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Sindone: per ingegnere russo è un falso storico

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2009 13:23
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Utente Esperto
26/03/2008 14:22

Le conclusioni cui si può giungere a proposito dell'origine del telo sindonico non hanno alcun carattere religioso, e non intendono mettere in dubbio alcuna fede religiosa d'altro canto chi ha bisogno di queste reliquie per avere fede di certo fede non ha.
Carlo Papini, dottore in giurisprudenza di Genova, è stato per oltre trent'anni il direttore editoriale della Casa Editrice Claudiana delle Chiese evangeliche. Da vent'anni si dedica allo studio della Sindone ed ha pubblicato già diversi saggi e articoli in proposito. Il suo studio si è principalmente incentrato sugli aspetti storici che riguardano la poco probabile esistenza della Sindone nei primi secoli dopo Cristo. La cultura ebraica dell'epoca considerava impuri gli oggetti che erano stato a contatto con dei cadaveri, ed è poco plausibile che qualcuno abbia raccolto il lenzuolo sindonico per conservarlo, ancor meno se si pensa alla presenza di sangue su di esso. C'è da notare oltretutto l'assoluta mancanza di interesse da parte degli uomini dell'epoca nei confronti delle reliquie. Un testo che spesso viene citato dagli autenticisti per "dimostrare" che la Sindone fu conservata è un vangelo apocrifo, chiamato "Vangelo degli Ebrei" (del quale - tra l'altro - non si possiede più l'originale ma solo delle citazioni di Gerolamo). Ad un certo punto l'anonimo autore scrive: "Dopo aver dato la sindone al servo del sacerdote, Gesù apparve a Giacomo". Il termine "sindone" a quell'epoca stava ad indicare una tunica, una veste sacerdotale. Il gesto di "dare la sindone" a qualcuno simboleggiava il conferimento di un potere particolare, come se si trattasse di una vestizione rituale. La "sindone" cui si fa riferimento nel testo non è, dunque, il lenzuolo funebre con cui sarebbe stato coperto il corpo di Gesù, ma una tunica sacerdotale.
Papini inoltre cita alcuni manoscritti sui quali viene provata l'origine mediorientale della Sindone: Goffredo di Charny avrebbe ricevuto la Sindone nel 1346 a Smirne, al termine della crociata dell'ultimo delfino di Vienna Umberto II. Tale origine spiegherebbe la presenza di pollini provenienti dall'oriente, regione dove esistevano addirittura officine specificamente nate per la realizzazione di reliquie. In conclusione Papini auspica che i lavori di Vittorio Pesce Delfino, ingiustamente ignorati dalla Sindonologia ufficiale, vengano ripresi, che i suoi esperimenti volti a riprodurre l'impronta sindonica siano ripetuti con materiale più simile al tessuto della Sindone e soprattutto ha sottolineato il fatto che le immagini create dell'antropologo di Bari sono in tutto e per tutto simili per la loro natura fisica a quella sindonica: tridimensionale, superficiale, adirezionale e fluorescente.

Antonio Lombatti, direttore della prima rivista scientifica al mondo dedicata ad uno studio critico della Sindone, "Approfondimento Sindone", e di due saggi in proposito, prosegue nella presentazione dello scenario storico che ha accolto la comparsa della Sindone in Europa, facendo notare come la datazione al 14C sia perfettamente coerente con il periodo in cui per la prima volta in Francia si inizia a parlare del lenzuolo. L'assenza di qualsiasi documentazione storica riguardante una reliquia con le caratteristiche della Sindone per tutto il primo millennio dopo Cristo rende assolutamente insostenibili le teorie di chi vorrebbe ricostruire la storia del sudario facendo risalire la sua origine al I secolo d.C. Lombatti sottolinea ancora il fatto che sin dalla prima ostensione l'immagine sindonica è esplicitamente definita "figura seu rapresentacio", termini che indicano inequivocabilmente la sua origine artificiale. Ricordando il "Memoriale di Pierre d'Arcis", fa ancora notare come soltanto da un secolo si parla di autenticità: nel medioevo non c'era dubbio alcuno sul fatto che si trattasse di un artefatto. A conferma di quanto riportato da Papini circa l'origine mediorientale della Sindone, Lombatti cita un documento da lui rinvenuto negli archivi dipartimentali francesi dell'Aube, a Troyes, risalente al XVII sec., nel quale si sostiene che Goffredo di Charny avrebbe ricevuto la Sindone proprio in Medio Oriente.
Luigi Garlaschelli, chimico e responsabile delle sperimentazioni del CICAP, presenta una carrellata di dati sulla Sindone spesso riportati in modo distorto o parziale dai molti saggi sindonologici autenticisti. A proposito della negatività dell'immagine della Sindone fa notare come potrebbe trattarsi della naturale conseguenza del metodo con cui questa è stata realizzata: la teoria del bassorilievo sul quale viene applicata della vernice a secco produce effettivamente e spontaneamente immagini negative, per nulla inspiegabili. A differenza delle impronte naturali lasciate da un corpo tridimensionale, l'immagine sindonica si presenta come una proiezione ortogonale incompatibile con la presenza di un cadavere al suo interno. Naturalmente questa caratteristica falsifica le vecchie ipotesi di formazione dell'immagine, quella vaporografica e quella per contatto. In particolare quest'ultima non produrrebbe l'effetto chiaroscuro presente invece sulla Sindone. Garlaschelli richiama l'attenzione sul sangue presente sulla Sindone, la cui presenza è stata attestata fino ad oggi soltanto da Pier Luigi Baima Bollone, presenza esplicitamente esclusa nel 1973 dalla commissione che era stata incaricata di effettuare analisi dal cardinale Pellegrino in occasione della prima ostensione televisiva. Né la presenza di sangue proverebbe qualcosa, vista la possibilità che nel corso dei secoli sia stato usato del sangue per ravvivare le macchie sul lenzuolo. Garlaschelli ha ripreso i lavori di Max Frei sui pollini presenti sulla Sindone, facendo notare il fatto che delle analisi da lui condotte non si possiedono più i documenti originali né i nastri sui quali ha lavorato. In effetti nessuno ad oggi è riuscito a ottenere i risultati dello studioso svizzero, fatto che fa sollevare non pochi dubbi a proposito della scientificità di questi.
Circa la presenza di monetine sugli occhi dell'uomo della Sindone, Garlaschelli cita anche il russo Kouznetsov che nel 1997 aveva presentato al Politecnico di Torino una teoria per cui l'incendio di cui la Sindone fu vittima a Chambery nel 1532 avrebbe potuto ringiovanire il tessuto sindonico di 1300 anni. Nessuno è stato in grado di ottenere gli stessi risultati del chimico russo, né le sue conclusioni possono essere seriamente prese in considerazione.

La difficoltà principale nell'affrontare il tema della Sindone non stia nel trovare argomenti a sostegno della sua origine artificiale, in quanto tutti i dati sembrerebbero muoversi in questa direzione, quanto invece nel far sì che il pubblico riceva un'informazione corretta dal punto di vista storico e scientifico. Purtroppo la "sindonologia" ha imposto i suoi toni sull'opinione pubblica, sfruttando il fatto che molti mass media danno acriticamente voce alle teorie più strampalate, rendendo arduo per qualunque lettore uno sguardo obiettivo sul problema.
[Modificato da Legion1 26/03/2008 14:23]
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