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Il Risolutore

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2009 14:33
10/02/2009 15:14

Scritto da M.Baiata L.Pallotta

Testo integrale dell'intervista esclusiva allo 007 italiano "Goldenflack", pubblicata sul numero 3 del mensile "X TIMES" (Gennaio 2009). Una vita nell'ombra, puntando al centro del mirino. Per gentile concessione degli autori di X Times, numero 3/2009 Maurizio Baiata e Lavinia Pallotta.


-Roma, Dicembre 2008
Dopo anni di lavoro nell'ambito dell'intelligence italiana e internazionale, posso testimoniare di quali siano i meccanismi e le motivazioni che spingono i poteri costituiti ad agire. Non credo che il genere umano abbia la capacità di cambiare, ma credo nel diritto delle persone a emanciparsi e capire ciò che quotidianamente viene orchestrato a loro insaputa. Tengo a precisare che nessuna regia occulta mi spinge a rilasciare queste dichiarazioni
Goldenflack.-



Fisico asciutto e occhi che ti scrutano dentro, mentre parla, con voce pacata, sempre scandendo ogni frase, mai però per colpire ad effetto. L'uomo che ci ha dato appuntamento nel retro di un bar di una frazione periferica di Roma, siede davanti a noi e subito ci consente di accendere il registratore.
Solo in un paio di occasioni, nel corso di una conversazione di quasi due ore, ci chiederà di spegnerlo. Quando sarà costretto a fare nomi, luoghi e date che, se divulgati, consentirebbero di individuarlo. Ma sia chiaro che, se parla, non ci sono rischi, per nessuno. Almeno si spera.
Crediamo sia la prima volta che un agente dei servizi segreti italiani rilascia un'intervista così estesa e a largo raggio ad un organo di stampa che non sia istituzionale. L'inizio del processo di disclosure anche in Italia.

Maurizio Baiata: È vero che gli 007 sono come "Jason Bourne" e girano con tanti passaporti utili per compiere una determinata missione?
Goldenflack: "Gli 007 che hanno cinque o sei passaporti non esistono, perché dopo ogni missione strappano tutto. Non puoi tenerli a casa perché basta una perquisizione e sei bruciato. Nei film, quindi, molto è inverosimile. Nella realtà ne avrebbe ricevuto uno alla volta. Per non dare nell'occhio può utilizzare anche il suo passaporto personale. Io usavo passaporti normali. Se qualcuno mi fermasse per un interrogatorio un po' "spinto" e volesse ricostruire i miei movimenti nel corso degli anni vedrebbe benissimo che sono stato a Parigi, a Praga, a Bonn, Monaco e così via ma, al di là dei miei spostamenti, niente altro. C'è un livello di copertura a cui né un poliziotto né un carabiniere, può arrivare".

Lavinia Pallotta: Come si diventa un agente operativo? E che differenza c'è tra i diversi tipi di agenti?
G.: "Ci sono i dirigenti, quindi burocrati da ufficio, e gli operativi sul campo con a capo i team leader delle unità speciali... "

M.B.: Prendiamo il caso di Calipari. Cosa è successo?
G.: "Calipari, quando era più giovane poteva, secondo me, gestire situazioni ad alto rischio, ma poi con il grado che aveva ottenuto era assolutamente fuori ruolo in quella situazione".

L.P.: Quindi come mai si è trovato in quelle circostanze?
G.: "È un mistero, perché è incomprensibile mandare Calipari in Iraq per la Sgrena e che lui stesso si sia messo in contatto diretto con i rapitori".

M.B.: Il filo ufficiale era fra i servizi e la Farnesina che poi comunicava con Calipari...
G.: "Sì, ma lui materialmente si è trovato a contatto con i rapitori. L'ha portata via da lì. Poi con la macchina è successo quello che è successo. Non era un lavoro da funzionario in giacca e cravatta. Lì chiaramente non si sono capiti con i Marines. Poi queste cose di notte non si fanno mai. Quando liberi un ostaggio o hai una task force che ti toglie dai guai, scappi ma incappi nei posti di blocco, lì succedono degli incidenti. Le autobombe erano all'ordine del giorno. Vedi una macchina, fai un segnale e magari l'auto si ferma, è chiaro che devi sparare. Lo dico anche ai miei, prima spari e poi dici alt".

M.B.: Spari per fermare o spari per uccidere in questo caso?
G.: "Devi fermare chi guida. Solo che Lozano ha sparato a raffica".

L.P.: Qual è stato l'iter del tuo arruolamento?

G.: "Attraverso un contatto con un dirigente della Farnesina".

M.B.: Ci puoi dire dove hai fatto i primi addestramenti?
G.: "Vicino a Roma".

M.B.: Basi note....
G.: "Nelle Marche, in Toscana. Mi alleno ancora al tiro al cecchino. Quando ho scritto gli articoli su Kennedy ("Area 51" n. 28 e 29, N.d.R.) ho voluto ricreare le condizioni di tiro, anche senza il bersaglio in movimento, a una distanza di 85 metri. Sono andato lì, con uno dei miei fucili da cecchino, con l'ottica e tutto, e mi sono messo più o meno a quella distanza. Ho fatto una rosata di 10 colpi in tre centimetri e mezzo, il che vuol dire che in testa ci entravano tutti. La cosa che mi è sembrata strana è che quando hanno sparato a Kennedy hanno sparato all'impazzata, dal punto di vista professionale era una squadra di dilettanti. Anche se nel '63 magari quel tipo di attentato poteva essere una cosa standard. L'importante era colpire il bersaglio, non importa con quanti colpi. A quasi 50 anni di distanza invece le cose cambiano, perché il cecchino ha solo un colpo, al massimo due".

M.B.: Perché viene inquadrato?
G.: "Puoi essere rintracciato dalla fiammata dello sparo e dal rumore, ma in ogni caso se già ti serve più di un colpo per far fuori una persona, non hai un grande successo. Se devi sparare più di due colpi, non va bene".

M.B.: L'idea però che al Dealey Plaza ci fosse un fuoco incrociato da due o tre punti diversi rientra in questa logica di un gruppo... forse filo castrista, non è detto fossero paramilitari addestrati o killer professionisti. Inoltre, il fucile di Oswald, un Carcano Mannlicher, non era un portento di precisione.
G.: "Non è vero. Sono stato al poligono con un amico, che possiede un Carcano e, senza ottica a 100 metri, ha messo un colpo dietro l'altro. Per cui quello che dice Oliver Stone, che il Carcano è il peggior fucile mai costruito, è una balla. Era un'ottima arma, impiegata nella prima e nella seconda guerra mondiale. E ancora va bene. Ho dei fucili d'assalto russi, del '42. Devi vedere come sparano e senza ottica".

L.P.: Se nell'attentato a Kennedy era implicata anche la mafia, i metodi potevano cambiare rispetto ai servizi segreti.
G.: "Dal punto di vista materiale... chi ha sparato... Io so solo che Oswald non ha sparato nemmeno un colpo. L'hanno incastrato".

M.B.: Esiste la famosa foto di Oswald con il fucile pubblicata sulla copertina di "Life", accertata come fotomontaggio.
G.: "Sì, ma lui il fucile l'ha preso veramente. Era un appassionato d'armi. Che non l'abbia usato per l'attentato lo si capisce anche dal fatto che l'ha ordinato per via postale. A nome suo. Se vuoi fare un attentato non vai a comprare un fucile registrato a nome tuo. Ci sono centinaia di metodi diversi per avere armi. È stato incastrato come uno scemo e l'ha capito dopo... cercò di nascondersi in un cinema e lì avrebbe ammazzato un poliziotto, ma anche in questo caso pare che i testimoni abbiano visto un'altra persona. C'è un aspetto importante che nessuno ha mai messo in evidenza: il primo Novembre, tre settimane prima, c'era stato un altro attentato nel Vietnam del Sud. Morì il presidente Ngô Ðình Di?m, che era alleato di Kennedy. Da quel momento Kennedy ricevette parecchie minacce di morte, il che non fu preso nella giusta considerazione. La CIA, la FBI ecc. vedendo che era morto un leader alleato dell'America, dovevano pensare a qualcosa di strano. Che qualcosa stesse per cambiare. Invece hanno ignorato tutto. Tutti i messaggi, le minacce di morte, che Kennedy sarebbe andato effettivamente a Dallas. Era una cosa già preparata".

M.B.: Queste sono tue considerazioni in qualità di studioso della materia, oppure fanno parte di un training? Come mai sai queste cose?
G.: "Evidentemente perché ci sto dentro".

M.B.: Fanno parte di briefing?
G.: "Sei messo al corrente di certe cose".

M.B.: I briefing sono ad personam o, ad esempio, quelli a cui partecipavi erano di gruppo, simili ai rapporti pre-missione?
G.: "Ci sono briefing che coinvolgono tutta l'unità. Poi altre informazioni sono riservate al capo squadra".

L.P.: Tornando alle tue missioni, cosa facevi a Parigi?
G.: "All'inizio il "passacarte". Pedinamenti, routine. Niente di speciale. Le cose difficili sono cominciate nei paesi dell'Est e in Israele".

L.P.: Nei paesi dell'Est quando sei andato?
G.: "Dal '92 fino al '95. Nel '92 sono stato anche in Israele. A Hebron ero in missione anti terrorismo e siamo rimasti coinvolti in un conflitto a fuoco, dal quale sono uscito leggermente ferito. In seguito, a Tel Aviv, siamo scampati a un attentato con un'autobomba".

L.P.: Sulla vostra vettura?
G.: "No, su un'altra macchina. Qualche giorno dopo l'operazione a Hebron, avevamo un giorno di libera uscita. Io e i miei ci incontrammo davanti all'ambasciata italiana alle 8,15 del mattino, tranquilli, senza radio e materiale tattico perché dovevamo fare un'escursione come semplici turisti. Tornati a casa la sera ci dissero testualmente "Certo che avete avuto un bel culo oggi. Dieci minuti dopo che siete partiti sono arrivati gli artificieri israeliani". Proprio nel punto dove dovevamo incontrarci hanno scoperto una bomba e l'hanno fatta saltare".

L.P.: Tu hai partecipato allo scontro a fuoco?

G.: "Sì. Sono rimasto leggermente ferito da una scheggia, o una pallottola di rimbalzo. Me ne sono accorto dopo, sul momento non ho sentito niente".

M.B.: Nel corso di un precedente incontro mi hai detto di essere rimasto particolarmente colpito dal livello di addestramento del Mossad.
G.: "Secondo me sono i più efficienti al mondo. Ma lo Shin Beth è ancora meglio".

L.P.: Il controspionaggio israeliano.
G.: "Sì. Ne fanno parte solo elementi israeliani, per maggior sicurezza".

L.P.: Invece nel Mossad?

G.: "Il Mossad è come la CIA. Possono avere agganci anche all'estero".

L.P.: I rapporti fra i vari servizi segreti e il Mossad come erano? Israele non è uno Stato come gli altri e vive una situazione atipica. Come si viveva all'epoca questa perenne tensione? Il Mossad come si comportava rispetto agli altri servizi segreti stranieri? Accettava interferenze?
G.: "Sono estremamente efficienti e tenevano la situazione sotto controllo. Quello che mi ha sorpreso è l'abitudine delle persone ad accettare uno stato di guerra perenne. La gente è tranquilla. Esci di casa, al lavoro, tutti con la pistola nella fondina. Le scolaresche, i bambini in giro con la maestra e la guardia del corpo col fucile. Ma è del tutto naturale. Vivono così. Sanno che prendono l'autobus e potrebbe esserci dentro un kamikaze. E hanno fatto saltare un centinaio di autobus in un paio d'anni. La gente andava al lavoro senza sapere se tornava a casa".

L.P.: Però questo vale anche per i palestinesi...
G.: "Sì, ho visto i campi profughi palestinesi e somigliano a dei lager. Sono proprio dei lager. Recintati con il filo spinato alto tre metri, doppia fila di filo spinato, in mezzo ci mettono le lastre d'acciaio che d'estate si arroventano e se qualcuno cerca di passare si ustiona. Subiscono le peggiori vessazioni dal punto di vista lavorativo. Israele però ha fatto un lavoro enorme. Hanno trasformato un pezzo di deserto in una terra vivibile. Cose grandiose, veramente. Sono contrario agli attentati indiscriminati, come fanno alcuni palestinesi. Se proprio vuoi protestare in quel modo, organizzi qualcosa contro il primo ministro israeliano. Ammazzare così le persone che vanno al lavoro... non puoi ottenere la simpatia internazionale. Fino a un certo punto".

M.B.: Visto che hai menzionato l'ipotesi di un attentato contro un primo ministro israeliano, per quanto riguarda l'omicidio di Rabin, quali sono le tue informazioni?
G.: "Rabin era l'unico che cercava un dialogo ed è stato ammazzato da un ebreo. Questo ti fa capire che la guerra è un grande affare per chiunque. Avere un nemico reale o fittizio ricompatta la nazione. Eventuali problemi sociali vengono disinnescati. Tutti si stringono intorno al primo ministro, il presidente, le istituzioni. I palestinesi, anche loro hanno questa sindrome del martirio: più vengono sfruttati più inneggiano alla guerra santa. Gli industriali di armi fanno affari d'oro perché Israele fin al '98 era il Paese che acquistava più armi dagli Stati Uniti. Cinque miliardi di dollari l'anno per gli armamenti. E hanno industrie di armi di altissimo livello e la bomba atomica. La guerra è sempre un affare, sia per l'aggressore sia per la vittima. Ecco perché la pace non potrà mai esserci. L'attentato delle Torri Gemelle è stato il pretesto per conquistare un Paese che ha riserve petrolifere infinite, a quanto si dice. Gli Stati Uniti si sono accaparrati tutti gli appalti per la ricostruzione. Infrastrutture, telecomunicazioni".

L.P.: Quale idea ti sei fatto sull'11 Settembre? È stato un attentato di Al Qaeda all'insaputa degli americani, o sapevano e hanno permesso?
G.: "Lo sapevano e hanno lasciato che accadesse. Se tu ora sapessi che stanno preparando un altro attentato agli Stati Uniti, non conviene dirlo, perché tra te e magari il Presidente o il segretario di Stato, ci sono dei filtri, e la notizia potrebbe arrivare ai fautori dell'attentato".

L.P.: Cosa ci facevano dei contingenti italiani, tipo il tuo, in Israele a cercare terroristi palestinesi?
G.: "Il problema è che gli israeliani si tradiscono a causa della carnagione. Un israeliano nativo ha una fisionomia riconoscibile e un arabo lo smaschera. Hebron è la città... la centrale del terrorismo palestinese. Per passare inosservati bisogna essere vestiti all'europea, e non solo i vestiti, anche la fisionomia, all'americana o all'europea. Come semplici turisti. Noi ad esempio andammo lì, in quattro, ufficialmente, per vedere una bottega artigiana di ceramiche. Solo che è andata male... Siamo tornati indietro per il rotto della cuffia".

L.P.: Tuttora avviene questo tipo di... collaborazione?
G.: "Con me no, ma sicuramente con altri gruppi sì. Li chiamano scambi culturali".

L.P.: Invece in Iugoslavia sei stato dal...?
G.: "Dal '92 al '95 ".

L.P.: Per quasi tutta la guerra. Cosa facevate tu e i tuoi compagni?
G.: "L'opinione pubblica ha sempre avuto l'impressione che i governi occidentali stessero lì a guardare il massacro. In realtà i vari governi inviavano delle piccole unità... "

L.P.: Quali governi?
G.: "Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, eccetera. Contingenti per cercare di fermare per quanto possibile il massacro colpendo i capi miliziani serbi... Sinceramente, non ho mai visto tanta ferocia. Alle soglie del 2000 vedere i soldati che lanciano in aria i bambini appena nati e infilzarli con le baionette dei kalashnikov, cose che mai avrei pensato. Gente bruciata viva, donne stuprate e sgozzate, riprese con la telecamera. Le cassette venivano duplicate e inviate in America, in certi ambienti "hard" e vendute a 120 dollari l'una".

L.P.: Come gli snuff movies.
G.: "Infatti. Facevano commercio anche di quello".

L.P.: Voi come facevate ad essere informati di queste cose?
G.: "Tramite dei filmati e le testimonianze dei superstiti, i quali arrivavano da noi a Zagabria e morivano di fame e di freddo per strada, a 20 gradi sotto zero. Però a noi mancavano le risorse per aiutare masse di donne, di vecchi e bambini".

L.P.: I serbi distruggevano tutto.
G.: "Radevano al suolo qualsiasi città, villaggio, non rimaneva niente".

L.P.: Voi quindi avevate il compito di eliminare i capi delle milizie?
G.: "Eliminare, dare informazioni al passaggio di convogli e raccoglierne sui capi miliziani che a volte dovevano andare all'estero, per prendere o depositare denaro. Erano pagati dalla Russia, che li proteggeva. La pulizia etnica era pianificata anche con il consenso di Eltsin e di Putin, anche se ufficialmente non lo ammetteranno mai. Quando i capi miliziani andavano ad esempio in Belgio, in Lussemburgo, in Svizzera a depositare o a ritirare soldi, venivano intercettati. Non potevano raggiungere quei Paesi con il loro esercito personale. Molti sono stati arrestati, altri sono stati uccisi. Ve ne sono ancora: l'ultimo di cui ho notizia, è stato eliminato il 29 Novembre 2007".

L.P.: Chi era?
G.: "Un serbo bosniaco".

L.P.: Un capo miliziano?
G.: "Sì, ce n'erano a decine, con eserciti personali di 100, 200, 1000, 10.000 uomini. Arkan era il più importante perché aveva 10.000 miliziani, ma quelli meno importanti non erano meno feroci".

L.P.: Spesso, per chi cercasse di capire attraverso internet quello che è successo nella ex Jugoslavia, troverebbe il motivo della "pulizia etnica". Ma fine a se stessa, non sta in piedi...
G.: "La ragione fondamentale è sempre economica. Il pretesto era la diversità religiosa. In realtà la Bosnia è una repubblica molto ricca di industrie di armi e munizioni e la Serbia non voleva perdere questa ricchezza. Lì come ricchezza procapite... i bosniaci sono i più poveri di tutta la ex Jugoslavia, ma le ricchezze del Paese, i minerali, le materie prime, industrie di armi e munizioni, erano considerevoli e la Serbia non voleva perdere tutto questo. La pulizia etnica è stato il pretesto per acquisire il controllo su quella regione, sul Kosovo e la Vojvodina. Io mi trovavo a 30 km dalla Vojvodina, la regione contesa tra i serbi e i croati, a maggioranza serba. Lì c'erano Arkan e il generale Mladic. Arkan fino all'ultimo ha bluffato. Diceva di essere un semplice uomo d'affari. Era proprietario dell'Hotel Intercontinental di Belgrado. Un albergo enorme. Almeno 15 piani d'altezza e centinaia di metri di lunghezza. La classica architettura monumentale sovietica, dove qualsiasi cosa di imponente e pesante è sinonimo di fierezza e di forza. Gli piaceva farsi intervistare dai giornalisti europei davanti al suo albergo. Il suo fiore all'occhiello. Stava sempre con giubbotto di pelle nera, jeans... un quarantenne d'assalto. Dirigeva quell'albergo di lusso, ma viveva fuori Belgrado in un castello medievale di sua proprietà, protetto da 80 a 100 uomini, la sua guardia pretoriano. Era sposato con una famosa cantante serba, miliardaria anche lei, e quindi copriva le sue attività criminali dirigendo un albergo e col fatto di essere sposato con un'altra miliardaria. In realtà prendeva soldi per questi massacri, si dice che facesse contrabbando di armi e carburante, ma questo non lo so".

L.P.: Secondo te la Serbia entrerà nell'Unione Europea?
G.: "Certo. Ci hanno regalato Karadzic su un piatto d'argento".

L.P.: Quindi per la sua cattura hanno dato l'ok.
G.: "Sì, il governo serbo".

L.P.: E perché non darlo prima?
G.: "Perché prima c'era il partito anti europeista al potere. Poi nel Marzo/Aprile di quest'anno ha vinto il partito a favore dell'Europa. Lì Karadzic ha fatto un grande sbaglio a non scappare. Doveva capire che il vento stava cambiando, che la Serbia vuole far parte dell'Unione Europea. I nostri governanti hanno detto, va bene, noi vi facciamo entrare. Voi che ci date? Vi diamo qualche criminale di guerra".

M.B.: Non ci sarà mai un tribunale come quello di Norimberga per giudicare questa gente.
G.: "No. I più importanti sono morti, altri sono in Russia, protetti e non verranno mai presi. Le mezze tacche che sono rimaste stanno in prigione all'Aja, ma ormai...".

M.B.: Parliamo dell'addestramento specifico dei contingenti Italiani, ad esempio in Afghanistan.
G.: "I contingenti di leva, quelli che vedi in televisione, soldati che hanno 18-20 anni, molti di loro vengono dai più poveri paesi del sud, si arruolano perché devono mandare i soldi a casa. E vanno lì a morire anche, non certo per la democrazia, o la libertà dei talebani o cose di questo tipo. Solo che non è gente adatta a fare certe cose, perché sono persone che nel portafoglio hanno la foto della moglie, o del bambino nato da un mese... e quando sentono sparare a cosa possono pensare? Non sono fatti apposta per la guerra. Sono ragazzi. Ma anche quello esperto... muore qualcuno e chi era? Era il sergente, il maresciallo e lascia moglie e tre figli... il padre di famiglia. Non è il killer che non ha nessuno, non è sposato, non ha figli e gli piace fare la guerra e ammazzare quei bastardi. Fosse per me i talebani li metterei tutti al muro. Per come trattano le persone, loro stessi, per come ammazzano i loro stessi concittadini. Chiunque utilizzi un televisore, una radio, un rasoio elettrico, veniva messo a morte. Le donne devono andare vestite col burka. Non si devono nemmeno lavare perché lo dice la legge islamica. Ho visto l'esecuzione di una donna allo stadio di Kabul, per crimini ufficialmente di adulterio, poi in realtà vai a vedere... Vestita col burka, accompagnata da un'amica o una parente, donna, il talebano col kalashnikov l'ha fatta inginocchiare, poi un colpo in testa. L'amica ha sollevato il velo per vedere se era morta e via. Questa è la vita e la cultura dei talebani. Il bello è che li abbiamo armati noi per contrastare l'avanzata sovietica nel '79. E tanti armamenti che hanno venduto gli Stati Uniti ce li hanno ancora. Ad esempio gli Stinger, che sono una specie di bazooka elettronico molto preciso con cui hanno decimato le squadriglie di elicotteri sovietici. Ne hanno abbattuti una marea. Alla fine del suo mandato, sia Reagan sia Bush Sr. Ne esigevano la restituzione. Ognuno costava un milione di dollari. Invece i talebani, chiamati all'epoca mujaheddin, se li sono tenuti e li usano ancora contro i contingenti europei. Li abbiamo armati e adesso ce li teniamo così".

M.B.: E noi cosa ci stiamo a fare in Afghanistan?
G.: "Per aiutare la popolazione".

M.B.: La popolazione afghana come tratta il contingente italiano?
G.: "Con una certa simpatia. Gli italiani sono sempre stati amici di tutti".

M.B.: In cosa siamo bravi come contingenti quando veniamo richiesti, ad esempio, dagli inglesi o da altri? Perché ci andiamo noi?
G.: "Noi facciamo sempre (parlo dei soldati di leva) le operazioni meno pericolose. Facciamo azioni di copertura, di bonifica di zone minate, di protezione dei civili, costruzione di infrastrutture, ospedali, centri di accoglienza. Ma le operazioni proprio tattiche noi non è che... per salvaguardare l'immagine dell'italiano amico del popolo arabo e di tutti quanti, noi non siamo guerrafondai, come l'America. Abbiamo un'altra mentalità. L'esercito italiano è sempre stato per tradizione scarso in mezzi ed effettivi".

M.B.: È vero che quando si entra a far parte di una struttura esistono dei compartimenti stagni?
G.: "Certo, è una questione di sicurezza, perché se un'operazione fosse conosciuta da l'organizzazione coloro che devono eseguire l'azione non avrebbero una copertura adeguata. Potrebbero essere venduti. Se ad esempio c'è una squadra che deve andare in Colombia ad arrestare un narcotrafficante, vengono inviate cinque persone, non di più. Se lo sapessero tutti, qualcuno dall'interno potrebbe avvisare l'organizzazione mafiosa e dire, guarda che ti stanno dando la caccia...Tante volte nessuno sa niente, a parte quelli che devono fare quel lavoro. Tuttavia non basta, perché l'informazione può trapelare le persone che dovrebbero dare la caccia ai narcos invece stanno al loro servizio".

M.B.: All'interno dell'Area51 esisterebbe una zona S4. Nel '95-'96 Wendelle Stevens avvicina una guardia di sicurezza, di sentinella a un livello sotterraneo della S4 dove erano conservati criogenicamente corpi e parti di esseri alieni. Il tizio viene intervistato da Stevens in mezzo al deserto con una videocamera di fortuna. Si vede che è piuttosto agitato e di quest'uomo, Derek Hennessy (o Derek O'Connor) poi non se ne sa più nulla. A Laughlin, due anni fa, Stevens mi dice "sicuramente è morto". Gli chiedo come. Uscito da lì, era tornato a fare il mestiere che faceva, il killer di professione, ma era stato eliminato da suoi colleghi nel corso di un'operazione in Europa. È possibile? Vieni fatto fuori dai tuoi stessi colleghi?
G.: "Dalla tua stessa squadra la vedo un po' difficile, perché di solito si forma un legame d'amicizia. Ma da una squadra antagonista è possibile".

M.B.: Nel film sulla CIA, "The Good Shepherd" si nota come qualsiasi tipo di rapporto umano e i legami familiari non contano niente.
G.: "Dipende. I legami si forgiano bene quando sei in combattimento. Se stai in ufficio no. La CIA è come qualsiasi altra struttura dove tra colleghi ci si accoltella alle spalle, ma ci sono legami che si formano sul campo e sono i più veri. Di quegli uomini ti puoi fidare. Degli altri no".

M.B.: Finita la missione ti continuerai dunque a fidare di quelle persone?
G.: "Sono sempre quelle, che tu scegli. I quattro, cinque, sei, al massimo".

M.B.: Nei vostri briefing è mai uscita la questione UFO?
G.: "No... so che c'è un ufficio riguardante gli UFO a Pratica di Mare, incaricato di valutare i vari avvistamenti dal punto di vista statistico, ma proprio di politica da adottare, no. Eravamo su un'altra lunghezza d'onda".

M.B.: Un portavoce dell'aeronautica ha dichiarato che l'Italia è in grado di vedere qualunque cosa penetri nel nostro spazio aereo. È vero?
G.: "Con i nostri soli sistemi, no. Ma grazie agli Awacs americani sì. Solo con i nostri radar non potremmo coprire tutto lo spazio aereo. Dal momento che l'Italia è in una posizione strategica, mi risulta ci siano quattro Awacs sul territorio nazionale, questo garantisce una totale copertura".

M.B.: In caso di schianto e operazioni di recupero, poniamo, di velivoli extraterrestri, una volta che viene fatto un primo intervento da parte di una forza italiana, poi arriverebbero secondo te gli Americani?
G.: "Penso di sì. Deve essere tutto consegnato agli Americani".

M.B.: In nome di quale trattato?
G.: "Sono trattati segreti, protocolli segreti. Basta pensare che se in televisione devi dare notizia di un UFO, qualcosa di importante, ho sentito dire che ci deve essere prima l'ok da parte di Washington".

L.P.: Confermi di aver assistito a progetti segreti sui poteri della mente come arma per uccidere le persone?
G.: "Sì, come osservatore. Devo dire che è un'esperienza piuttosto shockante, perché non so se ogni essere umano ha in sé queste potenzialità, oppure le ha uno su un milione o su un miliardo, ma c'è la possibilità di cambiare il destino della gente. Uccidere una persona a distanza".

L.P.: In quanti laboratori sei stato?
G.: "Uno".

L.P.: Militare?
G.: "Sì".

L.P.: Mi dicevi di essere stato condotto lì, bendato, quindi non sapevi dove stavi andando.
G.: "No".

L.P.: Quanto tempo fa?
G.: "La prima volta nei primi anni '90. Sono studi che ora dovrebbero essere abbastanza avanzati. All'epoca erano allo stato embrionale. Però tra il '95 e il '96 già si facevano queste cose".

L.P.: Sei andato... e cosa è successo?
G.: "Sono andato diverse volte. C'era una persona circondata da cavi, fili, diagrammi, cose che non essendo uno scienziato non saprei dire, c'era un programma di condizionamento e qualcuno spiegava quanto stava accadendo. Col passare del tempo venivano mostrate le foto di persone che dovevano essere eliminate, e che in seguito venivano effettivamente eliminate".

L.P.: Questo lo dicevano loro o hai avuto delle prove?

G.: "Ho visto che quelle persone erano morte davvero.

L.P.: Che obiettivi erano?

G.: "Obiettivi civili".

L.P.: Così, presi a caso per puro esperimento?

G.: "Sì. Persone senza storia... L'effetto poteva verificarsi dopo pochi giorni, dopo una settimana, dopo qualche mese al massimo. Ho potuto verificare che non era una casualità. Dicevano che un soggetto sarebbe morto prossimamente, e questo puntualmente accadeva. Ciononostante, ti domandavi se non fosse stata una coincidenza. Ma se la stessa cosa si verifica due, tre, quattro, dieci volte... "

L.P.: Quindi ti dicevano che una certa persona sarebbe morta in un certo modo e tu lo constatavi.

G.: "Tra il bersaglio e l'esecutore dell'operazione doveva esserci stato un contatto diretto. Non bastava una foto, quella era per noi. La persona doveva aver conosciuto, magari per una mezza giornata, per un'ora, il bersaglio. Non può funzionare ancora, a quanto ne so, su persone che non conosci direttamente. ".

M.B.: Questo comporterebbe un discorso di frequenze cerebrali.

G.: "Sconosciute".



M.B.: O conosciute da qualcuno. Noi emettiamo un campo energetico fatto di x frequenze recepibili o leggibili da altri. In questi esperimenti, l'esecutore come eliminava il target?
G.: "Concentrandosi, provocavano la morte di una persona tramite arresto cardiaco, aneurisma cerebrale, che erano i casi più frequenti, un caso di tumore al cervello, e tutte cose connesse normalmente alla circolazione".

L.P.: C'era comunque un training per preparare i killer...
G.: "Di condizionamento mentale, ma non destava molta preoccupazione, perché era il soggetto stesso a non crederci, pensava "non è possibile che abbia fatto una cosa del genere..." "

L.P.: Ma il soggetto non veniva selezionato in base a caratteristiche particolari?
G.: "Non so chi fosse veramente, ma era una cosa talmente assurda... per cui il soggetto ammazzava delle persone, ma era una cosa che andava talmente al di là del comprensibile che non poteva avere dei rimorsi, una coscienza. Era convinto che fossero solo coincidenze".

L.P.: Questa persona faceva parte dei servizi segreti?
G.: "Identità sconosciuta".

M.B.: Erano però esperimenti diversi da quelli di remote viewing, portati avanti in America ad esempio da Russel Targ?
G.: "La RM è tutta un'altra cosa. L'arma della quale parlo potrebbe rivoluzionare il modo di fare la guerra, se venisse messa a punto. Ci sono diversi problemi: replicare la tecnica di attacco a comando, perché non si sa come avviene, è impossibile controllarla. E soprattutto non funzionava se si provava odio nei confronti della vittima. Era possibile uccidere solo persone che non avevano fatto alcun male al soggetto. Questo all'epoca non si riusciva a capirlo. C'era la difficoltà di replicare, tenere sotto controllo e indirizzare contro un bersaglio determinato questa forma di energia sconosciuta".

M.B.: Ma qual è la coscienza di uno che si occupa di queste cose, che poi ti fa decidere se uccidere o meno una persona?
G.: "Se la realtà che vivi è a un livello di comprensione a cui sei abituato, hai dei principi, dei valori morali e hai una coscienza. Ma quando ti imbatti in qualcosa di veramente incomprensibile, rimani sorpreso e ti domandi, sono stato io davvero? Ad esempio, c'è gente che fa del bene e gente che fa del male, ma alcuni sostengono che l'uomo da solo non potrebbe fare nulla, se dall'alto un'entità non gli desse quella energia. In quest'ottica, il soggetto potrebbe essere uno strumento, del bene come del male. Un semplice strumento. Con questo ragionamento si affievolivano i rimorsi. Era una tecnica sottile, ma sicuramente efficace".

L.P.: Hai pubblicato due articoli sulla morte di Kennedy su Area 51. Perché ora hai deciso di rilasciare questa intervista?
G.: "Perché mi sono accorto che col passare del tempo davate sempre più spazio ai complotti di stato, alla politica internazionale, alla geopolitica, mentre prima avevate una fisionomia prettamente ufologica e chiaramente i miei articoli su Kennedy non avrebbero potuto trovare spazio".

L.P.: In seguito ai tuoi pezzi su Kennedy ci sono state conseguenze di qualche tipo?
G.: "Mah, sono stato fermato da uno dei servizi segreti che mi pedinava... non so se in relazione a questa cosa o altre. Un semplice controllo di routine. Ma era più nervoso di me... "

L.P.: Quindi ti interessi di ufologia, indipendentemente dal tuo lavoro?
G.: "Sì, da sempre".

L.P.: Per passione innata o hai avuto esperienze?
G.: "Sia per passione che per esperienza. Ho avuto un avvistamento, anni fa".

M.B.: Ho conosciuto Philip Corso molto bene e non ho dubbi che lui sia stato ciò che ha detto di essere stato. Secondo te, il fatto che sia venuto in Italia, dove avrebbe avuto modo di parlare, è stato consentito? È possibile che all'epoca, noi ufologi italiani, avremmo portato in Italia un pezzo da novanta dell'intelligence americana, fu preso in considerazione e ce lo consentirono? E se sì, perché?
G.: "Probabilmente sì, ma forse non si aspettavano il successo che ebbe, all'epoca. E allora dopo, dicono, che sia stato ucciso. Dicono... "

M.B.: Quando si tratta di eliminare qualcuno, da quello che ho capito, o lo fai in maniera talmente plateale da superare gli interrogativi della gente, oppure lo devi fare in maniera estremamente subdola e lasciando il sospetto che quello sia stato ammazzato. Qual è il sistema che viene usato più spesso?
G.: "Penso quello subdolo. Poi dipende dalla persona. Se vale la pena di rischiare fino a quel punto, oppure lo lasci parlare perché quello che dice è indimostrabile. Dipende dagli argomenti. Tante volte le agenzie fanno così. Se non puoi portare delle prove, che in ogni caso sarebbero confutabili, ti lasciano parlare e non si sporcano le mani".

M.B.: Quindi è vero quello che diceva Corso che esistono diversi livelli per intimidire le persone?
G.: "Certo, non si arriva mai subito all'uccisione. Puoi venire minacciato tu o una persona a te vicina, può venir fuori qualcosa dal pagamento delle tasse, la macchina incendiata o rubata... sono sistemi terroristici, io non ho niente a che fare con queste cose".

L.P. Per concludere, so che hai lavorato anche in istituti di manipolazione genetica
G. "Ho lavorato per alcuni anni come impiegato in diversi Istituti di Ricerca genetica sulle piante da frutto, in Italia. I programmi in questione, finanziati in parte, da varie università, erano "limpidi", cioè niente di segreto o di illegale, a livello ufficiale, ma ho potuto rendermi conto che alcuni progetti erano quantomeno sospetti. Mi riferisco a frutti creati in laboratorio, pesche in particolare, dalla grandezza anomala. Le piante create in laboratorio venivano poi vendute ai vivaisti per essere riprodotte e fare la frutta che tutti noi mangiamo a tavola. Con quali conseguenze per la salute, non saprei dire. Forse tra 20-30 anni... Inoltre era tassativamente vietato bere l'acqua di questi Istituti. Immagino che le falde acquifere fossero contaminate di ogni sorta di prodotto chimico. Quando mi lavavo le mani, infatti, l'acqua mi provocava delle ferite e ci volevano parecchi giorni per guarire. Durante la mia permanenza, inoltre, diverse persone sono morte di tumore. Secondo me, si conducevano programmi "border line". Sono contento di essere andato via da quel posto".

fonte: ufomachine.org
[Modificato da Lachaise-L-N- 10/02/2009 15:19]
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12/02/2009 00:48

Re:



"bisogna consegnare tutto agli americani"

"ci vuole l'ok da parte di washington prima di dire qualcosa alla tv di significativo sugli avvistamenti ufo"

guarda guarda. la lunga mano degli americani all'argomento ufo c'è sempre, anche in italia, e sembra pure che non ci sia [SM=x708824]

12/02/2009 13:46

Re: Re:
incredibili,veramente questi Statunitensi

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12/02/2009 14:33

Re: Re:
bambino_69, 12/02/2009 0.48:




"bisogna consegnare tutto agli americani"

"ci vuole l'ok da parte di washington prima di dire qualcosa alla tv di significativo sugli avvistamenti ufo"

guarda guarda. la lunga mano degli americani all'argomento ufo c'è sempre, anche in italia, e sembra pure che non ci sia [SM=x708824]




Perche' qualcuno era forse convinto del contrario? [SM=x708804]


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