lavori di W.C. Levengood “Anatomical anomalies in crop formation plants” del 1994, sempre di Levengood con J.Burke “Semi-Molten Meteoric Iron Associated with a Crop Formation”del 1995, sempre di Levengood con N.P. Talbott “Dispersion of energies in worldwide crop formations” del 1999 ed, infine, di E.H. Haselhoff “Opinions and comments on Levengood W.C., Talbott N.P. (1999). Dispersion of energies in worldwide crop formations. Physiol. Plant. 105: 615–624” del 2001.


W.C. Levengood 1994


W.C. Levengood e N.P. Talbott 1999


E.H. Haselhoff 2001

Salvo il secondo con Journal of Scientific Exploration, tutti gli altri sono editi da Physiologia Plantarum Journal.


Home page Journal of Scientific Exploration



La tesi principale degli autori è che al di sopra dei campi sia presente un qualcosa, vortice di plasma o sorgente puntiforme di energia, in grado di produrre particolari anomalie (come l’allungamento ingiustificato dei nodi) sulle sottostanti spighe di grano od altri cereali.


Sfera di luce a Stonehenge

Detto questo, che significato dare al fatto che le loro teorie sono state pubblicate su delle riviste scientifiche?
È, forse, la prova che il fenomeno crop circle merita l’attenzione della Scienza?
Prima di rispondere a questa domanda è necessario capire come funziona il meccanismo della pubblicazione su una rivista scientifica
Quando uno studioso fa una ricerca, cerca di ottenerne spazio su di essa, perché è il modo più veloce e più serio per farla conoscere alla comunità scientifica.
L’articolo viene, dunque, spedito alla redazione della rivista.
Qui, alcuni scienziati specializzati nell’argomento, detti referee, cioè arbitri, ne valutano la bontà del contenuto.


L'autore presenta la sua ricerca ...

Questa loro attività viene chiamata peer review, cioè revisione fra pari, perché chi scrive e chi legge si occupa della medesima materia.
I loro nomi rimangono, però, anonimi, per evitare che chi presenta la ricerca, eventualmente chiamato a suo volta a giudicare il lavoro di altri, non possa esserne condizionato.
Ma in cosa consiste la valutazione?
A differenza di quello che si pensa, non consta nel verificare se le conclusioni siano corrette. Nel caso specifico dei cerchi nel grano, i revisori dovrebbero, infatti, controllare materialmente i campioni, riprelevarli da dove sono stati tolti e rifare gli eventuali esperimenti.
Come si può ben immaginare la cosa è materialmente impossibile (saranno, eventualmente e successivamente altri scienziati a farlo).
Il loro giudizio, quindi, consiste nel vedere che non vi siano incongruenze metodologiche lampanti, che ci sia una logicità e sequenzialità nell’esposizione dei fatti e dei ragionamenti.


... e i referee si apprestano a giudicare

Insomma, è un controllo di forma e non di sostanza.
A quel punto le conclusioni dei referee vengono valutate dal responsabile della redazione della rivista. Questi poi comunica la sua decisione, unitamente ai commenti e ai suggerimenti dei valutatori, ai chi ha scritto l’articolo. A volte viene invitato ad apportarne modifiche.
Ne segue, poi, l’eventuale pubblicazione.
A questo punto la ricerca dovrebbe avere un primo patentino di scientificità.
In realtà, dipende.
Non tutte le riviste scientifiche, infatti, hanno lo stesso valore.
Ma come si fa a fare una classifica delle riviste?
Esiste il metodo dell’impact factor. In pratica, una rivista è tanto più autorevole tanto più gli articoli che ha pubblicato sulle proprie pagine sono stati citati nei successivi lavori della comunità scientifica.


Confronto fra Impact Factor

Più un lavoro è citato e più è valido, e più prestigiosa è la rivista che lo ha pubblicato.
Al contrario, più e scarso e meno viene citato, e ciò significa che la rivista ha posto poca attenzione alla sua qualità di “referaggio”.
Naturalmente possono esiste le eccezioni.
Ad esempio Kary Mullis si vide rifiutare nel 1985 da Nature l’articolo che gli avrebbe procurato il Nobel per la chimica nel 1993 (nel 1987 lo pubblicò su un’altra rivista).


Kary Mullis

Probabilmente i valutatori non capirono bene la portata delle sue scoperte e forse intervennero motivazioni anche di carattere personale.
Senza contare che gli articoli da giudicare sono sempre tanti e qualcosa può sempre “scappare”.
Ma ritorniamo ai nostri cerchi nel grano ed alle quattro pubblicazioni scientifiche.
Per controbattere le loro conclusioni (con particolare riferimento al discorso “sfere di luce”), il Cicap, nelle vesti di Francesco Grassi, Claudio Cocheo e Paolo Russo, inviò nel 2004 la sua replica a Physiologia Plantarum Journal, che aveva pubblicato tre dei quattro articoli.


logo del Cicap

Ricevette, però, e a sorpresa, una mail di diniego a firma Dr Vaughan Hurry (subjet editor), prima ancora di essere sottoposta a peer review:

“After serious consideration I believe that to "continue this discussion", when clearly from the citation record there is not a scientific discussion in progress, only gives gives it substance and credibility it does not merit. I can therefore not accept your manuscript for publication in our journal.”

Che tradotto significa:

“Dopo un serio esame credo che a continuare questa discussione, quando è evidente che non vi è nessuna discussione scientifica in corso, si da solo sostanza e credibilità ad una cosa che non merita. Non posso quindi accettare il manoscritto per la pubblicazione sulla nostra rivista.”
C’è poi un punto della lettera che fa sospettare che in realtà il lavoro di Haselhoff, presentandosi come un commento ai lavori di Levengood, non sia stato “referato”.

Leggiamo infatti:

“The original papers were submitted to the journal and were subjected to the normal peer-review and were, regrettably in my view, recommended for publication and therefore published.<> The original papers by Levengood were published, and comments/criticisms of these were also subsequently published (Haselhoff )”.

Che tradotto significa:

“I documenti originali sono stati presentati alla rivista e sono stati sottoposti alla normale peer review e poi, purtroppo a mio avviso, consigliati per la pubblicazione, cosa che è successivamente avvenuta. <> I documenti originali di Levengood sono stati pubblicati, così come le relative critiche/osservazioni di Haselhoff”.

Ciò che voglio dire che il termine “lavori originali” sembra riferito unicamente a quanto prodotto da Levengood e che solo per questi si parli di peer review.
Ciò potrebbe attestare una superficialità operativa (in parte giustificata dal titolo fuorviante) da parte della redazione della rivista.

Ma torniamo alla vicenda.

Il Cicap non si diede per vinto e spedì l’articolo al Journal of Scientific Exploration (rivista, è bene specificare, che si occupa anche di tematiche di frontiera), che, dopo averlo sottoposto a peer review, lo pubblicò nel 2005 con il titolo “Balls of light: The Questionable Science of Crop Circles”.


F.Grassi, C.Cocheo e P.Russo 2004

Facciamo, ora, il punto della situazione:

- quattro articoli vengono pubblicati su delle riviste scientifiche.
- vengono giudicati solo formalmente
- un quinto (quello del Cicap) viene pubblicato su una rivista di minore rilevanza scientifica (basta osservarne i contenuti nella homepage)
- a volte le riviste non colgono l’importanza di un lavoro, magari per motivazioni personali, ma nel giro di pochi anni, se merita, il suo valore viene comunque riconosciuto (vedi il caso “Mullis”)

Ma è possibile il contrario, cioè che ne diano un eccessivo credito?
Il rifiuto della redazione di Physiologia sembrerebbe dimostrarlo.
A pensar male si può sostenere che tale comportamento possa essere, in realtà, generato dal solo desiderio di porre il freno ad una situazione che poteva andare fuori controllo.
Se fosse vero quanto asserito da Haselhoff & Soci, le conseguenze in campo scientifico sarebbero incalcolabili, ma soprattutto un sacco di scienziati, conservatori ed autoritari, ne uscirebbero malconci.
Quindi il ragionamento di Physiologia potrebbe essere stato: “chiudiamo la stalla prima che tutti i buoni siano scappati”.
E come si fa a capire se le cose sono andate davvero così?
Credo che il metodo migliore sia di controllare se, e quante volte, i peer review si sono “sbagliati”, autorizzando cioè pubblicazioni, diciamo, non meritevoli o che comunque non hanno avuto sviluppi significativi.
Una paziente lavoro di ricerca mi ha portato a sorprendenti scoperte.
Prendiamo il caso di Jan Hendrik Schoen, giovane fisico tedesco.


Jan Hendrik Schoen

Pubblicò studi sul cosiddetto “transistor molecolare”, cioè un prodotto tecnologico talmente piccolo da avere le dimensioni di una molecola, e sulla possibilità di rendere conduttivo un certo tipo di plastica.
Si scoprì successivamente che molti dei dati presentati erano stati appositamente falsificati.
Ma al di la di questo, ciò che la peer review non aveva incredibilmente rilevato, erano chiari errori metodologici.
Ad esempio, in uno degli articoli si descrivevano due esperimenti diversi che dovevano portare, in base alla teoria, a risultati diversi. In verità i risultati erano dello stesso tenore, in contraddizioni alle aspettative (ma, come detto, nessuno dei revisori se ne accorse).
Le più importanti riviste scientifiche che avevano pubblicato i suoi lavori, nonostante il filtro a maglie strette della loro peer review, come Nature, Science e Physical Review journals, furono costrette ad ammettere i propri errori (e dopo ben vent’uno articoli!).
Passiamo ora al caso di Hwang Woo Suk, veterinario e ricercatore sudcoreano.


Hwang Woo Suk

Nel 2004 e nel 2005 riuscì a farsi pubblicare sulla prestigiosa rivista Science due articoli sulle cellule staminali.


un numero di Science

E questo (come si può leggere su wikipedia) nonostante “Hwang failed to provide scientifically verifiable data for the research” (che tradotto significa “Hwang non aveva fornito dati scientificamente verificabili per l’analisi”). Successivamente si scoprì che le informazioni erano state “taroccate”.
Come è stato possibile, e per ben due volte, avvalorare senza o con pochi dati a disposizione?

Passiamo ad un terzo caso, quello relativo alla cosiddetta “fusione fredda”.


Strumentazione per la realizzazione della "fusione fredda"

Il termine sta a significare la possibilità che le reazioni nucleari avvengano a temperature e pressioni molto minori rispetto a quelle attualmente previste.
Nel 1989 i chimici Martin Fleischmann e Stanley Pons annunciarono di averla realizzata in laboratorio. Nei tre anni successivi furono prodotti centinaia di articoli (come si può vedere dal grafico), quasi tutti sottoposti a peer review. Poi, i lavori cominciarono drasticamente a diminuire perché il fenomeno non sembrava più riproducibile (e, dovendolo essere, toglieva gran parte del valore alla teoria).


Tabella pubblicazioni "fusione fredda"

Questo è un esempio di come un fenomeno, che aveva tutti i crismi di serietà soprattutto per i tanti riscontri avuti in seguito dal mondo accademico, si sia sgonfiato nel tempo (naturalmente nuovi esperimenti potrebbero benissimo ribaltare la situazione).
Questi sono solo alcuni dei casi che dimostrano (al di la dell’ammissione sopra citata a seguito della richiesta del Cicap) che una peer review può essere condotta in modo errato e che anche un controllo corretto, ma meramente formale, non dice nulla sulla reale validità di una teoria.
La pubblicazione di un articolo su una rivista scientifica non è, dunque e di per se, sinonimo di attendibilità.
Quindi, come si fa a capire se una ricerca vale?
Se la comunità scientifica, mostrando interesse a vagliare ed approfondire la ricerca, continuerà sulla strada tracciata.
Ora, nel caso dei cerchi nel grano, come è andata a finire?
Il quarto ed ultimo dei lavori pubblicati (Cicap a parte), cioè quello di Haselhoff, è del 2001.
Dopo dieci anni siamo fermi ad allora.
Non solo non ci sono stati da parte di nessun’altro delle pubblicazioni scientifiche ma anche i diretti interessati, Haselhoff ed il BLT, sembrano aver “mollato la presa”.
Se facciamo una ricerca in internet per il primo, compreso il suo sito personale, vediamo che ne esce unicamente come esperto musicale (escludendo naturalmente i blog degli appassionati dei cerchi nel grano).


Eltjo H. Haselhoff

Per il secondo, analizzando il web, direi che l’approfondimento scientifico, o presunto tale, si è ora un po’ perso. Morto Burke e relegato Levengood ai previous consultants ( cioè vecchi consulenti) dei fondatori rimane la sola Talbott, coadiuvata da ingegneri aeronautici, astronomi, parapsicologi, geochimi ed altri (a volte mi chiedo come mai manchino gli agronomi, visto che in materia di fisiologia dei cereali dovrebbero essere i massimi esperti).


W.C.Levengood

Ciò non toglie che il sito abbia spunti di interesse; mi viene in mente l’analisi delle bruciacchiature di un cerchio olandese di Hoeven del 2010 o della polvere bianca sempre ad Hoeven del 2009 o della formazione di Hanover (Virginia) del 2011, al cui interno le apparecchiature erano sembrate non funzionare.
Pare che ora, almeno in parte, l’interesse del gruppo sia piuttosto rivolto al medium olandese Robbert van den Broeke.


Robbert van den Broeke


Dopo tutti questi ragionamenti, credo che alla fine emergano le seguenti ed oggettive constatazioni:

- pubblicare su una rivista scientifica non è sinonimo di attendibilità (vi sono esempi di teorie che hanno trovato spazio ma che poi si sono dimostrate degli imbrogli oppure che non hanno avuto successive conferme)

- il controllo della peer review, ammesso che venga fatto nei dovuti modi, è solo formale (quindi la validità di una teoria è rimandata a chi effettuerà nuovamente gli esperimenti citati o verificherà le sue previsioni)

- nello specifico delle pubblicazioni dei cerchi nel grano la rivista Physiologia Plantarum Journal ha ammesso di essersi sbagliata ad accettare gli articoli (l’errore, come visto, non è poi così raro)

- una redazione può commettere l’errore contrario, cioè dire “no” ad uno studio valido, ma l’autore, se la ricerca ha un minimo di fondamento, troverò sempre una rivista disposto a pubblicarlo, come dimostra il caso “Mullis” (in sostanza se un lavoro vale, nel giorno di pochi anni, lo si vede)

- nel mio precedente articolo “Haselhoff e le sfere di luce, un’analisi critica” ho messo in evidenza le numerose incongruenze che caratterizzano la teoria che sta alla base degli articoli (non si tratta, nella maggioranza dei casi, di opinioni, ma di dati di fatto liberamente consultabili leggendo gli scritti degli autori)

- nessuno studioso da un decennio a questa parte ha prodotto alcunché di significativo nel campo della ricerca da meritare di trovare spazio sulle riviste scientifiche, né gli autori originari degli articoli né altri (questo è un punto fondamentale perché una teoria possa fregiarsi del termine “scientifico”)

- neanche un ricercatore (Cicap a parte) non solo non ha prodotto studi nuovi, ma neppure scritto per dimostrare lo scarso fondamento di quelli vecchi; questo ignorare non è comune in campo scientifico, solitamente gli scienziati si buttano famelici sulle nuove teorie se hanno il sentore che abbiano un minimo di fondamento, probabilmente per non perdere il “treno” di materie in costante evoluzione (quindi, verrebbe da dire: “no interesse, no valore”, il fatto poi che è stato sufficiente un non scienziato, io, ma come altri, per dimostrare l’inconsistenza di certe affermazioni, può giustificare l’apparente anomalo mutismo del mondo accademico)


Quindi, cosa rimane della presunta scientificità degli articoli di Levengood, Talbott, Burke e Haselhoff pubblicati su Physiologia Plantarum Journal e Journal of Scientific Exploration?
Credo poco o nulla.
Ciò, naturalmente, non significa che non possano esistere le sfere di luce e che un qualche “casino” nei campi non lo possano combinare.
Ma il punto è sempre quello: se giochiamo al gioco della Scienza dobbiamo usare le sue regole e queste dicono che così non si può giocare.
Dentro in altre parole e parlando di calcio, se si subisce un fallo a centrocampo non si può pretendere di avere il calcio di rigore.


Bibliografia e sitografia:

it.wikipedia.org/wiki/Jan_Hendrik_Sch%C3%B6n
en.wikipedia.org/wiki/Hwang_Woo-suk
it.wikipedia.org/wiki/Fattore_di_impatto
it.wikipedia.org/wiki/Pubblicazione_scientifica
www.bltresearch.com
www.cicap.org/crops/en/013.htm
Sulla scena del mistero – Bagnasco Ferrero Mautino – Sironi Editore
Query 06 – Stefano Bagnasco – Grafiche 2001

Fonte articolo

ilgiornaledeicerchinelgrano.myblog.it/archive/2011/11/03/cerchi-nel-grano-e-pubblicazioni-scientifiche-un-equivoco...

[Modificato da eone nero 05/11/2011 16:14]