Ruanda - 12.3.2008 16:45:00
Prete cattolico ruandese condannato all'ergastolo per genocidio e sterminio
Il primo prete cattolico ruandese giudicato dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Tpir), l'abate Athanase Seromba, è stato condannato in appello all'ergastolo. L'abate, hutu, è stato riconosciuto colpevole di genocidio e sterminio, per aver diretto nell'aprile del '94 una delle prima stragi avvenute durante la mattanza del Ruanda, nel corso della quale vennero uccise 1.500 persone di etnia tutsi.
Aprile 1994, Kibungo: don Athanase Seromba, ruandese di etnia hutu e parroco nella parrocchia di Nyange, accoglie 2000 tusti in fuga ospitandoli dentro la chiesa. Ma subito dopo sbarra porte e finestre e chiama le milizie hutu. Su sua autorizzazione la chiesa viene presa a cannonate e sulle macerie passarono ripetutamente i buldozer. I pochi sopravvissuti furono finiti a colpi di macete (sembra qualcuno dato anche da lui). Al termine del massacro, indicando i cadaveri, chiede di "levare di torno quella immondizia". I morti totali degli scontri tra tusti e hutu saranno di circa un milione. Ripreso il potere i tusti istituiscono il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda, con a capo Carla del Ponte, giudice italo-svizzera, amica di Falcone. Migliaia di criminali furono arrestati e processati. Ma padre Athanase Seromba scompare.
1999, Firenze: nella chiesa di S.Martino a Montughi, è stato nominato vice-parroco don Atanasio Sumba Bura, prete africano. Dopo le prime incertezze i fedeli dimostrano apprezzamento per don Atanasio anche per le raccomandazioni ricevute dall'arcivescovado . Per due anni tutto procede bene.
Nel frattempo l'associazione Africa Rights prosegue nelle ricerche (al pari delle associazioni che cercarono i gerarchi nazisti) dei criminali sfuggiti alla cattura. Arriva così a Firenze, fino a Montighi e poi a S. Martino e, inospettita dal nome di quel parroco africano, scatta foto, prende informazioni, confronta dati e convoca testimoni. Riconosce in quel mite parroco l'assassino dei 2000 tusti Athanase Seromba. Quest'ultimo nega e s'infuria. La curia fiorentina immediatamente interviene e don Atanasio viene difeso e immediatamente trasferito. Quando le acque si calmano, scompare. In realtà non va lontano;viene custodito e protetto all'interno della sede arcivescovile, che, essendo sotto la sovranità vaticana, è, per così dire, extraterritoriale. Don Atanasio quindi viene nascosto dalle autorità ecclesiastiche in una fortezza inespugnabile. A nulla servono le lettere ufficiali di Afrincan Right spedite direttamente a papa Wojtyla per richiedere che collaborasse restituendo alle autorità rwandesi Seromba al fine di consertirne il processo. L'associazione non riceverà mai alcuna risposta dal Vaticano in merito a questa vicenda. O meglio, la risposta fu indiretta: don Atanasio non si tocca. Nel frattempo la chiesa lo protegge e ne prepara la difesa.
Per molti anni non ci saranno novità, e mentre Carla del Ponte continua a chiedere che Seromba venga consegnato al Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda nel 2001 il Vaticano avvia direttamente trattative con il Tribunale e con le autorità del Rwanda. Ma detta subito le condizioni: Seromba non dev'essere trasferito in Rwanda, non dev'essere incarcerano con gli altri utu incriminati, non dev'essere condannato a morte e, soprattutto, deve avere un trattamento di riguardo. Infine dichiara che la trattativa per una eventuale consegna verrà condotta solo ed esclusivamente dal Vaticano, mentre lo Stato italiano deve starne fuori.
Quindi il Vaticano, nella persona dell'allora pontefice Carol Woityla fece in modo che un criminale sanguinario sfuggisse alla giustizia.
Il 6 febbraio 2002 Seromba fu finalmente estradato e consegnato al International Criminal Tribunal for Rwanda (Tribunale Criminale Internazionale per il Ruanda, ICTR) ad Arusha (Tanzania), dove fu processato per genocidio e crimini contro l'umanità. Il 13 dicembre 2006 fu giudicato colpevole e condannato a 15 anni di carcere.
Nel marzo 2008, il processo di appello ha condannato Seromba all'ergastolo, affermando che ha partecipato attivamente ai massacri e non ha dimostrato alcun segno di pentimento.
La Chiesa dunque non protegge solo i preti pedofili ma qualsiasi prete criminale, a dimostrazione di ciò ecco un'altro esempio di amore cattolico:
4 ottobre 1998 Wojtyla santifica Aloysius Stepinac, arcivescovo di Zagabria dal 1941 al 1945 durante la dittatura ustascia croata. Egli appoggiò e incoraggiò il regime del dittatore Ante Pavelic, detto il "macellaio", rendendosi colpevole dello sterminio di ebrei, zingari e dei serbi ortodossi. Seicentomila serbi vennero uccisi in pochissimi mesi, circa lo stesso tanto dovette fuggire e altrettanti dovettero convertirsi al cattolicesimo. Stepinac era membro del parlamento ustascia e non solo non cercò di fermare quel massacro, ma incoraggiò e benedisse le conversioni forzate. Il suo appoggio non solo agli ustascia ma anche ai nazisti fu totale e incondizionato, tant'è che dichiarò perfino "Hitler è un inviato di Dio".
Meno male che Hitler non si fece mai prete altrimenti oggi ci dovremmo sorbire Sant' Adolf da Auschwitz!