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Alex1304
00martedì 29 novembre 2011 01:11
L'UOMO SELVATICO IN ITALIA

di Giorgio Castiglioni

L’uomo selvatico dipinto in un edificio di Sacco, in Valtellina (da Perego 2001, p.14).
Leggende

Le leggende sull’uomo selvatico sono molto diffuse lungo l’arco alpino e gli Appennini. L’uomo selvatico vi compare come un vero e proprio uomo, dotato di razionalità, più ingenuo e semplice, forse, ma anche superiore all’uomo civilizzato in alcune attività.
Le diverse narrazioni hanno elementi comuni tra loro
Una prima caratteristica ricorrente è nell’aspetto dell’uomo selvatico, il cui corpo è ricoperto da un folto pelo che rende in genere superfluo l’uso di abiti.

Sono numerose e proveniente da diverse zone le storie in cui l’uomo selvatico appare come un maestro dell’arte casearia e insegna agli uomini a fare il burro e il formaggio. Il suo insegnamento si interrompe prima che venga rivelato un ultimo segreto del mestiere, in genere quello di trarre la cera dal siero del latte.
A Lucignana (Lucca), si racconta che l’uomo selvatico, dopo aver insegnato a fare il burro, stava per andarsene, ma gli uomini insistettero tanto che si fermò ad insegnar loro anche a fare il cacio. Fece per andarsene, ma anche questa volta fu fermato da inviti pressanti a proseguire e così spiegò come produrre la ricotta. A questo punto lo lasciarono andare e lui, lasciando la compagnia, fece sapere che si erano persi un’ultima lezione: “Se mi ci tenevate anche un po’ vi c’insegnavo a levare anche l’olio”
Non diversa è la risposta data dall’uomo selvatico della Valle del Fersina: “se tu mi avessi chiesto ancora qualcosa, io ti avrei detto di più”
In Val d’Aosta, l’ommo sarvadzo, dopo aver insegnato a produrre i vari tipi di formaggio, voleva spiegare come rendere utile anche il siero del latte servendosi di un fiore, la nigritella. Agli uomini questa operazione sembrava assurda e, mostrando poca riconoscenza e scarsa finezza, risero del selvatico il quale si adombrò, se ne andò e non rivelò mai il segreto che stava per svelare
Nel Biellese a far allontanare l’uomo selvatico, e con lui i suoi preziosi insegnamenti, è uno scherzo giocatogli da alcuni giovinastri che resero bollente la pietra su cui era solito sedersi o, secondo un’altra versione, vi posarono una chiave arroventata
Per apprendere i segreti del selvatico, gli uomini usavano anche mezzi poco rispettosi.
Il salvanel della Valsugana fu catturato facendolo ubriacare per costringerlo a rivelare i suoi segreti. Fu rilasciato dopo aver insegnato la lavorazione di burro, caglio e formaggio, prima che spiegasse come trarre la cera dal siero
Poteva anche andargli peggio. A Vinca (Massa) si narra che dopo che gli fu carpito il modo di fare la ricotta ed il burro, l’uomo selvatico fu addirittura ucciso

Devo alla cortesia della signora Anna Zecca un’interessante informazione su Sacco, un paese della Valtellina dove si può vedere un dipinto dell’uomo selvatico (ne parlerò più avanti). Si raccontava che se, quando si faceva il formaggio nelle baite, non si lavorava per bene, l’umìn selvàdich compariva alla finestra e correggeva gli errori commessi. Curiosamente, nonostante in questa storia appaia come un personaggio saggio ed utile agli uomini, l’umìn selvàdich era usato anche come spauracchio per i bambini (Zecca 2004).

A Bellino (Blins) sono invece le foulatones (le “stupidone”) ad insegnare l’arte casearia, chiedendo di mantenere segreto il loro insegnamento. La loro fiducia viene tradita degli uomini e le foulatones, sdegnate, se ne vanno. Anche nelle Valli Valdesi si racconta di “donne-fate” che insegnano la lavorazione dei latticini

L’uomo selvatico è anche considerato abile nel far pascolare il bestiame.
Il salvanel della Valsugana “ha un gregge numeroso di capre dalla lana abbondante” (e in più ruba il latte dalle bestie altrui)
In altre storie gli uomini affidano all’uomo selvatico le loro bestie
In genere, come abbiamo visto, l’uomo selvatico è presentato come colui che ha insegnato agli uomini la lavorazione dei derivati del latte. In qualche storia, però, insegna anche altre utili conoscenze, come quella di guarire il bestiame, di riconoscere le erbe medicinali, di lavorare il ferro
Una leggenda valdostana, per esempio, narra che l’ommo sarvadzo, dopo l’episodio della nigritella citato sopra, si era trasferito nella Val di Cogne e, dando ancora prova della sua generosità, si era messo ad insegnare agli uomini l’uso del ferro. Ma anche qui gli uomini ricambiarono la sua disponibilità con l’ingratitudine e il selvatico decise di lasciare i monti della Val d’Aosta

Il salvan della Val Gardena aiutava i contadini nel loro lavoro

Quando c’era vento, l’ommo sarvadzo della Val d’Aosta “si nascondeva e nessuno sapeva dove fosse andato a rintanarsi”. Anche nelle valli piemontesi in cui Massimo Centini ha raccolto le testimonianze degli abitanti del luogo, l’uomo selvatico teme il vento ed è così pure in Toscana
A Coreglia (Lucca) si racconta che l’uomo selvatico ride quando c’è brutto tempo perché sa che poi arriverà il sereno e viceversa piange quando c’è bel tempo perché arriverà poi il mal tempo
Di questo curioso comportamento si parla anche nei versi del Dittamondo (1367) di Fazio degli Uberti: “Come s’allegra e canta l’uom salvatico / Quand’il mal tempo tempestoso vede / Sperando nello buono, ond’egli è pratico”
Anche Matteo Maria Boiardo, nell’Orlando innamorato (libro I, canto XXIII, ottava 6) scrive dell’uomo selvatico:
E dicesi ch’egli ha cotal natura,
Che sempre piange, quando è il cel sereno,
Perché egli ha del mal tempo alor paura,
E che ‘l caldo del sol li vegna meno;
Ma quando pioggia e vento il cel saetta,
Alor sta lieto, ché ‘l bon tempo aspetta.

In quasi tutte le leggende, l’uomo selvatico è un essere pacifico. Anzi, talvolta è lui a subire derisioni o scherzi sciocchi, ma reagisce semplicemente allontanandosi e non facendosi più vedere.
In genere è una figura molto seria, ma in qualche racconto può essere più allegro.
Il gigiat della Val Masino, per esempio, suona lo zufolo, ride, grida e balla
Il massaruò del Cadore ama suonare il subiotto (uno strumento a fiato) per far ballare i giovani ed “è d’umore allegro, socievole, combina tiri birboni alla gente”
Anche quando si mette in testa di combinare guai, comunque, il selvatico appare semmai goliardico, e forse anche un po’ stupidotto, più che malvagio.
Secondo un anziano della Val Grana (Cuneo), il sarvanot, anche se “non era cattivo, faceva dispetti, soprattutto alle donne”. Buttava a terra i panni stesi, per esempio, o scambiava il sale con lo zucchero. O ancora si introduceva nelle stalle per far confusione con le catene delle mucche
Aurelio Garobbio riferisce che i servan piemontesi erano “folletti” dispettosi che intrecciavano le code dei cavalli, mettevano i ricci delle castagne nei letti e si lasciavano andare ad altre amenità, ma altre volte sapevano anche rendersi utili mungendo le mucche, tagliando l’erba, raccogliendo il grano
Anche ai salvanelli, o sanguanelli, dell’altopiano dei Sette Comuni piaceva giocare con le catene delle mucche ed inoltre si divertivano a nascondere oggetti e a spaventare gli innamorati. Altro loro scherzo era quello di portare fuori strada i viaggiatori (ma poi magari ci ripensavano e andavano a recuperarli) (Garobbio 1975, p.114).
“Dispettoso e nocivo” era il sarvanòt della Val Maira (Piemonte). A Melle un contadino, stanco degli scherzi di un sarvanòt, lo murò vivo nella grotta dove si nascondeva
Raramente l’uomo selvatico è dipinto come un essere feroce e addirittura antropofago.
In una storia di Montìcolo (Trentino Alto Adige), un uomo selvatico divora la moglie di un contadino e inchioda alla porta una parte del Corpo
Anche il bilmon della Val Fersina (Trentino) “insieme a un corteo di spiriti dannati inchioderebbe parti del corpo delle proprie vittime alle porte delle case” (Centini 1989, p.165).
Dei salvanchi di Sassalbo si dice che siano “irsuti come caproni e più feroci dei lupi” e che non solo rubino negli alpeggi, ma anche “appetiscano la carne umana” (Garobbio 1963, p.145; Garobbio 1969, pp.179-180).

Il mazzarol del Cismon “è piccolo di statura, calza zoccoli, ha un abito di lana rossa, ha un proprio gregge e lo governa. Ha insegnato a cuocere i formaggi, a ricavare la cera dal siero”. Su di lui si racconta una curiosa storia: chi per sbaglio calpesta una sua impronta è costretto a seguire le sue orme sino alla caverna dove riceve polenta e latte e deve curare il gregge finché vuole il mazzarol.
(Garobbio 1975, p.145; vedi anche Garobbio 1977, p.37).

L’uomo selvatico è di solito raffigurato come un essere solitario, ma in qualche storia cerca, in un modo che non poteva essere molto apprezzato dagli uomini, di procurarsi compagnia.
Si narra che in una caverna presso Andorno Micca, vicino a Biella, viveva un om salvei che “se ne stava isolato, ma aveva un animo buono e generoso: saggio e pacifico, viveva con il suo gregge di pecore e capre”. Anche qui il selvatico era esperto nell’arte casearia e di buon grado aveva accettato di insegnare alle donne a fare il burro e il formaggio. Tuttavia, invaghitosi di una ragazza, l’aveva rapita e questo, ovviamente, non era piaciuto agli abitanti del luogo che erano andati a riprenderla con la forza. Dopo questo scontro, l’om salvei non si era più visto (Cordier 1986, p.201).
Anche a Regnano (Massa) si parla di rapimenti di donne da parte dell’uomo selvatico (Cordier 1986, p.207).
Del salvanel della Vasugana si dice che rapisse i bambini, allevandoli poi con grande amore (Centini 2000, p.15).

Abbiamo sin qui parlato di “uomo selvatico” al singolare, come, in effetti, è in genere nelle leggende che lo riguardano. Talvolta, però, i selvatici sono più d’uno.
Una leggenda della valle di Poschiavo parla dell’arrivo di una “frotta di selvaggi” provenienti dal monte Sassalbo (Perego 2001, pp.16-17).
Secondo un anziano della Val Grande di Lanzo (Piemonte) “una volta erano tanti […]; vivevano soli, ma erano parecchi”. Centini riferisce che quasi tutte le persone da lui intervistate in questa valle e nella Val Grona (in provincia di Cuneo) “sono concordi nell’affermare che esistono ancora discendenti del Selvaggio e li identificano con quelle persone, spesso malformate o deprivate del linguaggio, che vivono in abitazioni distanti dal centro abitato”. Un altro anziano interpellato riferiva che “i vecchi, come mio zio, dicevano che era nero e che il selvaggio esisteva” ed un altro ancora diceva di sapere “che un selvaggio c’è ancora, vive su in montagna con le capre” (Centini 1989, p.47; Centini 2000, pp.21-22).

In qualche storia compaiono anche donne selvatiche.
Secondo un racconto, di tanto in tanto da Giuribrutto e dai Lastei del Predazzo scendevano delle donne selvatiche. Una di queste chiese ad una filatrice a ballare con lei. Un po’ perplessa, la ragazza accettò l’invito e danzarono per tre giorni di fila, al termine dei quali la donna selvatica le regalò tre foglie di betulla. Anche se le veniva da ridere, la ragazza si trattenne e accettò il dono. Le foglie si trasformarono in oro (Garobbio 1963, pp.184-185).
Sui monti di Onies (Trentino Alto Adige), secondo la leggenda, vivevano famiglie di uomini selvatici e le loro donne “crescevano con grande amore i figli come fanno tutte le mamme del mondo” (Centini 1989, p.32).
Nelle Alpi centro-orientali si parla delle anguane, donne selvatiche che hanno uno stretto rapporto con le acque. Le anguane sono conosciute anche con altri nomi: “Agane, Subiane, Zubiane, Aiguane, Oane, Longane, Pagane, Pagagnole, Aganis, Aguanes, Vivane, Gane, Guanes, Ghiane, Anghianae, Bregostane, Ondine, Sagane, Vane, Aivane, Guandane, Angene”. Sono spesso presentate come lavandaie o filatrici (Centini 2000, pp.30-31).
Una leggenda friulana un po’ inquietante dice che le anguane “che sorprendevano una donna a filare quando non era consentito, la divoravano e avvolgevano le sue interiora sul fuso” (Centini 2000, p.31).
In alcune storie si dice che le anguane abbiano il piede caprino. Una leggenda le descrive addirittura come “mostri metà donne e metà serpe”, alla cui sgradita presenza fu posta fine con un esorcismo del vescovo di Trento (Garobbio 1975, p.153; Garobbio 1973, p.31).
I vescovi di Trento dovevano essere specializzati in questi esorcismi perché uno di loro avrebbe pure allontanato definitivamente da Faver, in Val Cembra, un uomo selvatico che importunava gli abitanti ed in particolare le donne (Garobbio 1973, p.109; Garobbio 1988, p.248; Centini 1989, pp.42-43; Centini 2000, p.87).

In altre storie, invece, anguane ed altre donne selvatiche sono esseri amabili al punto che gli uomini ne vengono affascinati e le sposano.
C’è una leggenda assai triste secondo la quale una donna, invidiosa del fascino che una salvaria aveva su un giovane, ordì una trama contro di lei. La salvaria fu uccisa a sassate. Dal suo sangue nacquero le sassifraghe di Valparola (Garobbio 1963, p.203).
Al passo del Falzarego, vicino a Cortina d’Ampezzo, si racconta la storia di un taglialegna che si innamorò di una bellissima ragazza che “era una Salvaria, ossia una donna del bosco, costretta a vivere nelle grotte, tra le rocce, perché gli uomini le avevano cacciate dalle loro terre”. La salvaria accetta di sposarla a condizione che il taglialegna non usi mai il suo nome. Un giorno, però, l’uomo viene a sapere da un’altra salvaria il nome della moglie e, impaziente, la chiama. Non vedrà più la donna del bosco (Bertino 1972, pp.366-367; vedi anche Garobbio 1975, p.173).
Una storia uguale si racconta per un’anguana sposata da un uomo (Canestrini 1988).
In altre storie, il gesto “proibito” può essere diverso.
Due contadini della Val Ridanna che avevano sposato due donne selvatiche dovevano invece ricordare di non nominare mai il sole. Naturalmente capitò l’occasione in cui se ne dimenticarono e le consorti abbandonarono loro ed i figli rifugiandosi sulle montagne (Garobbio 1973, pp.147-148).
Un montanaro di Pezzei sopra Colfosco non doveva toccare né sfiorare con il dorso della mano il volto della ganna che aveva sposato. Un giorno, avendo le mani occupate, la ganna chiese al marito di allontanarle dal viso un moscerino che la infastidiva. Lui la accontentò, ma inavvertitamente toccò la faccia della moglie con il dorso della mano. Lei lanciò un urlo disperato e, dopo aver guardato desolata il marito ed i figli, scomparve (Garobbio 1973, p.147).
Per un giovane di Calalzo, la condizione era che non chiamasse mai l’anguana che aveva sposato “pie’ di capra”. Il marito lo fece e l’anguana sparì (anche se forse in questo caso sarebbe a ragione sparita anche una donna “normale”) (Garobbio 1977, p.73).

Le leggende sull’uomo selvatico sono dunque molto diffuse anche se, come ha fatto Rossana Sacchi per la Valtellina, si può chiedersi “se si tratti di narrazioni effettivamente diffuse in loco o se siano soltanto una generica ripresa di folklore alpino mutuato da altre zone” (Sacchi 1995, p.479).
Il numero di queste storie ha portato Umberto Cordier ad ipotizzare che potessero essere basate su un essere reale:
“La mole delle leggende è così notevole da far pensare alla reale esistenza di qualche ominide selvaggio in tempi remoti: l’intensa urbanizzazione d’Europa, più precoce che in altri luoghi del mondo, dovette ridurre progressivamente lo spazio vitale di questi esseri fino a causarne l’estinzione” (Cordier 1986, p.188).
Pur apprezzando molto gli studi di Cordier e la cortesia dell’autore, sempre disponibile a condividere le informazioni di cui ha conoscenza, non credo però che si possa legare la figura fiabesca dell’uomo selvatico della leggenda ad un essere reale.


Toponomastica

“Nel Biellese, non lontano dal Lago della Vecchia nella valle d’Andorno, si addita lo speco dove abitava l’Uomo Selvatico; a Prevano in Vallelunga – siamo nell’alta Venosta – una rientranza della roccia è detta il Sasso dell’Uomo Selvatico” (Garobbio 1988, p.245).
A Levigliani (Lucca), nelle Alpi Apuane al confine tra Toscana e Liguria, c’è una caverna chiamata la Tana dell’Uomo Selvatico. Secondo la tradizione vi abitava un uomo selvatico che viveva isolato e che aveva insegnato agli uomini la lavorazione dai latticini (Cordier 1986, pp.205-206).
In Piemonte troviamo la Tuna d’la Maria Morta che si diceva essere il rifugio di una donna selvatica (sopra Fenestrelle, in Val Chisone), il pertus dal Sarvanòt (a Melle), il Bric del Selvatico (a Chiampernotto, nella Val Ala). Sopra Cagnò (Trentino) c’è il bus del Salvanel (Centini 1989, pp.93-100).
A Chiavenna c’è via dell’Homo Selvatico. C’era un’Osteria dell’Uomo Selvatico che, dopo la chiusura, è stata riaperta in un altro edificio come Trattoria dell’Uomo Selvatico (Cordier 1986, p.199; Sacchi 1995, p.510; Perego 2001, pp.50-51).



L’insegna della Trattoria dell’Uomo Selvatico a Chiavenna
(da Perego 2001, p.51).

Anche a Milano c’era un’osteria intitolata all’uomo selvatico (Sacchi 1995, p.510).
Ce n’era una (la citò il poeta Bartolomeo Dotti, 1651-1731) anche a Venezia dove ancor oggi, vicino a piazza San Marco, c’è la Calle Drio al Salvadego (Cordier 1986, p.199; Centini 2000, p.46).


L'uomo selvatico dipinto e scolpito

L’uomo selvatico è stato spesso dipinto o scolpito. Va notato però che, come ha osservato Rossana Sacchi, la leggenda dell’uomo selvatico “non presenta comunque alcun legame con la rappresentazione iconografica dell’Uomo Selvatico stesso” (Sacchi 1995, p.479).

A Sacco, in Val Gerola (in provincia di Sondrio), su una parte interna di un edificio fu dipinto nel 1464 da tali Battistino e Simone un uomo selvatico, coperto da un folto pelo bruno che lascia scoperti solo il volto, le mani ed i piedi. In mano ha un grosso e nodoso bastone e un’iscrizione vicina alla sua testa recita: “Et sonto un homo salvadego per natura chi me offende ge fo pagura”. E’ stata avanzata l’ipotesi che Battistino e Simone siano della famiglia di pittori Baschenis di Averara, ma secondo Eugenia Bianco tale identificazione “rimane ancora da dimostrare”. La Camera picta di Sacco, fino a qualche tempo fa adibita a fienile (e una voce popolare vorrebbe che in passato fosse il refettorio di un monastero), oggi ospita il Museo dell’Homo Salvadego (Pini 1922; Benetti 1986; Cordier 1986, p.196; Centini 1989, pp.39-40; Sacchi 1995, pp.480-485; Perego 1998; Il Medioevo… 2000, p.317; Perego 2001, pp.31-32, 53-57; Zecca 2004).

A Tirano (ancora in provincia di Sondrio), sulla Porta poschiavina, furono dipinti due salvanchi dal pelo rossiccio che impugnavano un bastone. Secondo il giudizio di Massimo Centini, uno dei due “appare più vicino al modello del salvadego e l’altro invece si avvicina al modello dell’eremita”. Purtroppo, le figure si sono deteriorate. Scrive Natale Perego: “Durante un nostro ulteriore e recente sopralluogo abbiamo constatato come lo stato di degrado dei Salvanchi tiranesi sia proseguito, al punto che oggi è possibile leggere solo l’alone della loro possente figura.” (Cordier 1986, pp.197-199; Centini 1989, p.40; Sacchi 1995, pp.485-487; Centini 2000, p.85; Perego 2001, p.43).

Su un muro della Casa di Arlecchino ad Oneta (nel comune di San Giovanni Bianco, in Val Brembana) fu dipinto un uomo selvatico con il consueto bastone e l’iscrizione “Chi no e de chortesia non intragi in chasa mia se ge venes un polteron [poltrone] ce daro col mio baston”. Il corpo sino alla vita e parte del volto sono andati perduti. L’affresco originale, risalente forse alla metà del ‘400, fu tolto nel 1939-1940 sostituendolo con una copia (Sacchi 1995, pp.487-488, 505; Centini 2000, pp.80-81; Rho 2001, pp.60-61; Perego 2001, pp.44-47).


L’uomo selvatico di Oneta
(da Perego 2001, p.46)

A Bressanone si può vedere la statua di un uomo selvatico tricefalo. La statua è forse del XVI secolo e due delle tre teste potrebbero essere state aggiunte nel secolo

A Vipiteno Giovanni de Wild, “distintosi nella lotta contro i Turchi”, fece dipingere un uomo selvatico (Wild significa “selvatico”) in uno stemma sulla sua dimora

Uomini selvatici compaiono anche al castello del Buon Consiglio di Trento, tra gli stucchi del Salone degli Arcieri del Palazzo Ducale di Mantova, tra le sculture del duomo di Milano e della cattedrale di Ferrara

Maschere dell'uomo selvatico


In alcune località, l’uomo selvatico è una maschera del carnevale.
A Cepina (Sondrio), fino al 1975, sfilavano omen del bosk, femena del bosk e bagon [figlio] del bosk. A Campitello (Val di Fassa) l’om dal bosch partecipa al corteo e così è nell’Agordino (Belluno) per l’om salvarek e la sua donna. A Termeno (Bolzano) viene messa in scena la caccia e l’uccisione dell’uomo selvatico. Anche a Tesero (Val di Fiemme) il salvanel è braccato e quindi fucilato. Ricordano l’uomo selvatico i crapòn di Sueglio (Lecco) e i brüt del carnevale di Schignano (Como) (Perego 2001, pp.60-65).
A Rivamonte Agordino, nel giorno di san Marco, i giovani cacciano l’om salvàrech “coperto di muschio e di fronde di pino” (Garobbio 1975, p.157; Garobbio 1988, p.248).

Nel 1491, le feste per le nozze di Alfonso d’Este con Anna Sforza e di Lodovico il Moro con Beatrice d’Este videro anche “staffieri camuffati da Uomini Selvatici”. Dieci anni dopo, quando Alfonso d’Este sposò in seconde nozze Lucrezia Borgia, ci furono “danze di uomini selvatici che portavano corni dell’abbondanza”. Uomini selvatici apparvero anche alle nozze di Annibale Bentivoglio con Lucrezia d’Este (Cordier 1986, p.192; Garobbio 1988, p.248).


Il "selvaggio" in mostra


Konrad Gesner riferiva che a Genova nel 1548 due “satiri” vivi, uno piccolo ed uno già adulto, erano portati al seguito dell’arciduca d’Austria Filippo insieme ad una sirena morta (Gesner 1558, p.1056).

Ulisse Aldrovandi scrisse che una donna aveva portato con sé a Bologna una bambina di otto anni il cui corpo era coperto dal pelo, figlia di un “uomo silvestre” nato nelle isole Canarie che aveva anche un’altra figlia di dodici anni e un figlio di venti anni, anche loro pelosi (Aldrovandi 1642, p.16).


La bambina “silvestre” portata a Bologna
(da Aldrovandi 1642, p.18)

A Como nel 1871 il Gran Serraglio Milanese mise in mostra, oltre a leoni, tigri, pantere, orsi, lupi, iene, boa e pitoni, anche (citiamo da un periodico di quei tempi) “un uomo selvaggio che è veramente l’unico venutoci sotto gli occhi. Una specie di anello fra la scimmia e l’uomo, che farebbe andare in solluchero il venerando Tommaseo, che vuole ad ogni costo regalarci per avi gli orangotani” (Serraglio… 1871).
L’ultima frase è evidentemente un attacco ironico alla teoria della discendenza dell’uomo dalla scimmia. Il riferimento a Niccolò Tommaseo è, però, un clamoroso errore, dato che questi, al contrario, nel suo libro L’uomo e la scimmia aveva attaccato duramente tale teoria ed il suo sostenitore Alessandro Herzen, guadagnandosi, tra l’altro, una recensione elogiativa sul giornale stesso da cui abbiamo tratto questa notizia, il “Corriere del Lario” (Sacchi 1869).

Non vi è ragione alcuna di mettere in dubbio la veridicità di questa notizia. Il “selvaggio” del Gran Serraglio Milanese doveva essere un uomo affetto da ipertricosi (crescita eccessiva di pelo).
Nei tempi passati capitava che individui con anomalie fisiche fossero oggetto di una curiosità che oggi a ragione reputeremmo morbosa e magari esposti come fenomeni da baraccone (Thompson 1930).
Nella stessa Como, per esempio, un paio di decenni prima del “selvaggio” era stato mostrato a pagamento un uomo albino, presentato dalla stampa come un “divertimento straordinario” (Spettacoli… 1853).
Anche nel caso citato da Aldrovandi (e forse anche in quello dei “satiri” di Gesner), sembra di essere di fronte a persone affette da ipertricosi. Se è vero che il disturbo colpiva sia il padre che i figli, è lecito supporre che, come ha scritto Joe Nickell, che ha indagato con occhio scettico su molti presunti misteri, la famiglia delle Canarie dovesse “soffrire di un’anomalia genetica” (Nickell 1995, p.222).


Avvistamenti recenti

L’11 ottobre 1970 un gruppo di sei escursionisti che era andato al cratere dell’Etna notò e fotografò sette orme simili per la forma a quelle di uomo, ma con il segno di sole tre dita, lunghe un metro e mezzo e poste a distanza di quattro metri l’una dall’altra. Le impronte affondavano nel suolo per quindici centimetri. Dopo venti giorni i sei, insieme ad altre persone, erano tornati sul luogo ed avevano scattato altre foto (Esiste… 1970).
Si parlò di una sorta di yeti dell'Etna, mentre Eugenio Siragusa, del "Centro Studi Fratellanza Cosmica", propose addirittura "la tesi che le tracce fossero state lasciate dalle «zampe» di un «modulo» spaziale di atterraggio" (Conti 1971, pp.10-11).
Le misteriose ed enormi impronte erano state fotografate e le foto dovevano essere portate all’università di Catania perché fossero studiate (Esiste… 1970).
Secondo un articolo pubblicato su "Il giornale dei misteri", gli scopritori delle orme avrebbero informato del ritrovamento un docente e alcuni aiutanti dell'università, ma questi "non dimostrarono il minimo interesse" (Conti 1971, p.10).
Non sono riuscito a sapere se qualcuno dell'università di Catania abbia effettivamente esaminato le impronte o visto le foto. Ho scritto a tale università per avere informazioni in merito, ma mi è stato risposto che non risulta nulla sulla vicenda.
In ogni caso, anche se avessero visto foto come quella qua sotto, non si sarebbero certo convinti che un gigantesco scimmione camminava sulle pendici del vulcano (per non parlare della strampalata idea del modulo extraterrestre).



Un'orma sull'Etna (da Conti 1971, p.11)

 

Nell’inverno del 1974 a Ceppaloni un’anziana disse di aver visto “un essere più animalesco che umano” ed a San Leucio un ragazzo parlò di “un animale dalle sembianze scimmiesche” (Cordier 1986, p.208).

Nella valle del fiume Sele (Salerno), tra la fine del 1980 e l’inizio 1981, ci furono diversi avvistamenti di “un ominide di sesso maschile alto più di due metri, con larghe spalle, il corpo ricoperto da peli lunghissimi, e una strana testa con occhi incandescenti” (Cordier 1986, pp.208-209).

A Rosta (Valle di Susa, in provincia di Torino), all’inizio del 1982, “furono trovate grosse impronte di «qualcosa» che si spostava in posizione eretta e che addentava e graffiava con rabbia le cortecce degli alberi, ma non sembrava trattarsi di un orso. Un abitante del paese fu svegliato nel cuore della notte dall’abbaiare dei cani e vide una strana figura antropomorfa dileguarsi nella boscaglia” (Cordier 1986, p.209).

A Ripole (frazione di Montoggio, Genova), nel gennaio del 1983, un camionista avrebbe avuto un incontro ravvicinato (quattro metri di distanza) con un mostro “grosso e coperto di fitto pelo scuro, con un testone sproporzionato, in posizione eretta”. La creatura gli avrebbe scagliato contro la cagnetta da caccia. Qualche mese prima (agosto 1982), in una frazione di Genova, un agricoltore aveva trovato “nella sua vigna devastata stranissime unghiate e morsicature attribuibili ad un animale insolito sia per forma che per dimensioni”(Cordier 1986, p.209).

Nella prima metà del ventesimo secolo, un novello Frankenstein di nome Serge Voronoff sostenne la possibilità di aumentare il vigore fisico ed intellettuale degli uomini tramite il trapianto di ghiandole di scimmia e addirittura di creare, effettuando l’innesto già nei bambini, “una nuova razza di «superuomini»” e così scrivere “forse una nuova pagina nella storia dell’umanità” (parole sue). Per avere a disposizione scimmie per i trapianti, Voronoff aveva pensato di allevarle nella sua residenza di Grimaldi, presso Ventimiglia, come ricordava in un suo libro: “Essendo, in certo modo, il custode e il promotore del tesoro di vita che le scimmie possono mettere a nostra disposizione, ho creduto mio dovere di prendere l’iniziativa d’un primo deposito d’allevamento di scimmie in Europa per diffondere l’esempio. L’ho stabilito al castello Grimaldi, alla frontiera franco-italiana”. E poco oltre scriveva: “Ogni scimmia può essere paragonata ad un’officina in cui quel grande artefice che è la natura, forma degli organi suscettibili d’essere trapiantati nel corpo umano, per riparare al logorìo dei suoi. I depositi di scimmie costituiranno dunque delle vaste officine destinate a fornire dei pezzi di ricambio per la macchina umana” (Voronoff 1930, pp.131, 133, 169).
In un’altra sua opera, Voronoff sosteneva di aver colmato i deficit mentali di individui affetti da cretinismo “con l’innesto della ghiandola tiroide di uno scimpanzé” (Voronoff 1949, p.183).
Il suo nome fu ricordato dai giornali quando nell’ottobre del 1997 il settimanale di Imperia “La Riviera” scrisse che un poliziotto ed uno studente universitario avevano riferito di aver visto qualche mese prima (le date attribuite ai presunti avvistamenti sono il 7 maggio ed il 27 luglio) una “creatura mostruosa con la faccia umana ma il corpo di gorilla” proprio a Grimaldi.
Dopo la pubblicazione dell’articolo, anche un produttore musicale svizzero avrebbe raccontato di aver visto nei boschi di Ventimiglia nel dicembre del 1996 “una creatura gigantesca, alta più di due metri, che si muoveva tra gli arbusti. Sembrava un incrocio tra un uomo primitivo e un gorilla”. Aveva “i capelli lunghi, il viso di un anziano e il corpo coperto di peluria” (Abbiamo… ed altri articoli indicati 1997).



Serge Voronoff
(dalla pagina a fianco del frontespizio di
Serge Voronoff, L’amour et la pensée chez les bêtes
et chez les gens, Paris : Fasquelle, 1936)
La presenza sullo sfondo di una curiosa figura di scienziato - stregone dà un tocco romanzesco a quest’ultimo caso, ma non ne aumenta certo la plausibilità, né si può dire che siano molto credibili gli altri avvistamenti citati.
Fonte bibliotopia.altervista.org/zoologia/uomoselvaticoit.htm
Qualche approfondimento
www.cumpagniadiventemigliusi.it/Voce_storia/Voronoff.htm
Qua l'articolo Dal Corriere delle Sera



GENOVA, UN POLIZIOTTO E UNO STUDENTE RACCONTANO DI ESSERSI IMBATTUTI NEL " MOSTRO "
" Abbiamo visto un uomo scimmia in Riviera "
----------------------------------------------------------------- Genova, un poliziotto e uno studente raccontano di essersi imbattuti nel "mostro" "Abbiamo visto un uomo - scimmia in Riviera" GENOVA - Sulla Riviera ligure divenne celebre perche' prometteva l'eterna giovinezza con trapianti di testicoli di scimpanze'. Un riconoscimento scientifico non l'ebbe mai, ma i pazienti al contrario non gli mancarono. Astenici, impotenti e arteriosclerotici affollarono la clinica di Serge Voronoff, nella sua tenuta di Grimaldi presso Ventimiglia, a cavallo tra le due guerre. Con l'innesto di ghiandole di scimmie, questo chirurgo russo - francese, autore di opere dimenticate come "Dal cretino al genio", "rianimo" fior di vegliardi pieni di soldi e di illusioni. Se la medicina ufficiale ignoro' i suoi "esperimenti", la comunita' di Grimaldi non l'ha mai dimenticato: tanto che oggi, a quasi cinquant'anni dalla sua morte, c'e' anche chi sostiene di aver visto degli uomini - gorilla aggirarsi nei paraggi della villa di Voronoff. Al settimanale "La Riviera" un poliziotto e uno studente hanno infatti raccontato di essersi imbattuti in una "creatura mostruosa con la faccia umana ma il corpo di gorilla". Due testimonianze, queste, rimaste anonime e quindi non verificabili. Uno scherzo o pura suggestione? Le gabbie delle scimmie, che Voronoff usava per i suoi "incroci", sono comunque ancora li', nella tenuta di Grimaldi, oggi trasformata in residence per anziani. Ma nessuno sembra manifestare velleita' di ringiovanimento.



Pagina 19
(23 ottobre 1997) - Corriere della Sera
archiviostorico.corriere.it/1997/ottobre/23/Abbiamo_visto_uomo_scimmia_Riviera_co_0_97102321...

Piccolo video su Voronoff

vimeo.com/7817711
eone nero
00martedì 29 novembre 2011 01:30
Uomo selvatico

L'Uomo selvatico è un essere umano leggendario presente in molte tradizioni popolari italiane, soprattutto alpine e appenniniche, dove assume nomi diversi a seconda della lingua locale:

Homo salvadego in valtellinese, Om salvàrech in bellunese, Omo salvatico in lucchese, Om pelos in trentino, Ommo sarvadzo in valdostano, Urciat, nel dialetto della Valchiusella.

Le storie che riguardano questo essere, comunemente descritto come irsuto e con capelli e barba lunghi, si tramandano da tempo immemore nella tradizione orale.

« È sostanzialmente un comune mortale che vive al di fuori del consesso umano preferendo i luoghi isolati, la montagna, il bosco. A contatto con la natura ha esaltato al massimo le sue caratteristiche fisiche che gli assicurano la vita: forza, robustezza, fiuto eccezionale per inseguire la preda. È timido, rifugge dal prossimo isolandosi al punto tale da attenuare le sue capacità psichiche fino alla stupidità. Non si lava né si pulisce. Non si rade né si taglia i capelli cosicché questi si fondono raggiungendo le ginocchia. Per questo diventa una figura terrificante esaltata dalla pelle di caprone con cui si ammanta. Un atto gentile lo intenerisce. A volte sente il bisogno di fraternizzare con gli uomini. Allora si ferma insegnando loro i mestieri della malgazione, della lavorazione dei latticini di cui è maestro. »

Compare ad esempio: in un ciclo di affreschi a Sacco di Cosio Valtellino in Valgerola del 1464, dove la casa che ospita gi affreschi è stata trasformata in un museo; altre raffigurazioni si trovavano sulla porta poschiavina delle mura di Tirano (ora quasi completamente cancellate dal tempo); sul simbolo della Lega delle Dieci Giurisdizioni; sulle guglie del Duomo di Milano; come personaggio nella celebrazione della Giubiana da Canz, che si svolge a Canzo l'ultimo giovedì di gennaio.

Oltre che essere un personaggio leggendario e un simbolo iconografico diffuso in tutto l'arco alpino, l'uomo selvatico è anche una maschera carnevalesca. La sua funzione è quasi sempre quella di capro espiatorio e personifica il lato oscuro ed incontrollabile della natura alpina.

Alcune "leggende" lo vedono parente di alcune delle più celebri maschere della commedia dell'arte, come Arlecchino e lo Zanni, ma l'origine della maschera del Selvatico risale a tempi molto più antichi; inoltre, non ha mai subito la trasposizione da figura atavica e inquietante dell'immaginario popolare alpino a maschera teatrale, se non in spettacoli occasionali nei periodi carnevaleschi.
Nelle valli del Canavese è considerato uomo saggio, conoscitore dei segreti della lavorazione del burro e dell'allevamento degli animali domestici. Resiste a tutto tranne che al vento. Si racconta che fosse tanto vecchio da aver visto la campagna mutare ed evolversi: sette volte la valle è stata prato, sette volte campo, sette volte bosco, quindi abbandonata.

In Garfagnana l'omo salvatico vive nelle grotte, fabbricandosi gli utensili da cucina con uno scalpello; inoltre insegna ai pastori come produre burro, formaggio e ricotta e in una storia nota a Pescaglia, Tereglio e Lucignana avrebbe insegnato anche a trasformare il latte in olio se i pastori non lo avessero lasciato andare via. Pare che l'omo salvatico rida quando piove e pianga quando c'è bel tempo: atteggiamento a prima vista incomprensibile, ma che viene spiegato ritenendo che le condizioni atmosferiche del presente sono all'opposto di quelle che seguiranno.

Un personaggio simile compare nelle Fiabe italiane di Italo Calvino. La fiaba è la n. 51, "Il gobbo Tabagnino" (di origine bolognese). In questo caso particolare, il personaggio ha lo stesso ruolo dell'Orco.
Selvatico è un termine utilizzato in araldica per indicare un uomo irsuto cinto e coronato di foglie, talora con la clava e con la spoglia ferina sulle spalle.

La figura dell'Uomo Selvatico compare nel folclore di molte nazioni, almeno fin dal medioevo (ma anche la figura di Enkidu, nel mito di Gilgamesh, ha alcune delle sue caratteristiche).
L'Uomo Selvatico compare nelle fiabe dei fratelli Grimm "L'uomo selvatico" (De wilde Mann) e "L'uomo di ferro" (Der Eisenhans). In particolare, nella fiaba "L'uomo di ferro", l'Uomo Selvatico ha una funzione di Aiutante o di Donatore.

it.wikipedia.org/wiki/Uomo_selvatico



L'uomo selvatico di Sacco


Homo salvadego di Sacco in Valtellina

Nell'abitato di Sacco di Cosio Valtellino, all'inizio della Val Gerola, vi è un edificio (antica abitazione di notai) che riporta una preziosa testimonianza, perfettamente conservata, del mondo orobico del XV secolo. La camera principale fu utilizzata come fienile fino agli ultimi decenni del secolo scorso, questo uso continuato nel tempo non ha però leso la superficie intonacata e affrescata delle pareti: come altre "camere picte" di questo periodo ha decorazioni floreali stampigliate e cartigli con preghiere e proverbi. Diverse figure si succedono sulle pareti: un cacciatore, una grande Pietà con San Bernardo, il committente inginocchiato, i tre volti della trinità sull'architrave di ingresso e un uomo nudo, ricoperto di peli, che porta una lunga clava, è l'uomo selvatico, dalla cui bocca, come un fumetto, esce la frase:


« Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me ofende ghe fo pagura »


Sopra la Pietà si legge Simon et Battestinus pinxerunt (forse pittori della famiglia Baschenis di Averara, artisti itineranti, famosi per le loro danze macabre) e la data in cui fu conclusa l'opera: "18 maggio 1464"; sotto fino a qualche anno fa era leggibile anche il nome del committente, raffigurato in ginocchio in preghiera, sul lato destro della Pietà: "Augustinus de Zugnonibus".

L'uomo selvatico di Sacco rappresenta in pieno quella contrapposizione uomo\natura, villaggio\bosco, colto\incolto, sapienza\ignoranza, presente nella zona alpina, questa tradizione ha profonde radici nella cultura popolare, ed è diffusa in un'area che più o meno coincide con quella di influsso celtico. Soprattutto nell'arco orobico la tradizione popolare del selvadego (di cui quello di Sacco è la testimonianza principale e meglio conservata) rientra in una vasta produzione di leggende e racconti in cui il sacro, il luogo sicuro e protetto, è lo spazio abitato, mentre il bosco e l'incolto, le valli buie e disabitate, diventano i luoghi dei sabba malefici, dell'arcano, del diavolo, delle magàde (streghe).

In Valtellina le testimonianze narrative orali che riguardano direttamente l'homo salvadego sono scarse, eppure il personaggio è una maschera del Carnevale di Gordona (Baghüta) in Valchiavenna e rientra in un'usanza carnevalesca - oggi estinta - a Cepina in Valdisotto:


« Si costruiva nella campagna, al limitare del bosco, una rozza capanna (bajta del bósk). Il più robusto giovane del paese vi si rifugiava con un altro travestito da donna. Ambedue erano coperti di peli e si chiamavano l'uno l'omen del bosk, l'uomo del bosco, l'altro la fémena del bosk, la femmina del bosco. Una squadra di giovani dava poi, armata di fucili, l'assalto alla capanna e l'incendiava. L'uomo e la donna del bosco - costretti a fuggire - venivan rincorsi, fatti pèrigionieri e tradotti sulla piazza. Quivi, alla presenza del popolo, venivan processati. La sentenza consisteva sempre nello stabilire la separazione dei coniugi, condannandoli uno su una sponda, e l'altro sull'altra della valle, per impedire la procreazione e obbligandoli a mantenersi più su che a mezza montagna, per evitare che tornassero a piantar casa in mezzo alla campagna e devastare i poderi »


Una delle tre Leghe Grigie, quella delle Dieci Giurisdizioni, pose l'uomo selvatico nel proprio stemma, motivando tale scelta col fatto che esso rimanderebbe agli albori del carattere nazionale retico, e a quei sentimenti spirituali infusi nei dati luoghi e nei suoi abitanti prima del cristianesimo.


it.wikipedia.org/wiki/Homo_salvadego


eone nero
00martedì 29 novembre 2011 01:38
UOMO SELVATICO
di Giorgio Borroni

L’Uomo Selvatico ha fatto la sua comparsa sin dalle culture più arcaiche, rivestendo con più o meno sfaccettature il ruolo dell’opposto, del contrario, che si ribella ad un sistema di regole che gli uomini di una determinata comunità si sono dati al fine di sceglierne uno più vicino all’animalità e alla natura; lo stesso aggettivo “selvaggio” o “ selvatico” identifica qualcosa di non addomesticato, incontrollabile e violento, (se riferito ai luoghi) impervio e inaccessibile, rozzo, che non ha a che fare con la civiltà urbana, contrapposto alle regole e soprattutto privo di controllo e di ragione.

Hayden White, in The forms of wildness ha fatto un’interessante comparazione tra la concezione di Uomo Selvatico degli ebrei, degli antichi greci e quella dei primi cristiani: sebbene vi siano alcune differenze di fondo, ciò che emerge è una sorta di opposizione, più o meno negativizzata o riguardante principi morali, tra i cosiddetti uomini “civilizzati” e quelli “selvatici”; ciò che risulta da tale analisi è che il pensiero ebraico, che vede il Selvatico come una sorta di frutto di stirpe maledetta, ha la controparte nella cultura dell’antica Grecia, in cui esso era alla stregua di proiezione della paura della possessione demonica. In entrambe le culture la mente del Selvatico viene descritta o identificata con la follia e la depravazione, sebbene gli ebrei, al contrario degli antichi greci, tendano a dare un significato morale alle caratteristiche fisiche: in altre parole, la civiltà ebraica era incline a identificare attributi esterni come la manifestazione di quelli interiori e questa tendenza si riversò anche in futuro nei processi mentali dell’uomo occidentale.
Secondo White, queste condizioni che designeremmo con i termini di ferinità, insania o crudeltà furono tutte ideate dagli antichi ebrei per essere aspetti della stessa condizione morale malvagia. La relazione tra la condizione di grazia e quella di ferinità è perfettamente simmetrica: colui che è nello stato di grazia prospera e la sua condizione è riflessa nel benessere e nella salute, nel numero della prole, la longevità, e l’abilità di produrre. Il maledetto, invece, si corrompe e girovaga in luoghi aspri, deforme, violento, e la sua animalità, la sua bruttezza e la violenza sono prove della sua maledizione.

Gli Uomini Selvatici archetipi del Vecchio Testamento sono i grandi ribelli contro il Signore, coloro che sfidano Dio, gli anti-profeti, giganti, nomadi come Caino, Ham e Ismaele, proprio quei particolari “eroi” che, nella mitologia e nelle leggende della Grecia, avrebbero avuto un posto d’onore al fianco di Prometeo, Odisseo ed Edipo. Come gli angeli che si ribellarono contro il Signore e vennero scaraventati giù dal cielo, questi sono ribelli nei confronti del Signore e si potrebbe dire che continuano senza freno a commettere il peccato di Adamo. […] essi sono dipinti come Uomini Selvatici che abitano una terra selvatica, sopra a tutti come cacciatori, seminatori di confusione, dannati, e generatori di razze che vivono nell’ignoranza irrimediabile o nella violazione delle leggi che Dio ha stilato per governare l’universo. La loro progenie sono i bambini di Babele, di Sodoma e Gomorra, una razza conosciuta per la sua corruzione. Ci sono uomini caduti al di sotto della stessa condizione di animalità; ogni uomo è contro di loro ed in generale (Caino è una notevole eccezione) possono essere uccisi impunemente.

Questa forma mentis nei confronti della diversità dell’essere Selvatico rappresentò anche il seme per la concezione di “inquinamento” della stirpe e delle razze, con tutto quello che poi è conseguito nel pensiero occidentale nel corso delle epoche.
White continua la sua analisi descrivendo il concetto di ferinità che si era venuto a creare in epoche successive:

I pensatori medievali, così come quelli degli antichi romani, concepivano sia i barbari che gli Uomini Selvatici come schiavi della natura, come, similmente agli animali, schiavi del desiderio e incapaci di controllare le loro passioni; come volubili, mutevoli, confusi, caotici; incapaci di una esistenza sedentaria e di auto-discilplina […] e ostili alla umanità “normale”[…].

Sebbene sia i barbari che gli Uomini Selvatici fossero supposti condividere queste qualità, una importante differenza rimase irrisolta tra loro: l’Uomo Selvatico vive sempre da solo, o al massimo con una compagna. Secondo il mito che prende forma nel Medioevo, l’Uomo Selvaggio è incapace di assumere le responsabilità di padre e se la sua compagna ha bambini, essa li abbandona nel luogo in cui li partorisce […]. Il Selvatico è convenzionalmente rappresentato come […] abitante degli immediati confini della comunità, è lontano dalla vista, sull’orizzonte, nella foresta vicina, nel deserto, le montagne o le colline. Egli dorme negli anfratti, sotto grandi alberi, nelle caverne degli animali selvaggi in cui porta bambini indifesi o donne per fare loro cose indicibili. Egli è pure scaltro: ruba le pecore dal recinto, i polli dal pollaio, beffa i pastori […]. Specialmente nel mito medievale l’Uomo Selvatico è detto essere coperto di peli, nero e deforme. Può essere un gigante o un nano oppure orribilmente sfigurato […]. Ma in qualunque modo egli è raffigurato, l’Uomo selvatico rappresenta sempre l’immagine dell’uomo uscito dal controllo sociale, l’uomo su cui gli impulsi della libido hanno raggiunto una piena ascendenza.

La concezione negativa dell’Uomo Selvatico come schiavo delle sue pulsioni dette però origine, nel Medioevo, anche ad un altro tipo di considerazioni su di esso che lo identificarono quale simbolo dell’evasione da un sistema sociale chiuso e rigido: forse è questa una delle ragioni principali del suo successo o della sua presenza quasi obbligata nell’ambito delle feste di piazza; White, infatti, sostiene che, nel Medioevo cristiano, il Selvatico era una sorta di distillato delle specifiche ansietà che giacevano al disotto delle tre sicurezze date dalle istituzioni cristiane della vita civilizzata: questi principi si traducevano nella “sicurezza del sesso”, ovvero nell’istituzione della famiglia, nella “sicurezza del sostentamento”, provveduta dalle istituzioni sociali, politiche ed economiche, e la “sicurezza della salvezza”, data dalla religione.

L’Uomo Selvatico non gode di nessuno dei vantaggi del sesso civilizzato, né di una regolarizzata esistenza sociale, né della grazia istituzionalizzata. Ma, deve essere sottolineato, nell’immaginario dell’uomo del Medioevo, egli non soffre di nessuna delle imposizioni richieste dall’appartenenza a queste istituzioni. Egli è l’incarnazione del desiderio, possedendo la forza, l’astuzia e la furbizia per dare piena espressione alla sua lussuria. La sua vita è instabile come il suo carattere. Egli è un ghiotto, mangia per soddisfarsi un giorno e muore di fame il successivo; è lascivo e promiscuo, senza essere conscio di cosa sia il peccato o la perversione (e per questo motivo privato dei piaceri dei più sofisticati vizi). La sua forza fisica e la sua agilità sono concepite in modo da sopperire alla diminuzione della sua coscienza.
Nella maggior parte delle credenze medievali sull’Uomo Selvatico, egli è forte come Ercole, veloce come il vento, astuto come il lupo e perverso come la volpe. In alcune storie questo essere imbroglione è tramutato in una sorta di saggezza popolare che lo rende un mago o alla fin fine un creatore di confusione.

Nell’ambito della concezione del vivere al di fuori degli schemi o di ogni regola e dello stato di ferinità rispetto a quello di civiltà, vennero accentuati, così come il carattere e le abilità, anche i tratti fisici: secondo la tradizione popolare il Selvatico è infatti irsuto o vestito di pelle e la sua arma caratteristica è una grossa clava o, in alcuni casi, un tronco d’albero sradicato come simbolo della sua forza spropositata.

Riguardo al suo carattere, in alcune tradizioni come quella della mitologia alpina, il modo di vivere del Selvatico è visto come letteralmente e totalmente “opposto” a quello dell’uomo civilizzato, così, questo personaggio è detto essere

[…] triste per il bel tempo e felice per il maltempo e per questa sua caratteristica è divenuto emblema, nella poesia cortese delle origini, dell’amante speranzoso nonostante la ritrosia dell’amata.
Fé com’omo selvaggio veramente / quand’ha rio tempo, forza lo cantare / co lo sperare / ca ‘l buon venga, ch’abassi sua doglianza; Con sì dolce parlar e con un riso / da far innamorare un uom selvaggio (C. Davanzati).

Un altro modo di manifestare l’opposizione con il mondo civilizzato da parte del Selvatico è il suo essere depositario di conoscenze culturali dispensate ab origine agli uomini, che si possono tradurre ad esempio nel detenere il segreto dell’arte casearia o di quella della caccia: ed in questi casi spesso e volentieri, nel mito, si ha il contatto tra la cultura civilizzata e quella che segue la natura quando gli uomini civili imparano determinati segreti dal loro opposto; un simile tratto non può certo non ricordare, come già accennato da White nel suo saggio, una figura come quella di Prometeo, sacrilega ed innovatrice allo stesso modo, e forse capace di raggiungere una conoscenza di tipo diverso proprio grazie alla sua stranezza ed al suo modus vivendi al di fuori della norma:ciò è quanto di più simile allo status ambiguo del pazzo, la cui insania di volta in volta viene interpretata come la manifestazione del male ( ad esempio dettata da una possessione demoniaca) o come una sorta di stato di grazia, in cui la “sragione” diviene lo specchio inscindibile della ragione e sinonimo di verità altrimenti inespresse.

Anche il Selvatico non si sottrae a queste apparenti contraddizioni ideologiche e diviene, a seconda delle epoche e delle occasioni, simbolo della malvagità, della ricerca di libertà o paradossalmente dell’innocenza, oppure, proprio come il pazzo, dispensatore di un tipo di saggezza “altra” che può essere molto utile all’uomo civilizzato (anche se la scienza di quest’ultimo in assai pochi casi è conveniente per i Selvatici).

L’Uomo Selvatico, al pari del pazzo e specialmente nella cultura del Medioevo, attraverso la sua stranezza rappresentava allo stesso modo il pericolo di un allontanamento dalle istituzioni civilizzate, con il suo aspetto bizzarro ed il suo modo di vivere animalesco, ma anche una sorta di traguardo irraggiungibile ed affascinante per evadere dalla chiusura della società.

Non è possibile quindi dare un valore totalmente negativo o totalmente positivo ad una tale figura che si collocava sempre in uno status di ambiguità: è però possibile considerarlo al pari di un elemento chiave di più di una cultura che riassume in sé la condizione dell’opposto, del reietto, e con tutti i limiti ed i pregi delle sue stranezze amplificati in caratteristiche sovrumane, o al di fuori di qualsiasi logica del vivere “civilizzato”, volte ad esaltare ora il lato più negativo , ora quello più positivo (a seconda che incutesse terrore o curiosa ammirazione nei “civilizzati”); questo il motivo per cui, in determinate opere letterarie, il Selvatico compare spesso in contrapposizione con personaggi legati alla società civilizzata o come metafora stessa dello stile di vita naturale selvaggio: si può dire che, in alcuni casi, sebbene determinati personaggi non siano dei veri e propri “Selvatici” tendono (a causa del loro stile di vita improntato sulla natura o semplicemente “ribelle”) ad assumere tratti propri dell’Uomo Selvatico, quasi a simboleggiare una sorta di schieramento o a richiamare una determinata condizione o uno status sociale di outsider.

Un vero e proprio Uomo Selvatico di epoca antica è presente nell’epopea di Gilgamesc, dove la descrizione del selvaggio Enkidu, aspro e dai capelli come quelli di una donna non lascia dubbi sugli elementi comuni a molti altri “Selvatici” mitologici e letterari:
[Enkidu] era coperto di pelo arruffato come quello di Sumuqan , dio del bestiame. Era ignaro dell’umanità, nulla sapeva della terra coltivata. Enkidu si pasceva dell’erba sulle colline assieme alle gazzelle, con le bestie selvatiche si appostava presso le pozze d’acqua; dell’acqua gioiva in compagnia di branchi di animali selvatici.

Anche in Daniele (4,22-30) un personaggio come Nabuconosor viene presentato con le caratteristiche più ricorrenti degli Uomini Selvaggi, essendo detto abitare con le bestie e le fiere e cibarsi di fieno come i buoi (un’assimiliazione estrema allo stato animale); riguardo all’aspetto fisico il suo corpo è coperto completamente di peli, mentre al posto delle unghie è munito di artigli. Nella Genesi (25,25), invece, Esaù, che letteralmente significa “mantello di pelo”, è detto essere ricoperto di peli rossicci sin dalla nascita.
Riconducibili al modello dell’Uomo Selvatico sono poi, nell’ambito della mitologia antica,

[…] gli esseri silvestri, spesso divinizzati e considerati profondi conoscitori dei misteri della natura. Il loro ambiente era il bosco o la foresta, e in questi ambienti trovarono una naturale amplificazione delle loro potenzialità innate, traendo ulteriori elementi significanti che hanno condizionato le riletture in chiave folklorica […]. Queste antiche divinità della natura sono state dunque chiamate in vari modi e dalla loro primitiva posizione sono lentamente decadute, vittime del vortice demonizzante ed esorcizzante del Cristianesimo. Il protagonista indiscusso, il predecessore assoluto dell’Uomo Selvaggio, da cui trovarono origine successive varianti e trasformazioni, è il dio Pan. Divinità dei pastori e delle greggi, quasi una sorta di antropomorfizzazione della natura. […] Il nome [Pan] deriva probabilmente da paon (colui che pascola), ma nella mitologia è anche chiamato sporcaccione dal pelo lucido […]. L’uomo-capro, con la sua inarrestabile sessualità, simboleggia la forza generatrice della natura, che nelle corna trova un ulteriore elemento per sottolineare la sua innata potenza virile.

In ogni caso anche i satiri ed i centauri presentano dei tratti e attitudini simili al dio capro e anch’essi possono a buon diritto essere identificati come antecedenti del Selvaggio.

Passando in rassegna anche la letteratura pre-rinascimentale e rinascimentale, è possibile trovare il Selvatico in opere come il Dittamondo di Fazio degli Uberti (Come s’allegra e canta l’uom selvatico / quand’il mal tempo e tempestoso vede sperando nello buono, ond’egli è pratico.) e nell’ Innamorato del Boiardo […]. Anche il epoche successive il selvatico sembrò essere oggetto di studio o di semplice curiosità, infatti nel 1667 il gesuita Scotto, nella sua Physica curiosa gli dedicò un capitolo intitolato De hominibus sylvestris ac pilosis; quest’opera fu probabilmente utilizzata come modello da Linneo, forse l’ultimo studioso a soffermarsi su tale materia, nel suo Homo sylvestris del Systema naturae: questi studi contribuirono a mantenere vivo per un certo tempo l’interesse per il Selvatico e a condizionare l’immagine collettiva, producendo miti ancora oggi molto diffusi, per utilizzare le medesime parole di Massimo Centini.

Non esistono prove a sufficienza per ipotizzare una parentela fra il mito dell’Uomo Selvatico e quello del guerriero berserk, anche se le somiglianze fra le due figure sono notevoli: entrambi hanno atteggiamenti animaleschi, se l’uno tende a comportarsi come un orso l’altro spesso viene confuso con esso, entrambi generalmente vivono isolati nei boschi e nelle foreste o lontano dalle comunità e sono dei reietti, il berserk a causa dell’irrefrenabile furia (che in frequenti tradizioni è attribuita anche al Wild Man), l’altro a causa del rifiuto dello stile di vita “civilizzato”; infine, entrambi sono sinonimo di follia. Una somiglianza, come è già stato ribadito, non dimostra una stretta parentela, ma può comunque essere una caratteristica appartenente ad un medesimo background culturale: quello del paganesimo nordico.

Sebbene Massimo Centini abbia tentato un avvicinamento fra il travestimento da animale totemico da parte dei berserk e particolari mascherate medievali a scopo ludico da Wild Man o proprio da orso, la direzione verso cui si può trovare più materia di approfondimento è orientandosi secondo l’analisi attuata dallo stesso autore di una tradizione mitologica e folcloristica diffusa nel nord Europa, tradizione che vede fra i suoi protagonisti proprio il Selvatico: “la Caccia Selvaggia” o “Infernale”; si tratta di

[…] una battuta molto rumorosa a cui partecipano esseri soprannaturali (Uomo Selvatico, Orco, streghe, folletti, demoni, ecc.) o fantasmi. In questa terribile orgia di rumori e di ferocia le leggende nordiche (in Italia la tradizione è viva in tutto l’arco alpino, in particolare però nella fascia centro-orientale) pongono anche cani ferocissimi e diabolici che con gli altri partecipanti rincorrono delle prede sconosciute. Imbattersi in tale orda può essere pericolosissimo, ma gli effetti dell’incontro variano in regione della provenienza del mito. In Inghilterra tale caccia è chiamata The Wilde Hunt , Sluagh in Scozia, Wütende heer in Germania , Chasse Arthur in Francia Struggele selvaggia , in Svizzera. Le leggende italiane ricordano la Caccia morta , la Caccia del diavolo (Lombardia), il Corteo della Berta , Casa dei canett (Piemonte) , la Cazza selvadega (Trentino), Kasa selvàdega (Valsassina). […] Dalla Caccia Selvaggia hanno trovato origine e attinto apporti anche altre tradizioni, come la processione delle anime, la discesa dell’Uomo Selvatico (e la sua conseguente cacciata) il volo notturno delle streghe (qui esiste anche una connessione con il Corteo di Diana). Il Cristianesimo trasformò il mito della Caccia Selvaggia, interpretando l’orda di cavalieri pagani lanciati nella sfrenata corsa come anime dannate senza pace.
Una traccia significativa di questo mito, rivisto naturalmente in chiave cristiana, si può ritrovare anche nel Decameron di Boccaccio nella novella 8 della giornata V, in cui Nastagio degli Onesti è diretto testimone di una Caccia Infernale (a scopo espiatorio) da parte di un oscuro cavaliere che insegue lo spirito della donna che aveva amato in vita.

Nell’ambito del mito, nell’area culturale germanico-tirolese, si verifica la fusione della figura del Wodan, signore della guerra, e il Wilder-Mann, una creatura molto vicina all’Uomo Selvatico delle leggende alpine.

L’essere assume caratteristiche eterogenee: da eroe culturale positivo a malvagio nemico dell’uomo; in genere si dice che si muova solo di notte[…]. Nel periodo delle dodici notti sante, le notti tra il Natale e l’Epifania, il Wilder-Mann cavalcherebbe con una muta di cani ferocissimi, rubando i bambini e causando sempre vittime fra quanti hanno la sfortuna di incrociarlo con la sua orda.
Centini prosegue la sua indagine elencando altri Selvatici dalle caratteristiche affini nelle tradizioni popolari della Valsassina e della Val Ferina, con il suo Bilmon a capo della Caccia.
In genere, però, L’uomo Selvatico in quasi tutte le vicende raccolte non è mai il protagonista della Caccia Selvaggia, e quasi sempre si limita a parteciparvi occupando una posizione periferica e comprimaria. Va ancora detto che in casi del genere la maschera del selvatico è molto complessa da decodificare, e pertanto è difficile isolare questa figura da tutte le molteplici influenze mitiche individuabili nella genesi del suo sviluppo simbolico.

Il mito della Caccia Selvaggia, però, tradisce anche nelle sue versioni italiane una sorta di parentela con la religione pagana nordica: infatti, frequentemente, secondo le credenze popolari la battuta degli esseri sovrannaturali è posta in relazione alle violente manifestazioni atmosferiche (vento, temporale, tempesta, ecc.), ricordando molto da vicino il mito germanico in cui Odino, durante le tormente o i temporali, cavalcava il suo destriero nel cielo insieme alle anime dei guerrieri morti.

Sebbene lefantasie e superstizioni popolari o la religione cristiana abbiano contribuito alla sostituzione degli spiriti dei guerrieri inquieti con le anime dei morti senza pace, il sostrato pagano delle aree nordiche è ben delineato, di conseguenza esso è andato ad amalgamarsi con le remote leggende sul Wild Man o ha contribuito alla loro evoluzione mediante l’aggiunta di particolari.
Il motivo della Caccia Selvaggia […] conobbe nel periodo feudale uno sviluppo senza precedenti, il che contribuì a diffonderne l’eco ben oltre i confini della mitologia germanica in cui era riposta la sua genesi.

Oltre al sostrato pagano presente nelle leggende sul Wild Man come quella della Caccia Selvatica, bisogna aggiungere che esso è presente anche in importantissime manifestazioni popolari che hanno un’origine precristiana: le feste di piazza ed il Carnevale.

Si parlerà più diffusamente in seguito dell’importanza delle feste di piazza nel Medioevo e nel Rinascimento, in questa sezione verrà mostrata solo la centralità del Wild Man in tali occasioni ed il suo significato.

Il Selvatico nell’ambito del Carnevale è un personaggio piuttosto frequente, in Italia soprattutto nelle alpi orientali ed è una maschera ombrosa ed a tratti indecifrabile nel suo ruolo allo stesso tempo comico e drammatico: una creatura temuta ma vinta, essere da schiacciare dal nucleo civile, o addirittura da sopprimere.
[Ad esempio, in Val di Fiemme,] il rito-spettacolo della battuta si pone sul modello dell’Uccisione del Carnevale, che in pratica costituisce la formula ricorrente in numerose tradizioni analoghe. […]

Le connessioni sono comunque moltissime e possono essere scorte in un ampio complesso di tradizioni che dal Chiarivari giungono alla danza delle corna di Abbats Brohley (Staffordshire) , fino alle tante tradizioni note come Feste dei pazzi. Nelle valli tirolesi, le maschere del Wilder-Mann e più raramente della Wilder-Frau sono inserite nelle tradizioni carnevalesche. […] L’essere non umano, dotato di una propria indipendenza ed eletto a sovrano, quasi divinizzato, viene, all’interno delle feste celebrato e poi immolato secondo una tradizione diffusa e ricorrente. Tra le feste della Germania vi era quella chiamata Espulsione dell’Uomo Selvaggio: in tale occasione un giovane veniva vestito con foglie e muschio e, alla fine di un preciso iter processionale, fuggiva nel bosco dove si nascondeva. Il giorno successivo si costruivano alcuni fantocci che ricordavano la maschera del Selvaggio e quindi si annegavano nel fiume. Secondo la psicoanalisi junghiana in questa tradizione sarebbe possibile scorgere l’affioramento della parte primitiva, inferiore: l’inconscio del suo aspetto pericoloso definito Ombra.

Esiste comunque un’archeologia della maschera del Selvaggio, di cui si possono individuare le radici più profonde già nell’arte del Paleolitico: ne abbiamo un esempio problematico nella pittura che raffigura un uomo-cervo nella grotta dei Trois Frères, in Francia.
Centini nota che la figura del Selvatico legata a entità diaboliche o negative ricorre molto nei carnevali alpini, ma è singolare constatare come questo collegamento all’interno del rituale della festa non trovi riscontro nelle fonti orali, dove il Wild Man nell’espressione della sua negatività non va oltre il modello del Trickster;, dato che nella maggior parte dei casi è visto come eroe culturale e dispensatore di nuove conoscenze.

L’importanza del Selvatico nell’ambito della festa sin dall’antichità è testimoniata in importanti eventi riportati nelle cronache; a Parigi, nel 1431 presso il ponticello di Saint-Denius venne realizzato un vero e proprio bosco dove Uomini e Donne Selvagge giocavano, mentre nel 1486, in occasione dell’entrata di Carlo VIII a Troyes, furono utilizzate cento libbre di canapa per gli abiti di ventiquattro Uomini Selvatici che si esibivano gettando erba di fronte al re. Enrico II, invece, nel settembre del 1548, al momento di entrare a Saint-jeanne-de-Maurienne, ebbe la sorpresa di trovarsi di fronte ad un gruppo di uomini travestiti da orso in maniera così realistica da destare meraviglia; il gruppo scortò il re fino dentro città in una sorta di “trionfo silvestre” e i finti orsi si esibirono in danze e balzi intrattenendo il sovrano.

Come già notato a proposito delle Soties francesi, nonostante determinate feste all’inizio si svolgessero con il benestare dell’autorità e della Chiesa (che inizialmente ne tollerava gli eccessi), in sostanza esse rimanevano pur sempre reminescenze legate al mondo pagano e per questo considerate dalle alte sfere ecclesiastiche molto pericolose.

Sappiamo che queste manifestazioni pagane, come le feste delle calende, quelle dei pazzi, fino al laicissimo Chiavariri, furono considerate esperienze demoniache , movimento rituale blasfemo che poneva in relazione le istanze umane con le adulazioni di Satana. Nella maschera c’è quindi la metafora diabolica, che con la falsificazione della naturalità, cerca di abbattere i principi del bene, fondati sulla verità e sulle sue prerogative. Per risalire alle cause che condussero all’abbinamento maschera/fantasma/diavolo, non è sufficiente appellarsi alla questione etimologica [ che riconduce il termine di origine germanica “masca” a sinonimo di “stria” o “striga”]. Esistono infatti motivazioni più profonde, dovute sostanzialmente alla paura insita nell’uomo per quanto si nasconde dietro una raffigurazione che occulta l’aspetto primitivo dell’essere. La demonizzazione del travestimento andò accentuandosi in seno al cristianesimo delle origini, quando la maschera fu collegata al diavolo e ala sua capacità di mutarsi continuamente nei tentativi di traviare gli uomini.[…] La maschera animale, penetrando nel folklore, diventava segno del rinvigorirsi del paganesimo in seno alle tradizioni popolari che, nell’ottica della chiesa medievale, erano un autentico ricettacolo del demonio.

Le tracce di paganesimo che erano evidenti nelle feste di piazza ed in qualsiasi credenza sul Selvatico finirono quindi essere l’oggetto di disapprovazione della Chiesa, che, […] cercò in tutti i modi di gettare sul Wild Man un’immagine negativa, in modo che, nell’ambito della festa, dall’avere un ruolo simile a quello di un fool del mondo naturale, esso finì sempre più per essere identificato come il Diavolo che presiede il Sabba.

Era già accaduto in passato che figure silvestri come Pan finissero a “prestare accessori” iconografici ai mille volti del Maligno, e neanche il Selvatico di sottrasse a questo destino:
Ad esempio nel 1233 papa Gregorio IX promulgò una bolla in cui si diceva che nelle riunioni sabbatiche Satana normalmente si presentava come un uomo coperto di peli con caratteristiche riconducibili al Wild Man tedesco. […] La connessione dell’Uomo Selvaggio con il diavolo trova ancora origine nelle figure silvestri, primarie protagoniste all’inferno di un mondo senza leggi, di godimento e di sfrenata selvatichezza. L’aspetto fisico della divinità boschiva [come il dio Pan,] è certamente legato all’iconografia infernale cristiana e […] presenta tutta una serie di legami con l’immagine ricorrente dell’essere silvestre descritto nella tradizione popolare. Il male eterno trova nella creatura selvatica un rifugio adatto, perché mediante il corpo non più umano ottiene un’estensione delle proprie capacità di azione che a quel punto diventano concretamente temibili per l’uomo.

L’associazione silvestre-demonio è d’altronde comprovata nell’ambito cristiano dalla descrizione dell’indemoniato di cerasa da parte di Luca [( 8,27)]:
un uomo posseduto dai demoni. Da molto tempo non portava vestiti e non abitava in una casa ma tra i sepolcri.

Anche l’arte medievale, nel rappresentare i diavoli dell’inferno, ha attinto molto all’immaginario popolare e folcloristico facendo in modo che i demoni fossero modellati sull’aspetto del Wild Man, calcando la mano ulteriormente sugli spiriti pagani dei boschi. Una strategia simile non poteva non ripercuotersi anche nelle opere letterarie.

Nella Storia Ecclesiatica [(Lib. XIII)], Oderico Vitale descrive la tradizione del corteo dei dannati e dei demoni, che nelle notti oscure come un turbine attraversavano boschi e campagne […]. A capo dell’orda , l’Uomo Selvaggio, qui chiamato Herlechinus , da cui prenderà forma la ben nota maschera di Arlecchino, figura ora comica ora inquieta, reinterpretata nella dialettica allegorica della Commedia dell’Arte.
Per concludere, la Chiesa colse nel Wild Man delle implicazioni pagane e anche dei tratti che ne evidenziavano lo spirito libero e un’esaltazione delle pulsioni umane; entrambi i fattori erano pericolosi e contribuivano a distogliere forse i fedeli dalla religione:

L’immagine del male collegata alla creatura silvestre era prodotto cristiano, un’espressione sorta da intenzioni esorcizzanti, certamente non solo connesse all’Uomo Selvaggio in sé, ma piuttosto da un articolato processo di eliminazione del retaggio di antichi culti pagani. Un’ulteriore motivazione della demonizzazione dell’Uomo Selvaggio può poi essere individuata in una rilettura cristiana di quelle genti (selvatiche, appunto) che ancora non avevano abbandonato antiche forme di culto per avvicinarsi alla nuova religione.

(1)Questo articolo è un breve estratto dalla mia tesi di laurea: “Tre prefigurazioni della follia di Orlando: il berserk, l’Uomo Selvatico, in trickster”.


Fonte e ringraziamenti:

www.duenote.it/Miti%20e%20Misteri/UOMO%20SELVATICO.htm

eone nero
00martedì 29 novembre 2011 01:51
- GLI INSEGNAMENTI DELL'UOMO SELVATICO

Il Salvàn in Val di Fiemme



Un giorno, tanti ma tanti anni fa, i contadini della Valle dei Mòccheni, videro uscire dal bosco un Salvàn, ovverosia un Uomo Selvatico. Era così brutto, ma così brutto, che in principio ne furono atterriti e andavano almanaccando su quale fosse il modo migliore per liberarsi di quel fastidio. Così, mentre chi proponeva una cosa e chi un’altra, il Salvàn, fattosi vicino, cominciò a parlare, chiedendo a quegli ignoranti se conoscessero bene tutti i trucchi per accudire le mucche, affumicare lo speck o coltivare con profitto questo o quell’erbaggio.

Ora, dovete sapere che, per essere la Valle dei Mòccheni, molto isolata e solitaria, i contadini non sapevano quasi nulla e il Salvàn, mosso a compassione da tanta innocenza, cominciò a dare consigli e informazioni a destra e a manca…

La diffidenza e la paura degli abitanti, si tramutarono allora in gioia e gratitudine e non c’era giorno che non ci fosse chi approfittava delle conoscenze dell’Uomo Selvatico, per migliorare le proprie condizioni di vita.

Passarono gli anni e le cose nella Valle andavano bene.
Una domenica di primavera, mentre tutti erano raccolti nella piazzetta della borgata, eccoti comparire il Sàlvan, grande, arruffato e bisunto, come al solito.

“Amici – disse – sto per andarmene in altri luoghi. – Così per l’ultima volta, se avete qualcosa da chiedermi, fatelo adesso.”
Allora, uno dei contadini, rivolgendosi a lui, a nome di tutti, “No – replicò – tu ci hai insegnato le semine e l’arte di allevare gli animali, come prevedere il tempo e come costruirci le stube, quando tagliare il legname e come affumicare lo speck. - Che altro potremmo volere di più?”

Ma gli occhi del Salvàn si fecero tristi e, nel volgersi per incamminarsi verso il bosco.
“Ahimè – disse – se mi aveste chiesto una cosa qualsiasi, io vi avrei insegnato a produrre la cera usando lo scòro - Con questa cera vi sareste fatti delle candele, per illuminare le vostre notti ed una di queste l’avreste accesa per me, sull’altare della Cappella.- Così, voi sareste stati completamente felici ed io liberato per sempre.”
Pronunciate queste parole, fuggì nella foresta e nessuno lo vide mai più. Gli abitanti della Valle, lo rimpiangono ancora.


Om Salvarek (Belluno) -"Soltanto una nuova, profonda conoscenza e amicizia col mondo selvatico, in cui quelle antiche energie sono state cacciate, può ridare all'impersonale e devoto suddito del 'villaggo globale' il senso e il valore della propria soggettività maschile" (Risé, Il maschio selvatico , Red)



S. Onofrio, in veste di Uomo Selvatico, nella chiesa di Santa Brigida in Valle Brembana

"Ricordiamo che per eroe culturale si intende quel personaggio che nella maggior parte delle mitologie è indicato come colui che portò arti e tecniche, ma anche regole sociali tra un gruppo, contribuendo così a formare la sua dotazione culturale" (Centini M., L'Uomo Selvaggio. Antropologia di un mito della montagna, Priuli & Verlucca)


Fonte: www.maschiselvatici.it/

tinyurl.com/btxuf6l


Alex1304
00martedì 29 novembre 2011 02:13
Eone [SM=g2201355] [SM=g1420767]
KOSLINE
00martedì 29 novembre 2011 02:39
mo ragazzi lo fareste un riassunto [SM=g2201355] se' devo leggere todo mattina facciamo qui [SM=g1420771]

scherzo eee [SM=g8320]
Alex1304
00martedì 29 novembre 2011 02:47
Re:
KOSLINE, 29/11/2011 02:39:

mo ragazzi lo fareste un riassunto [SM=g2201355] se' devo leggere todo mattina facciamo qui [SM=g1420771]

scherzo eee [SM=g8320]




Riassunto? [SM=g1420770]
Ahahahah [SM=g1420771]




Andrea.ufoonline
00martedì 29 novembre 2011 10:37
Siamo sicuri che non sia un uomo con l'ipertricosi? [SM=g8320]
eone nero
00martedì 29 novembre 2011 10:56
Re:
Andrea.ufoonline, 29/11/2011 10.37:

Siamo sicuri che non sia un uomo con l'ipertricosi? [SM=g8320]



Probabile siano retaggi di divinità come il dio silvestre Pan almeno dalle nostre parti, è interessante la disamina di Giorgio Borroni nell'articolo precedente.


(richard)
00martedì 29 novembre 2011 11:01
questo soggetto femminile ha molto del bigfoot

eone nero
00martedì 29 novembre 2011 11:21
Re: questo soggetto femminile ha molto del bigfoot
(richard), 29/11/2011 11.01:





Il soggetto rappresentato nella foto da te postate è la ricostruzione del primate vissuto in Etipia 4,5 milioni di anni fa, denominato Ardipithecus Ramidus, o semplicemente Ardi.







it.wikipedia.org/wiki/Ardipithecus_ramidus

www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-1217400/Ardi-skeleton-Ethiopia-closest-thing-missing-link-humans-apes.html?...

www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/graphic/2009/10/01/GR2009100103937.html?hpid...

csotonyi.com/Ardipithecus_ramidus_Csotonyi.html

www.wired.com/wiredscience/2009/10/ardi-2/




Andrea.ufoonline
00martedì 29 novembre 2011 13:17
Molto spesso accadeva che nascessero persone deformi e questo alimentasse leggende tramandate sino a noi... uomo scimmia, uomo lupo o leone...

ecco per esempio:


www.google.it/search?q=ipertricosi&hl=it&prmd=imvns&tbm=isch&tbo=u&source=univ&sa=X&ei=T87UToWuFqfE4gTl8_iXAQ&sqi=2&ved=0CDsQsAQ&biw=981...
Andrea.ufoonline
00martedì 29 novembre 2011 13:20
Re:
Andrea.ufoonline, 29/11/2011 13.17:

Molto spesso accadeva che nascessero persone deformi e questo alimentasse leggende tramandate sino a noi... uomo scimmia, uomo lupo o leone...

ecco per esempio:


www.google.it/search?q=ipertricosi&hl=it&prmd=imvns&tbm=isch&tbo=u&source=univ&sa=X&ei=T87UToWuFqfE4gTl8_iXAQ&sqi=2&ved=0CDsQsAQ&biw=981...




Meglio questo forse:


www.amicidelcirco.net/index.php?option=com_content&task=view&id=1280&...
eone nero
00martedì 29 novembre 2011 13:32
Potrebbe essere una spiegazione, ma gli spunti dati dall'articolo non sono da sottovalutare, come non è da ignorare la figura delle divinità Pan e Luperco che somigliano tantissimo all'uomo selvatico.



_Thomas88_
00martedì 29 novembre 2011 15:39
Ho letto solo il primo articolo di Alex 1304...
Per quelli di Eone provvederò nei prossimi giorni.
Comunque secondo me tutte queste storie riguardanti l'uomo selvatico metà scimmia e metà uomo sono leggende derivate da racconti riguardanti uomini con anomalie genetiche...
Lo stesso è successo per il ciclope...
Andrea.ufoonline
00martedì 29 novembre 2011 19:02
Re:
_Thomas88_, 29/11/2011 15.39:

Ho letto solo il primo articolo di Alex 1304...
Per quelli di Eone provvederò nei prossimi giorni.
Comunque secondo me tutte queste storie riguardanti l'uomo selvatico metà scimmia e metà uomo sono leggende derivate da racconti riguardanti uomini con anomalie genetiche...
Lo stesso è successo per il ciclope...




Si anche secondo me... Si trattava probabilmente di esseri umani deformi che hanno dato spunto a tutta una serie di leggende
Andrea.ufoonline
00martedì 29 novembre 2011 19:05
Re:
eone nero, 29/11/2011 13.32:

Potrebbe essere una spiegazione, ma gli spunti dati dall'articolo non sono da sottovalutare, come non è da ignorare la figura delle divinità Pan e Luperco che somigliano tantissimo all'uomo selvatico.







Ci sono tantissime leggende e credenze... Magari gli antichi pensavano che questi individui mutanti fossero il risultato di incroci con divinità animalesche, chi lo sà
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