Intervista a Graham Hancock

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Sheenky Oo
00mercoledì 24 ottobre 2012 10:06
INTERVISTA A GRAHAM HANCOCK

Articolo di Adriano Forgione
Fonte: www.romaoggi.com/hera5.htm

Ho incontrato Graham Hancock a Malta nel dicembre 2001. Ero con Robert Bauval ed Anton Mifsud nella hall di un elegante albergo dell'isola. Il colloquio è stato cordiale e fitto lo scambio di informazioni. Gli chiesi ragguagli sulle scoperte in India, annunciate nel marzo 2001, e mi rispose: "Presto ne saprai di più. Quando sarà il momento telefonami e te ne parlerò". Oggi, dopo la notizia della datazione delle città sommerse, il momento è giunto. Nessuno meglio di lui poteva fornirmi informazioni precise su questa recente scoperta e sulle polemiche che attualmente stanno nascendo intorno al suo nuovo libro, "Underworld", appena uscito nei paesi di lingua inglese.



A.F. Dunque, Graham, in Inghilterra il tuo nuovo libro "Underworld" è uscito quasi in contemporanea con l'omonimo documentario che hai girato per Channel 4. Quali aspettative hai da questo tuo nuovo lavoro, che ti ha visto impegnato negli ultimi anni?

G.H. Aspettative in termini di reazioni del pubblico?

A.F. Sì, ma, soprattutto, in termini di reazioni dell'ambiente archeologico accademico.

G.H. Con questo libro spero di ottenere una risposta più razionale e ragionevole da parte degli accademici, rispetto al passato. Il libro è comunque un attacco contro l'archeologia "ortodossa" e sottolinea molti dei suoi probabili fallimenti, ad esempio a Malta, ma questa volta ho cercato di basare molto più solidamente i contenuti del libro su prove archeologiche accertate. Insomma, ho cercato di fare delle dichiarazioni molto radicali ma supportate da prove archeologiche irrefutabili. Credo che, questa volta, nel libro ci saranno molte affermazioni su cui gli archeologi troveranno difficile essere in disaccordo: almeno è quello che spero. Spero anche che, con le mie ricerche, riuscirò a far prendere seriamente in considerazione il fatto che, alla fine dell'ultima Era Glaciale, 25 milioni di chilometri quadrati di territorio furono inondati: un evento che non è mai stato adeguatamente studiato dagli archeologi. E quest'area assente dalla storia dell'umanità è troppo vasta perché si possa affermare di avere in nostro possesso tutti gli elementi della vicenda.

A.F. Quali sono stati gli ultimi sviluppi, dopo il tuo annuncio circa il ritrovamento delle due città sommerse in India e la loro datazione al radiocarbonio?

G.H. Ho notato che gli accademici hanno reagito con un atteggiamento di cautela: ovviamente devono tenere conto dell'annuncio reso dal governo indiano ma, chiaramente, non vogliono credere all'esistenza di città così antiche sul fondo del mare. Quindi, tutto ciò ha causato loro un certo grado di conflitto e difficoltà. Credo, comunque, che la richiesta più pressante sia stata quella di compiere maggiori ricerche sull'argomento: ricerche indubbiamente necessarie e spero che, nei prossimi sei mesi, riuscirò ad organizzare delle immersioni nei siti delle due città, in collaborazione con il team indiano del NIOT (National Institute of Ocean Technology). Nel frattempo, è importante sottolineare l'esistenza di un altro sito, nel sud-est dell'India, che riveste un ruolo primario nel mio libro. Si chiama Poompuhar e ci tornerò nel mese di marzo con una spedizione internazionale, britannica e indiana, per esplorarlo accuratamente. Mi sono già immerso alcune volte, in quel sito, l'ho descritto nel libro ed è stato filmato nel documentario: si tratta di una struttura molto grande, a forma di U con l'apertura rivolta verso nord, e venne sommersa circa 11.000 anni fa.

A.F. Non è ancora stata studiata?

G.H. Io l'ho esplorata, ma solo con un limitato numero di immersioni e anche l'Istituto Nazionale Indiano di Oceanografia l'ha esaminata ma anche loro hanno potuto effettuare solo poche immersioni perché non hanno fondi sufficienti per svolgere delle ricerche adeguate. Adesso abbiamo raccolto i fondi necessari per finanziare una spedizione internazionale ed effettueremo tre settimane di ricerche nel sito, perché non si tratta di una singola struttura, intorno a quella principale ve ne sono altre 27 individuate con il sonar a scansione, quindi si tratta di un intero complesso di edifici. La geologia del luogo, poi, indica molto chiaramente il periodo in cui fu sommerso, 11.000 anni fa o forse ancora prima.

A.F. Molto interessante, quindi le affermazioni dei geologi contrastano con quelle degli archeologi?

G.H. Sì, effettivamente è così. Vedi, il punto su cui tutti devono trovarsi d'accordo è la questione dell'innalzamento del livello dei mari alla fine dell'Era Glaciale. La scienza è molto chiara su questo argomento, con prove fondate ed ampiamente dimostrate, e nessuno nega che, a quel tempo, andò persa un'enorme estensione di terre emerse. Ma gli studiosi non hanno considerato quanto fossero nevralgiche, durante l'Era Glaciale, quelle aree di territorio, perché si trovavano vicino alla costa, spesso in zone riparate e dal clima più mite, dove sicuramente la gente aveva cercato rifugio dal clima glaciale delle zone più settentrionali.
Credo che, per l'archeologia, questo sia un vero punto cieco: molte delle teorie finora enunciate sull'origine della civiltà sono state sviluppate tenendo conto dei mutamenti climatici e di altri aspetti della fine dell'Era Glaciale, ma nessuno ha mai preso in considerazione il fatto che potrebbe esserci stata un'antecedente evoluzione dell'agricoltura e degli insediamenti urbani, in quei territori poi sommersi dalle acque. Così come nessuno ha mai considerato che, probabilmente, non è un caso se quelli che oggi interpretiamo come i primi segni di civiltà presenti nei reperti archeologici, apparvero proprio nello stesso periodo in cui avvenne quest'enorme inondazione e che, forse, sono opera dei sopravvissuti al diluvio.

A.F.. Puoi spiegarmi come ti sei trovato coinvolto in questa eccezionale scoperta e come ti hanno accolto gli esperti dell'Istituto Nazionale Indiano di Oceanografia?

G.H. Il team indiano mi ha accolto molto bene fin dall'inizio. Il mio interesse verso l'India risale a molto tempo fa: la prima volta in cui sentii parlare di una città sommersa in India fu nel 1992 e, in quello stesso anno, mi recai sul posto ma non ho potuto immergermi nel sito, che si chiama Duhaka e si trova nel nord-ovest dell'India, prima del 2000. Per potermi immergere fu necessario incontrare i responsabili dell'Istituto Nazionale di Oceanografia, perché sono loro i responsabili del sito, e ci volle quasi un anno prima di riuscire ad ottenere il permesso di effettuare le immersioni. Comunque, quel sito non è antichissimo: quando mi recai là ero aperto a qualunque possibilità ma sono giunto a questa conclusione dopo aver osservato le strutture, che si trovano in acque basse e presentano somiglianze con uno stile architettonico indiano più recente, forse medievale. Tuttavia, pur non essendo molto antico, quel sito per me rappresentò l'ingresso nel mondo misterioso dell'archeologia indiana, nonché l'occasione di entrare in contatto con l'archeologia subacquea indiana e riuscire a compiere delle immersioni in altri siti. Vorrei chiarire che le due città sommerse del nord-ovest sono state scoperte da un altro istituto indiano, con iniziali simili: l'Istituto Nazionale per la Tecnologia Oceanografica. Non sono archeologi ma oceanografi e, a maggio dell'anno scorso, stavano redigendo una mappa del fondale nel Golfo di Cambay e svolgendo delle ricerche sull'inquinamento della zona, quando scoprirono la presenza delle strutture con il sonar a scansione. Non appena la notizia venne resa pubblica, io li chiamai e rimasi in contatto fino a novembre-dicembre 2001, quando mi recai sul posto per lavorare con loro.

A.F. Che tipo di reperti sono stati analizzati, finora, e come sono stati recuperati dal mare?

G.H. I reperti sono stati recuperati con uno speciale braccio meccanico. L'imbarcazione è stata posizionata proprio sopra le strutture individuate dal sonar ed il team ha calato sul fondale il braccio meccanico, che ha riportato in superficie i manufatti direttamente dal sito. Questo è l'unico modo in cui sono riusciti a recuperare i manufatti, finora, perché immergersi in quella zona è estremamente complicato e difficile: prima di tutto il sito si trova a grande profondità, poi ci sono delle correnti molto forti. Effettuare un'adeguata operazione di immersioni - che, comunque, compiremo in marzo - richiede un supporto logistico maggiore di quello che avevamo a disposizione all'epoca. L'uso del braccio meccanico è un sistema piuttosto rozzo, ma avevamo bisogno di stabilire se, effettivamente, nel sito si trovassero dei manufatti oppure no. Avendo ormai accertato la presenza di manufatti, il braccio meccanico non verrà più utilizzato, ma si procederà con le immersioni.

A.F. Fra i reperti recuperati, vi sono oggetti che presentano iscrizioni o qualche forma di scrittura?

G.H. Sì, uno dei reperti è un frammento di pietra con dei caratteri in rilievo sulla superficie che sembrerebbero proprio una qualche forma di scrittura.

A.F. Caratteri simili alla scrittura dell'Indo?

G.H. Sono differenti, ma si possono riscontrare delle somiglianze. Credo che esista senz'altro una connessione tra questa civiltà e quella dell'Indo anzi, per la precisione, credo che la civiltà dell'Indo sia semplicemente una forma più tarda di quella stessa cultura che costruì le città sommerse. Penso vi sia una continuità culturale in India e che le origini della civiltà dell'Indo siano da ricercare proprio sott'acqua. Ma bisogna risalire molto indietro nel tempo, fino a 8.000/9.000 anni fa, per trovare queste origini.

A.F. Ho letto che alcuni archeologi americani, come Garrett Fagan, stanno levando strali contro di te, accusandoti di volerti appropriare indebitamente di una scoperta di grande valore scientifico. Noi sappiamo che non è vero, ma cosa rispondi ai tuoi detrattori?

G.H. In verità, io ho semplicemente fatto il mio dovere di reporter, riferendo la storia della scoperta dei manufatti e delle città sommerse compiuta dai ricercatori indiani. Se io non avessi riportato la notizia, sicuramente non avrebbe avuto una tale risonanza, in Occidente; addirittura, inizialmente in Gran Bretagna la notizia fu totalmente ignorata ed ero stupefatto che nessun giornale se ne occupasse, così cercai di attirare l'attenzione del pubblico sul ritrovamento e scrissi alcuni articoli in proposito. Tutto qui, ma non è una mia scoperta, la scoperta è del NIOT e non ho mai affermato il contrario, quindi trovo molto strano che mi si accusi di rubare il merito di questo ritrovamento. Il lavoro del reporter consiste nel riferire le notizie ed è esattamente quello che faccio.

A.F. Le immagini sonar mostrano strutture di una complessità sbalorditiva, per una civiltà preistorica. Ci sono altre informazioni circa la composizione architettonica di questi centri urbani?

G.H. Le uniche nuove informazioni provengono da un'analisi tecnica della porzione inferiore delle strutture, sottostante il fondale, che mostra delle fondamenta molto dense e massicce, quasi sicuramente costituite da enormi blocchi di pietra: sembra, quindi, che le costruzioni furono concepite su scala estremamente vasta. Quel che lascia perplessi è il fatto che i reperti recuperati finora non sono affatto spettacolari, sono proprio il genere di oggetti che ci si aspetterebbe di trovare in un insediamento indiano di circa 9.000 anni or sono. L'unica loro particolarità sorprendente è il fatto di trovarli nel contesto di queste grandi città sommerse. Sembra molto strano che lo stile dei manufatti sia tipico di altri siti dello stesso periodo ma che il sito stesso in cui sono stati trovati sia completamente diverso, molto più complesso e ben 150 volte più vasto di qualunque altro insediamento della stessa epoca.

A.F. Tu affermi che le analisi al Carbonio 14 datano queste città al 9500 a.C. circa, mentre le dichiarazioni ufficiali citano il 7500 a.C. Sono entrambe date molto remote ma c'è uno scarto di 2.000 anni. Puoi spiegare questa discrepanza?

G.H. No, non è esatto. In realtà, uno degli oggetti esaminati al C-14 risale a 9.500 anni fa, ovvero esattamente al 7500 a.C. mentre un altro reperto risalirebbe ad un migliaio di anni prima di questa data, cioè 10.500-11.000 anni fa.

A.F. Ok, chiarito l'equivoco. Ma com'è possibile che una civiltà di almeno 9.000 anni fa fosse in grado di erigere dei centri urbani di questo tipo? Secondo gli archeologi, in quel periodo della civiltà dell'Indo erano appena sorti siti come Merghar - più simili a piccoli villaggi che a vere e proprie città - come spieghi questa anomalia?

G.H. L'unica ipotesi che posso avanzare è che lo sviluppo dell'agricoltura sia avvenuto prima di quanto si pensi, e che abbia avuto luogo proprio nelle grandi pianure presso le coste. Per qualche motivo, questo antico popolo era decisamente gente di mare: vivevano lungo la costa, vicino al mare. All'epoca il clima nelle regioni dell'interno era sicuramente molto arido, freddo ed inospitale e, quindi, non avevano grandi incentivi per trasferirsi nei territori interni. Ripeto, la mia è solo una teoria, ma credo che la spaventosa alluvione che distrusse queste città lasciò comunque dei sopravvissuti e un sito come Merghar potrebbe essere stato costruito proprio dai superstiti di quell'anteriore, ormai perduta, civiltà costiera.

A.F. è una teoria molto interessante: una storia analoga a quella di Nevali Çori e Çatal Höyük, in Turchia.

G.H. Sì, esatto. Sussistono molti misteri, riguardo Merghar, perché i suoi primi abitanti conoscevano già le tecniche di allevamento e l'agricoltura, sapevano già erigere costruzioni di mattoni, possedevano molte abilità che avevano evidentemente sviluppato altrove, ma nessuno sa dove.

A.F. Se la datazione al C-14 suggerita si rivelerà corretta, credi che sarà necessario riesaminare anche le attuali datazioni delle progredite civiltà di Harappa e Mohenjo Daro?

G.H. No, osservando i resti di città come Mohenjo Daro, Harappa e Dolavira, credo che le loro datazioni siano, probabilmente, esatte. Inoltre, ripercorrendo l'evoluzione di queste città indietro nel tempo, si può notare un ininterrotto processo evolutivo, a partire da insediamenti primitivi come Merghar, fino allo sviluppo dei grandi centri urbani tipici della civiltà dell'Indo. Quello che sostengo, invece, è che andrebbe considerata molto più attentamente l'evoluzione avvenuta prima della costruzione di Merghar, perché gli indizi suggeriscono che, in un periodo anteriore, vi fu una civiltà molto più progredita che in seguito fu distrutta e che poi risorse lentamente, sia a Merghar che in altri siti. Ed è esattamente quel che sostengono tutti gli antichi miti indiani…la storia del dio Manu parla proprio di questo. Non è un caso se Manu viene ricordato come il custode delle sementi e come colui che ripristinò l'agricoltura dopo il Diluvio.

A.F. Molto interessante. Questo ritrovamento sembra confermare che le culture più evolute appena uscite dall'Era Glaciale fossero insediate nell'area situata fra gli attuali Afghanistan, Pakistan e India. Come inseriresti questa nuova scoperta nel panorama del concetto accademico, a mio parere discutibile, delle invasioni Arie?

G.H. Credo che le invasioni Arie siano una finzione ed una completa assurdità, in realtà non sono mai avvenute. Anche molti accademici ortodossi come il britannico Colin Renfrew, ad esempio, sono assolutamente certi che non vi fu mai nessuna invasione Aria, che non sono mai esistite le popolazioni Arie e che l'intera faccenda sia una semplice fantasia, inventata durante il periodo dell'imperialismo britannico per tentare di risolvere un enigma linguistico. All'epoca trovarono degli indizi che suggerivano una connessione fra il sanscrito, il latino ed il greco e, convinti com'erano della superiorità della cultura latina e greca rispetto a quella indiana, ipotizzarono che il sanscrito fosse nato in occidente e che si fosse poi spostato in oriente, attraverso le fantomatiche invasioni. Ovviamente, è molto più logico che sia avvenuto il contrario, ovvero che il sanscrito sia originato in India, in quelle pianure costiere oggi sommerse, e che si sia poi diffuso dall'oriente verso l'occidente.
Non esistono prove che siano avvenute le invasioni Arie ed è verosimile che le lingue indo-europee siano state usate in India per più di 8.000 anni. Questo è il punto di vista di Colin Renfrew e io lo condivido.

A.F. Oltre alle due città sommerse in India, quali sono stati i siti che hai esplorato durante le tue ricerche per il libro "Underworld" e quale, tra questi, presenta le prove più evidenti dell'esistenza di un'antica civiltà pre-diluviana?

G.H. Senz'alcun dubbio quelli situati in Giappone e fra Taiwan e la Cina. La zona lungo le coste orientali cinesi, che è larga 1.500 chilometri e si estende ininterrottamente dall'estremità meridionale della Cina fino alla penisola coreana, fu completamente sommersa dalle acque alla fine dell'Era Glaciale. Ed è esattamente in quest'area, nel Giappone meridionale e fra Taiwan e la Cina, che troviamo affascinanti rovine sommerse (cfr HERA 21). Io credo che appartengano ad un "episodio mancante" nella storia della civiltà di quella zona geografica. Quindi, oltre all'India, è questa l'area che prediligo. Comunque, anche il Mediterraneo è una zona interessante: come sai, ho svolto una discreta quantità di ricerche su Malta e credo ci sia davvero molto da scoprire, in quei fondali.

A.F. Anche il tuo documentario su Malta ha scatenato parecchie controversie…

G.H. è vero. Sfortunatamente, trattandosi di un documentario televisivo, non fornisce delle informazioni dettagliate e contiene solo un paio delle mie idee su Malta. Ma il 99% di quello che ho da dire su Malta si trova nel libro, quindi credo che, leggendolo, la gente otterrà il quadro completo del contesto in cui s'inseriscono le mie osservazioni e le comprenderà molto meglio.

A.F. L'idea di Atlantide che avevi espresso in "Impronte degli Dèi" e "Custode della Genesi " sembra trasformarsi in qualcosa di più complesso e vasto, in "Lo Specchio del Cielo". Qual è il modello di Atlantide che presenti in "Underworld" ?

G.H. Ho sempre pensato che quello di Atlantide fosse solo uno dei circa 600 miti riguardanti il Diluvio finora scoperti, in giro per il mondo. La maggior parte di essi ha diverse caratteristiche in comune con la storia di Atlantide, ad esempio l'esistenza di un'antecedente civiltà altamente progredita, punita dagli dèi per aver commesso qualcosa di imperdonabile e distrutta da una terribile alluvione. Questo è un tema molto comune e ricorrente in tutte le culture del mondo, quindi non trovo nulla di davvero speciale nel mito di Atlantide, a parte il fatto di fornirci una datazione precisa per quell'evento, che avvenne intorno agli 11.600 anni fa, come ben sai: datazione che corrisponde perfettamente ad un periodo di rapido scioglimento dei ghiacci, successivo all'ultima Era Glaciale. è estremamente difficile capire come Platone possa aver scelto casualmente tale collocazione temporale perché, se avesse voluto scegliere intenzionalmente un periodo in cui il mondo era effettivamente colpito da alluvioni su vasta scala, catastrofici terremoti e violente eruzioni vulcaniche, l'epoca più indicata sarebbe stata proprio 11.600 anni fa.
Per quanto riguarda la loro cultura, cerco di non fare troppe congetture sul livello di civiltà che avevano raggiunto, ma non ho alcun dubbio che si trattasse di una civiltà progredita, perfettamente in grado di disegnare mappe del mondo intero. Credo che questo sia l'indizio più evidente del loro elevato grado di civiltà, infatti, in "Underworld" ne parlo diffusamente e presento un vasto corpus di nuovi materiali assolutamente inediti, riguardanti quelle antiche mappe. Ho evitato di ripetere ragionamenti già esposti prima, non mi sembrava necessario; ho cercato solo materiali completamente nuovi, che dimostrano la perfetta analogia esistente fra le antiche mappe e quelle moderne basate su rilevamenti scientifici, per quanto riguarda l'aspetto della Terra alla fine dell'Era Glaciale. Penso che una cultura di questo livello si possa definire estremamente progredita…anzi, forse non si trattò di un'unica civiltà: credo che, nel caso dell'India, abbiamo a che fare con almeno due distinte civiltà, una nel nord-ovest e l'altra nel sud-est, che avevano dei contatti e condividevano concetti religiosi e idee ma che erano, comunque, diverse. E poiché credo che circostanze analoghe si siano verificate in tutto il mondo, forse non è il caso di parlare di un'Atlantide ma di molte Atlantidi.

A.F.. Le tracce di questa civiltà sono evidenti non solo nelle vestigia archeologiche ma anche nel patrimonio spirituale dell'umanità, che sembra avere un nucleo comune. Cosa ne pensi?

G.H. Credo che sia assolutamente vero. Proprio per questo motivo non mi sono limitato ad esplorare i siti sommersi, in "Underworld", ma mi sono concentrato sullo studio degli antichi testi religiosi indiani, i "Veda". Io penso che la prima civiltà sviluppatasi in India fosse una cultura estremamente spirituale e che la spiritualità fosse la sua vera essenza. Infatti, fu precisamente questo aspetto che cercarono di salvare, quando la loro civiltà fu distrutta, e i Veda erano i loro testi sacri - come, del resto, narrano i Veda stessi - testi che vennero poi riutilizzati nella nuova era del mondo, riscoperti e resi pertinenti alle mutate condizioni di vita ed al nuovo stato di cose. Quindi, sono convinto che i Veda ci forniscano una visione incredibilmente approfondita del carattere delle culture del remoto passato. In altri libri avevo esaminato gli antichi testi sacri egizi, ma in "Underworld" mi sono concentrato quasi esclusivamente sui testi indiani e, marginalmente, su alcuni testi giapponesi.

A.F. Sembra che, al largo di Cuba, giacciano delle strutture piramidali, a circa 800 metri di profondità. è una profondità assai maggiore del sollevamento del livello dei mari avvenuto alla fine dell'Era Glaciale. Ho visto le immagini sonar e sono eccezionali. In base alla tua esperienza, come spiegheresti questa anomalia?

G.H. Sì, le "piramidi" di Cabo San Antonio…ho dedicato tre o quattro pagine del libro a questo ritrovamento, penso si tratti di una scoperta molto interessante. Ho motivo di credere che, nell'arco di quest'anno, ci saranno delle rivelazioni, riguardo questa città sommerse. Penso che abbiano già scoperto qualcosa e che non si tratti di formazioni naturali…questa è la mia opinione (cfr. HERA N°19 - 25). Anche perché quella è proprio una delle zone in cui ci si aspetterebbe di trovare delle strutture: intorno al Centroamerica, che fu uno dei maggiori centri in cui si svilupparono delle grandi civiltà, in epoche successive.
Nel caso di Cabo San Antonio, abbiamo chiesto ai geologi quale fenomeno potrebbe giustificare la presenza di strutture architettoniche ad una tale profondità, perché il sollevamento dei mari, effettivamente, non è sufficiente a spiegarla. Se si trattasse solo di questo, la città, o qualsiasi cosa sia, non potrebbe trovarsi ad una profondità maggiore di 120 metri. Secondo alcuni potrebbe essersi trattato di un massiccio franamento del terreno sottomarino: è uno dei fenomeni più probabili, in quella particolare area geologica, e si sa che eventi del genere sono già avvenuti, in passato. Una frana del genere può far inabissare una vasta area di territorio molto rapidamente e a grande profondità. Ci tengo a sottolineare che sto solo facendo delle congetture, basandomi sulle scarne informazioni che sono trapelate finora. D'altra parte, ho buone speranze che tali congetture prenderanno corpo nel corso di quest'anno.

A.F.. Bene, un'ultima domanda: quali sono i tuoi progetti futuri?

G.H. Insieme a Robert Bauval sto finendo la stesura di un libro, per il quale abbiamo firmato un contratto nel 1994…forse Robert te ne ha parlato, s'intitola "Talisman". Dopodichè, intendo scrivere un libro sulle origini dell'uomo, risalendo ancora più indietro nella nostra storia…ma questo è un progetto a lungo termine.

A.F. .Ok, Graham, grazie per la tua disponibilità.

G.H. è stato un piacere, Adriano, a presto!
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 20:53.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com