00 06/02/2008 00:21
Il cugino di Darwin, Francis Galton, fu il primo a cercare di accertare con metodi scientifici se pregare serva a qualcosa. Egli osservò che la Domenica nelle chiese di tutta la Gran Bretagna, gruppi di fedeli pregavano pubblicamente per la salute della famiglia reale. I componenti della famiglia reale, non dovevano dunque essere più sani dei comuni mortali, per i quali pregavano solo i parenti più stretti? Galton indagò e non trvò differenze statistiche. Certo, è possibile che il suo intento fosse di mettere alla berlina la credenza, come quando pregava nei campi per vedere se le piante crescevano più in fretta(non crescevano).
Poco tempo fa il fisico Russell Stannard (scienziato credente) ha appoggiato un'iniziativa finanziata, tanto per cambiare, dalla Templeton Foundation e volta a verificare sperimentalmente l'ipotesi che pregare per i malati serva a migliorare la loro salute.
Per essere seri, esperimenti del genere devono essere condotti in doppio cieco e tale parametro è stato rigorosamente rispettato. I pazienti sono stati divisi in gruppo sperimentale (che riceveva preghiere) e gruppo di controllo (che non le riceveva). Malati, medici, infermieri e ricercatori non sapevano per quali persone si pregasse e per quali no. Chi pregava conosceva il nome dei pazienti per cui pregava, altrimenti in che senso avrebbe pregato per loro e per nessun altro? Però sapeva solo il nome di battesimo e la lettera iniziale del cognome. Pare che a Dio basti questo per individuare il letto giusto d'ospedale.
Anche solo pensare un esperimento del genere espone a una generosa dose di ridicolo e il progetto l'ha puntualmente ricevuta.

Immagino un dialo tra un paziente e Dio:
"Come dici, Signore? Non puoi guarirmi perche sono nel gruppo di controllo? Ah, capisco, le preghiere di mia zia non bastano. ma, Dio misericordioso, il signor Evans nella stanza accanto....Come, Signore?
Il signor Evans ha ricevuto mille preghiere al giorno? Ma Signore, Evans non conosce mille persone! Ah, ha pregato per lui molta gente che non lo conosceva, ma sapeva di dover pregare per Jghn E.? Però tu come facevi a sapere che non intendevano Jhon Ellsworty? Ah, giusto, hai usato la tua onniscenza per capire a quale Jhon E. si riferivano. Ma Signore..."


Con audace sprezzo del ridicolo, l'équipe di ricercatori, guidata dal dottor Herbert Benson, cardiologo del Mind/Body Medical Institute, vicino a Boston, ha cominciato a spendere i 2,4 milioni di dollari stanziati dalla Templeton Fondation. Il dottor Benson era già stato citato in un comunicato stampa della Templeton in quanto "convinto che sempre più prove dimostrano come l'intercessione delle preghiere sia efficace in ambito medico". Rassicura dunque sapere che la ricerca era in buone mani, non viziata da fibrillazioni scettiche. Benson e la sua équipe hanno monitorato 1802 persone operate di bypass coronarico in sei distinti ospedali. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi. Il gruppo 1 riceveva preghiere e non lo sapeva; il gruppo 2 (quello di controllo) non riceveva preghiere e non lo sapeva; il gruppo 3 riceveva preghiere e lo sapeva. Il confronto tra i gruppi 1 e 2 doveva servire a verificare se la preghiera aiuta i malati a riprendersi, mentre il gruppo 3 serviva a verificare quali effetti psicosomatici produce, se ne produce, sapere di essere oggetto di preghiere.
Le preghiere erano recitate dai fedeli di una chiesa del Minesota, una chiesa del Massachusetts e una chiesa del Missouri, tutte località lontane dagli ospedali scelti. Come ho già detto, i fedeli conoscevano solo il nome e l'iniziale del cognome delle persone per cui pregavano. E' buona pratica sperimentale standardizzare il più possibile e quindi a tutti i fedeli è stato detto di includere nelle preghiere la frase "per il buon esito dell'intervento e per una ripresa rapida, completa e senza complicazioni".
I risultati ha scritto l'"American Heart Journal" nell'aprile del 2006, sono stati molto chiari. Non si è notata nessuna differenza tra i pazienti per i quali si è pregato e quelli per i quali non si è pregato. Ma che strano! Si è rilevata una differenza tra quelli che sapevano che qualcuno pregava per loro e quelli che non sapevano se qualcuno pregava o non pregava per loro; ma la differenza è risultata negativa anziché positiva. Chi sapeva di essere beneficiario di preghiere ha accusato molte più complicazioni di chi era ignaro. Dio lo aveva forse punito per dimostrare quanto disapprovasse l'intero, balordo esperimento?
E' più probabile che i pazienti consapevoli delle preghiere siano stati sottoposti proprio per questo a un ulteriore stres: "ansia di prestazione", l'hanno definita i ricercatori. Uno di loro, Charles Betha, ha detto: "Forse si sono sentiti più insicuri e si sono chiesti: "Mi giudicano così malato da richiedere che si preghi per me?"".
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[Modificato da Legion1 06/02/2008 00:22]