Lo sterminio e la Shoah: Per Non Dimenticare

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00mercoledì 27 gennaio 2010 14:37



Il senso del Giorno della Memoria 27 Gennaio

Nota:Renzo Gattegna, Presidente Unione Comunità Ebraiche Italiane

Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli di Auschwitz.
Le immagini che apparvero agli occhi dei soldati sovietici che liberarono il campo, sono impresse nella nostra memoria collettiva. Ad Auschwitz, come negli innumerevoli altri campi di concentramento e di sterminio creati dalla Germania nazista, erano stati commessi crimini di incredibile efferatezza.
Tali crimini non furono commessi solo contro il popolo ebraico e gli altri popoli e categorie oppressi, ma contro tutta l’umanità, segnando una sorta di punto di non ritorno nella Storia.
L’uomo contemporaneo, con il suo grande bagaglio di conoscenze, nel cuore del continente più civile e avanzato, era caduto in un baratro. Aveva utilizzato il suo sapere per scopi criminali, tramutando quelle conquiste scientifiche e tecnologiche, di cui l’Europa era allora protagonista indiscussa, in strumenti per annichilire e distruggere intere popolazioni, primi fra tutti gli ebrei d’Europa.
Da quel trauma l’Europa e il mondo intero si risvegliarono estremamente scossi. Si domandarono come era stato possibile che la Shoah fosse avvenuta. E, soprattutto, quali comportamenti e azioni mettere in atto per scongiurare che accadesse di nuovo.
Dalla consapevolezza dei crimini di cui il nazismo si era macchiato nacque nel 1948 la Dichiarazione universale dei diritti umani, promulgata dalle Nazioni Unite allo scopo di riconoscere a livello internazionale i diritti inalienabili di tutti gli uomini in ogni nazione.
La consapevolezza di ciò che era stato Auschwitz fu tra gli elementi fondamentali per la costruzione, identitaria prima ancora che giuridica, della futura Europa unita.
Scriveva il filosofo Theodor Adorno che dopo Auschwitz sarebbe stato “impossibile scrivere poesie”, intendendo rendere l’idea di quali implicazioni radicali comportava assumersene la responsabilità, negli anni della ricostruzione e della nascita dell’Europa unita.
Era indispensabile stabilire con esattezza ciò che l’Europa non sarebbe stata. Alle radici dell’impostazione ideale dell’attuale Unione Europea c’è il rispetto per la dignità umana e il rigetto per ciò che era accaduto, sia prima che durante la guerra, a causa di idee razziste e liberticide. Auschwitz è la negazione dei principi ispiratori dell’Europa coesa, economicamente, socialmente e culturalmente avanzata che conosciamo oggi.
Il 27 gennaio 2010 il Giorno della Memoria si celebra in Italia per la decima volta.
Dieci anni sono passati da quando fu chiesto all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane di partecipare all’attuazione delle iniziative, promosse dalle istituzioni dello Stato italiano e in particolare dal Ministero dell’Istruzione, che avrebbero caratterizzato lo svolgimento di questa giornata. Oggi il Giorno della Memoria è diventato un’occasione fondamentale, per le scuole, di formare tanti giovani tramite una importante attività didattica e di ricerca.
Da allora l’ebraismo italiano si è a più riprese interrogato sul modo di proporre una riflessione che non fosse svuotata dei suoi significati più profondi, riducendosi a semplice celebrazione. Al di là delle giuste, necessarie parole su Shoah e Memoria, crediamo infatti che occorra cercare di perpetuare il senso vero di questo giorno.
Molti sono stati in questi anni gli studi, gli articoli, le riflessioni, le pubblicazioni di studiosi e intellettuali che hanno tentato di definire e ridefinire costantemente il senso della Memoria.
Esiste infatti una problematica della relazione tra Storia e Memoria. La Shoah è ormai consegnata ai libri di Storia, al pari di altri avvenimenti del passato.
Pochi testimoni sono rimasti a raccontarci la loro esperienza.
Si potrebbe ipotizzare una Memoria cristallizzata nei libri, come un evento importante ma lontano nel tempo, da studiare al pari di qualsiasi altro capitolo di un libro scolastico, con il rischio di rendere distante il significato e la ragione vera per cui il Giorno della Memoria è stato istituito per legge.
L’umanità esige che ciò che è avvenuto non accada più, in nessun luogo e in nessun tempo. E’ di enorme importanza che le nuove e future generazioni facciano proprio questo insegnamento nel modo più vivo e partecipato possibile, stimolando il dibattito, le domande, i “perché” indispensabili per la comprensione di quei tragici eventi.
Scriveva la filosofa Hannah Arendt, che il male non ha né profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. E’ una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.
La filosofa che forse più in profondità ha studiato le aberrazioni del nazismo, coniando quella ormai famosa espressione, “la banalità del male”, riferita a uno dei principali esecutori della Shoah, dà una definizione di tetra neutralità e ignavia a chi non pensa, a chi non riflette, a chi non ha idee proprie, a chi non dà valore e giudizio alle proprie azioni e alle loro conseguenze. La Arendt collega il “bene” direttamente al pensiero, fonte vitale di comprensione del mondo.
Favorendo noi una riflessione vivace nei ragazzi, renderemo forse il servizio migliore a questo Giorno che, per essere vissuto nel modo più autentico, necessita di un pensiero non statico, non nozionistico.
Occorre fornire alle nuove generazione gli strumenti, anche empirici, per riflettere su cosa l’umanità è stata in grado di fare, perché non accada mai più.
Questo, forse, è il senso più vero del Giorno della Memoria, ed è un bene prezioso per tutti.





Lo sterminio e la Shoah






Con il termine Shoah venne
ufficialmente indicato lo sterminio degli ebrei operato dai
nazisti. Questo vocabolo venne usato per la prima volta nel
1938 nella Palestina sottoposta al mandato britannico durante
una riunione del Comitato Centrale del Partito Socialista,
in riferimento al pogrom della cosiddetta “Notte dei
Cristalli”.



Sotto e nella pagina a fianco, in
alto. I bambini che arrivavano ad

Auschwitz-Birkenau avevano solo due destini possibili:
passare entro pochi minuti entro la camera a gas oppure
diventare cavie per esperimenti medici.






Fotografia
scattata a Buchenwald l’11 aprile 1945. Tra
i volti dei prigionieri liberati è immortalato
quello di Elie Wiesel, futuro premio Nobel per la
Pace (nel cerchio).



Nella parola
Shoah, voce biblica che significa “catastrofe, disastro”,
è implicito che quanto è accaduto non ha alcun
significato religioso, contrariamente a ciò che richiama
il termine olocausto, spesso usato, che rinvia a un’idea
di sacrificio di espiazione. La Shoah è piuttosto un
genocidio, ovvero un’azione criminale che, attraverso
un complesso e preordinato insieme di azioni, è finalizzata
alla distruzione di un gruppo etnico, nazionale, razziale
o religioso.

 




Ben sei milioni di ebrei (secondo fonti tedesche),
giovani, vecchi, neonati e adulti, furono uccisi dalla violenza
nazista.

La Shoah si sviluppò in cinque diverse fasi:

I. la privazione dei diritti civili dei cittadini ebrei;


II. la loro espulsione dai territori della Germania;

III. la creazione di ghetti circondati da filo spinato, muri e guardie
armate nei territori conquistati a est dal Terzo Reich, dove gli
ebrei furono costretti a vivere separati dalla società e
in precarie condizioni sanitarie ed economiche;

IV. i massacri delle Einsatzgruppen (squadre di riservisti incaricate
di eliminare ogni oppositore del nazismo nei territori conquistati
dell’Ucraina e della Russia) durante le azioni di rastrellamento;

V. la deportazione nei campi di sterminio in Polonia dove, dopo
un’immediata selezione, gli ebrei venivano o uccisi subito
con il gas o inviati nei campi di lavoro e sfruttati fino all’esaurimento
delle forze, per essere poi comunque eliminati.

Queste tappe possono essere suddivise in due periodi storici:

- dal 1933 al 1940, quando il nazismo vide la soluzione della questione
ebraica nell’emigrazione;


- dal 1941 al 1945, quando venne attuato lo sterminio.

Il nazismo fece dell’attacco agli ebrei uno dei propri elementi
fondanti. Dal momento in cui giunse al potere, si scagliò
contro i cittadini ebrei con ogni mezzo di propaganda e con una
fitta campagna di leggi. Per convincere anche la pubblica opinione
della necessità di questa lotta, furono utilizzate le accuse
di deicidio, di inquinamento della razza ariana e di arricchimento
mediante lo sfruttamento del lavoro e delle disgrazie economiche
altrui.

Gli ebrei, secondo i piani dei gerarchi nazisti, avrebbero dovuto
scomparire dalla faccia della terra. Il progetto di Hitler, infatti,
era quello di rendere tutto il mondo Judenfrei (libero dagli ebrei).


Dal momento dell’entrata in guerra, la Germania rese sempre
più violenta la lotta contro i civili ebrei, iniziandone
l’eliminazione fisica. Con il proseguire del conflitto, più
si profilava certa una sconfitta per il Terzo Reich, più
si faceva intensa la guerra dei nazisti agli ebrei, come se la loro
distruzione totale potesse costituire una vittoria compensatrice.


La furia violenta del nazismo si scagliò però non
solo contro gli ebrei, ma anche contro: i tedeschi dissidenti (dall’apertura
del campo di Dachau, 1933); gli zingari (discriminati già
nel 1935 e deportati dal 1939); i Testimoni di Geova (perseguitati
nel 1933 e internati dal 1935); i prigionieri di guerra (dall’inizio
del 1939); i partigiani (dal momento in cui venivano annessi nuovi
territori al Reich); gli omosessuali (incarcerati e condannati dal
1934); i portatori di handicap (sterilizzati dal 1933; nel 1939
i primi a essere gassati in apposite “case di cura”
o su camion destinati alla gassazione, in base al Programma Eutanasia);
una parte del clero (dal 1937, quando papa Pio XI, nell’Enciclica
Mit Brennender Sorge, prese aperta posizione contro la Germania
hitleriana).

Bisogna però ricordare che, mentre ebrei e zingari furono
vittime dello sterminio sistematico di interi gruppi familiari,
colpevoli solo di esistere, tutti gli altri vennero perseguitati
perché avversari del regime al potere o non adatti al nuovo
ideale nazista di “uomo tedesco”. Questa differenza
si rispecchiava anche nelle diverse tipologie di campi creati dai
nazisti per i propri nemici.


In base a un’indagine compiuta da G. Schwarz, uno dei maggiori
studiosi dell’universo concentrazionario, i gerarchi nazisti
istituirono più di 10.000 campi sul suolo del Terzo Reich.


Cinquanta erano le categorie in cui venivano suddivisi i lager,
in base alle diverse finalità, ma sei in tutto erano i campi
di sterminio dove i deportati venivano selezionati e uccisi con
il gas, creati solo per ebrei e zingari: sono questi i luoghi della
Shoah.

Alla fine della prima guerra mondiale, dopo le norme del Trattato
di Versailles, la situazione politica e sociale della Germania era
altamente instabile. La lenta riconversione delle industrie belliche
secondo il Trattato, la riduzione dell’esercito a 100.000
unità imposta dai vincitori, il crollo dei cambi nel 1927
e quello della Borsa di New York nel 1929 favorirono la creazione
di gruppi organizzati e violenti che rappresentavano, in opposte
fazioni, il malcontento generale. Ordine sociale ed economico e
riscossa agli occhi dei vincitori della guerra del 1914-1918 furono
le richieste più pressanti che provenivano da vari strati
della frantumata società tedesca della Repubblica di Weimar.


L’austriaco Adolf Hitler seppe dare la risposta sbagliata,
ma brutale e convincente, a queste domande. Il 24 febbraio 1920,
tra i fumi di una birreria, Hitler espose al Partito dei Lavoratori
Tedeschi, di cui faceva parte dal luglio 1919, il proprio programma
incentrato sull’antisemitismo e sul principio di “ristabilire
la disciplina militare e inculcare nuovamente nella truppa i sentimenti
nazionali e patriottici”. Nell’aprile 1920 il Partito
cambiò nome e divenne Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori.

Il programma politico di Hitler era chiaro: egli predicava la superiorità
della razza ariana, incarnata dai popoli tedeschi, su tutte le altre.
Per raggiungere questo scopo voleva l’annientamento delle
razze inferiori che avevano contaminato la purezza germanica e la
conquista di uno spazio vitale in cui tornare a far prosperare gli
eletti ariani.

Dal 1923 Hitler divenne un punto di riferimento per tutti i movimenti
dell’estrema destra tedesca. Il 9 novembre 1923, forte del
consenso ottenuto, organizzò il Putsch (colpo di Stato) a
Monaco; dopo il suo fallimento e la conseguente incarcerazione egli
capì che il potere in Germania avrebbe dovuto contare su
solidi appoggi degli industriali, su un apparente rispetto della
legalità e sulla ricompattazione del popolo tedesco.


Condannato a cinque anni di reclusione per “alto tradimento”,
Hitler trascorse agli arresti meno di un anno, in cui dettò
al compagno di cella Rudolf Hess (divenuto poi un importante personaggio
del nazismo) il Mein Kampf. In questo scritto Hitler rese pubblico
il suo pensiero politico e il suo progetto di uno Stato basato su
un nuovo ordine politico, sociale e razziale.

Il 27 febbraio 1925, tornato in libertà, ricostituì
il Partito Nazionalsocialista, sciolto dopo il fallimento del Putsch.
Da quel momento sino al 1929 Hitler tentò di darsi una presentabilità
a livello internazionale e nazionale, cercando di rendersi gradito
agli ambienti industriali proponendosi come difensore della proprietà
privata, sfumando in modo molto abile l’aspetto anticlericale
del Partito e promovendone una riorganizzazione interna secondo
la quale tutto avrebbe ruotato sempre più attorno a lui.
Una costante di quegli anni di preparazione fu l’utilizzo
di una forte campagna antisemita e antibolscevica, in base alla
quale gli ebrei erano visti come i “burattinai del comunismo”
che avrebbero voluto dominare il mondo.

La propaganda di queste idee fu affidata a giornali di partito e
comizi che, utilizzando toni duri, volgari ed esasperati, avrebbero
raggiunto facilmente i ceti più disagiati. Per dare man forte
alle proprie idee, il Partito Nazionalsocialista utilizzò
anche squadre di picchiatori; nel 1921 nacquero infatti le SA (Sturmabteilungen)
e nell’aprile del 1925 le SS (Schutzstaffeln), un corpo paramilitare,
ispirato a rigidi criteri di arianità e fedeltà al
capo.

La grande crisi economica del 1929 portò un clima favorevole
alle idee di Hitler che riuscì ad affermarsi alle elezioni
del 1930, successo che crebbe fino a raggiungere il 44 per cento
dei consensi alle elezioni del 1933. Divenuto cancelliere, egli
eliminò dalla scena politica, in modo apparentemente legale,
tutti i suoi oppositori. Il 28 febbraio 1933, infatti, i comunisti
vennero messi fuori legge, poiché incolpati dell’incendio
del Reichstag (provocato in realtà dai nazisti).

Con le leggi di “degiudeizzazione” del 1933, con cui
veniva ordinato il licenziamento e l’esclusione degli ebrei
da tutte le funzioni pubbliche, Hitler diede subito prova di mantener
fede agli impegni elettorali, ponendo le basi dello Stato razziale
e creando nuovi posti di lavoro per gli ariani. Egli aveva vinto
le elezioni, infatti, promettendo Arbeit und Brot (pane e lavoro)
e la riscossa comune contro i nemici interni ed esterni del Reich.
In base a un ordine del 22 marzo 1933 venne ufficializzato per questo
scopo l’utilizzo di campi di concentramento con l’apertura
di Dachau, dove i primi a essere deportati furono gli oppositori,
i Testimoni di Geova, gli zingari e chiunque fosse risultato sospetto
al nuovo regime. Nel frattempo erano costanti i soprusi ai danni
degli ebrei tedeschi, che venivano descritti dalla propaganda nazionalsocialista
come estranei al popolo della “Grande Germania”. Contrariamente
a quanto sostenuto dalla propaganda, da anni la comunità
ebraica era parte integrante della società tedesca, diversamente
da quanto accadeva nell’Europa dell’Est, dove l’integrazione
sociale e culturale della minoranza ebraica era progradita più
lentamente.

Con le leggi di Norimberga del 15 settembre 1935, Hitler diede ufficialità
alle proprie idee antisemite già espresse nel Mein Kampf.
Da quel momento gli ebrei divennero ufficialmente cittadini inferiori
per legge e nascita. Numerose furono le leggi che scandirono la
loro vita “diversa”, come quella per cui dovevano frequentare
solo luoghi a loro riservati (esistevano addirittura panchine solo
per ebrei) o quella per cui dovevano premettere ai nomi propri Israel,
se maschi, o Sarah, se femmine.


Intanto dal 1936, con l’occupazione della Renania, Hitler
fece ripartire la macchina bellica tedesca in vista di una campagna
di espansione, che mirava a risarcire i tedeschi delle condizioni
imposte dal Trattato di Versailles e puntava alla conquista dello
“spazio vitale” per il Terzo Reich (il terzo impero
tedesco dopo il Sacro Romano Impero Germanico del 962 e l’Impero
Tedesco del 1871).

Così, nello stesso anno, accanto alle truppe dello spagnolo
Franco e dell’alleato italiano Mussolini, i nazisti presero
parte alla guerra civile spagnola. Il 13 marzo 1938 venne annessa
l’Austria (Anschluss) e i Sudeti divennero territorio tedesco.


Ma la notte tra il 9 e il 10 novembre venne anche scatenata una
vera e propria caccia all’uomo contro gli ebrei, in cui furono
bruciate centinaia di sinagoghe, distrutte gran parte delle loro
proprietà e uccise 90 persone: dalla quantità dei
vetri rotti rimasti per le strade, quella notte fu chiamata “Notte
dei cristalli” (Kristallnacht). Da allora ebbero inizio le
deportazioni nei campi anche degli ebrei arrestati nel corso delle
azioni punitive.

Sin da quei primi anni, quindi, possiamo oggi capire come la Germania
nazista combatté due guerre parallele: una contro i nemici
esterni, che ebbe inizio il 1° settembre 1939 e sfociò
nel dramma della seconda guerra mondiale; l’altra contro gli
ebrei, cittadini inermi, secondo le leggi naziste colpevoli di esistere.


Da qui ebbe origine la Shoah, la cui legalizzazione si formulò
in tre tappe fondamentali:

1935: leggi di Norimberga;


1939: leggi sull’emigrazione forzata degli ebrei dal territorio
tedesco verso i ghetti nella Polonia occupata;

1942: Conferenza di Wannsee.

Questi tre eventi furono scanditi da una serie di provvedimenti
burocratici che permettevano a qualsiasi uomo ariano di commettere
crimini contro un suo simile pur continuando a considerarsi un buon
cittadino, e anzi per questo essere ricompensato dallo Stato.


gotop

fonte:binario21





filovirus59
00giovedì 28 gennaio 2010 14:21
nessuno dimentica e può dimenticare...ma dello sterminio degli indiani d'america come mai non ne parla nessuno?..ci sono razze estinte grazie all'uomo bianco eppure, come si dice..non fanno storia.
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