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Cerchio Firenze 77

Ultimo Aggiornamento: 07/05/2013 13:26
07/05/2013 13:24

PARTE 1

Fonte: www.cerchiofirenze77.org/storia_del_cerchio/index.htm

Quando Roberto nacque - il 7 novembre 1930 - io avevo quasi undici anni, mio fratello Ruggero ne aveva appena compiuti nove. Fu molto amato da noi fratelli, dalla mamma e dal babbo: via via che cresceva, così aggraziato, mite e timido, si faceva amare da chiunque lo avvicinasse. La sua è stata un'infanzia normale e abbastanza tranquilla, almeno fino a dieci anni. Non eravamo ricchi, ma la nostra casa era dignitosa e comoda e la mamma la teneva sempre ordinata e pulita. Il babbo stava via tutto il giorno, un po' per il suo lavoro, un po' perché amava più stare con gli amici che con la sua famiglia. Solo da grandi ci siamo accorti che questo faceva soffrire molto la mamma, ma a noi ragazzi bastavano il suo amore, il suo equilibrio, le sue cure e non ci accorgevamo della poca assiduità del babbo.
Ricordo certi pomeriggi quando la mamma si sedeva vicino alla finestra con la scatola del lavoro e il bucato da riguardare e noi tutti e tre intorno a lei. Io leggevo ad alta voce il libro “ Cuore ”, “ Il piccolo Lord ”,
 “ Senza famiglia ”, “ Il giardino segreto ”, “ Gian burrasca ” e le novelle di Perrault e dei Fratelli Grimm. Roberto si commuoveva molto alle storie tristi e se il finale non era lieto, dovevano inventarlo lieto per lui.
Era un bambino molto intelligente: aveva imparato a parlare molto prima degli altri bambini della sua età. An­dava d'accordo con tutti i bambini del vicinato che venivano spesso a giocare con lui nel giardino della nostra casa. Il rione di S. Jacopino, dove noi vivevamo, era allora una periferia tranquilla: le strade sembravano più larghe senza le auto in sosta e al posto delle file di alti caseggiati di adesso, vi erano delle villette a un piano con il giardino intorno.
C'erano ancora diverse case coloniche con i campi e gli orti che confinavano con l'argine del torrente Mugnone: i contadini permettevano ai bambini del vicinato di giocare nei loro spiazzi erbosi, purché non toccassero le viti e gli alberi da frutto. Nelle sere d'estate, per le strade e nei giardini, volteggiavano centinaia di lucciole: io e Ruggero ne prendevamo qualcuna e la mettevamo sotto un bicchiere per Roberto, che era affascinato dalla misteriosa luminosità di quei piccoli insetti.
Quando iniziò ad andare alle scuole elementari, io lo accompagnavo alla scuola Rossini; gli riguardavo i compiti, ma lui era molto bravo e ha sempre saputo cavarsela da solo.
Gli piaceva molto il cinema: quanti bei film abbiamo visto insieme: “ Capitani coraggiosi ”, “ Le avventure di Tom Sawyer ” “ Biancaneve ed i sette nani ”, “ David Copperfield ”, “ Oliver Twist ”.
Anche quando mi fidanzai, a 19 anni, Roberto veniva fuori con me perchè allora non si usava che i fidanzati uscissero soli.
Il mio matrimonio coincise con l'inizio della guerra, ed io partii con mio marito che era stato assegnato al Comando in Capo della Marina a Taranto.
Mio fratello Ruggero si sposò nel 1941 e partì subito per la guerra come pilota aviatore. Così per parecchio tempo siamo stati lontani da Firenze e Roberto rimase solo col babbo e con la mamma. Ho saputo dopo che soffrì molto per questo distacco, anche perché - ora che noi più grandi ce ne eravamo andati - certe intemperanze del carattere di mio padre si erano fatte più evidenti. La mamma era triste e trepidante per Ruggero sempre in pericolo sull'aereo. La mia giovane cognata Franca viveva con i suoi genitori.
Ma anche la guerra finì e ci ritenevamo fortunati di ritrovarci tutti per ricominciare la vita normale. Ruggero e mio marito, che non avevano aderito alla Repubblica di Salò, si erano iscritti al “ Partito d'Azione ” e specialmente Ruggero s'impegno' subito politicamente. Ricordo che nella primavera del 1946 era occupatissimo nei preparativi delle prime elezioni che dovevano decidere della Repubblica o della Monarchia. Mio marito aveva ricominciato a lavorare come geometra all'Enel (allora Soc. Elettrica del Valdarno); mio figlio Gilberto aveva quattro anni; la figlia di Ruggero, Gabriella, due anni. Spesso ci riunivamo tutti insieme e il nostro Roberto era molto fiero di esse­re zio fin da quando aveva undici anni. 
A scuola continuava ad andare molto bene: il suo hobby era costruire piccoli apparecchi radio a galena.


Roberto

Il 2 aprile 1946, la tragica morte di Ruggero: non aveva ancora venticinque anni, era sano, allegro, bello, pieno di speranze per il futuro. Per noi tutti - che ci ritenevamo fortunati di non averlo perso in guerra - fu un colpo terribile. Sua moglie Franca aveva solo ventidue an­ni: tutti eravamo inconsolabili, ma quella che non si dava pace era la mia mamma.
Cominciò a pensare che forse Ruggero avrebbe voluto parlarci, che non era possibile non sapere più niente di lui, non era possibile che tutte le sue energie, il suo coraggio, la sua gioia di vivere, se ne fossero spariti in un attimo nel nulla.
La mamma ricordava l'esperienza di una nostra zia, che anni prima era entrata in contatto con una medium di Bologna con risultati piuttosto incoraggianti, dai quali aveva tratto la convinzione che esiste la possibilità di comu­nicare con una dimensione diversa.
Noi tutti, cioè io, mio marito, mio padre, mia cognata, cercavamo di dissuaderla: non ci eravamo mai occupati di simili cose. Direi che ne avevamo un senso di diffidenza e non ci interessavano né gli oroscopi, ne' la lettura delle carte, né la radioestesia. “ E poi - dicevamo alla mamma - per avere queste comunicazioni ci vuole un medium ”. E la mamma: “ Qualcuno fra noi potrebbe esserlo ”.
Nel pomeriggio del 28 maggio 1946, in casa dei miei genitori presente la zia che aveva avute quelle esperienze, decidemmo di accontentare la mamma, convinti che di fronte all'esito negativo di questo esperimento si sarebbe calmata. Istruiti dalla zia sulle modalità delle sedute, in pieno giorno, ci sedemmo intorno ad un tavolino piuttosto basso. Eravamo in sette, facemmo la catena tenendo la punta delle dita sul piano del tavolo. Dopo pochi minuti il tavolo si alzò e ondeggiò fra noi, battendo dei colpi: l'emozione fu enorme. Ricordo benissimo che Roberto, allora quindicenne, diventò molto pallido e noi, un po' preoccupati, decidemmo di smettere subito.
La sera, a casa mia, raccontai tutto a mio marito: ma egli era scettico, pensava che ci fossimo tutti suggestionati e propose di riprovare a casa nostra, ma senza Roberto che era troppo giovane per simili emozioni.
Un pomeriggio mandammo Roberto e mio figlio Gilberto al cinema e riprovammo l'esperimento con le stesse persone presenti la prima volta. Ma non successe niente, il tavolo non si mosse né si sollevò di un centimetro.
Mio marito sperava che di fronte a questo esito ne­gativo ci fossimo tolte queste idee dalla testa: ma ora anch'io ero interessata. Ero sicura che il tavolo si era mos­so e sollevato tanto da non poterlo più seguire con le braccia in alto: poi era ripiombato in terra battendo dei colpi, ripetutamente.
Così, quando anche Roberto insisté per provare un'altra volta e disse che lui non si era per niente spaventato alla prima esperienza, anche mio marito fu consenziente. Con Roberto in catena il tavolo si sollevò come la prima volta e quando domandammo chi era il medium, con i colpi il tavolo compitò

“Roberto”

Iniziò così l'estrinsecazione della sua medianità: per poco tempo con il tavolo, poi passò alle comunicazioni per scrittura automatica. Cioè Roberto sentiva il braccio e la mano destra come autonomi dalla sua volontà e scri­veva con varie grafie, ad occhi chiusi. Ruggero ebbe veramente delle cose da comunicare alla sua giovane moglie, a noi tutti. Ci indicò dove teneva un suo diario, citò e terminò l'ultima frase del diario stesso. Per un po' di tempo comunicò con noi, insieme ad altre entità legate ai presenti alle sedute da vincoli di parentela o di affetto che si presentavano con la grafia di quando erano sul piano fisico.
Verso la fine del 1947, Roberto ebbe la sua prima trance ad incorporazione, anche quella inaspettata: eravamo riuniti intorno ad un tavolo per una delle consuete serate tra noi amici, quando Roberto scrisse medianicamente, con una grafia sconosciuta, che dovevamo concentrare la nostra attenzione su un oggetto che si trovava in mezzo al tavolo. Noi credevamo si trattasse di un espe­rimento di telecinesi e non toglievamo gli occhi dall'oggetto indicato. Ad un tratto Roberto parve addormentarsi e iniziò a parlare con voci diverse dalla sua.
Da allora fu un crescendo di esperienze: le entità legate a noi da vincoli di affetto si presentavano sempre in minor numero, sostituite da entità sconosciute che ci parlavano in modo dolce e suadente, in un linguaggio perfetto anche nella forma. Ci insegnavano tante cose e ci spiegarono anche che, una volta raggiunta la certezza interiore che i nostri cari trapassati esistono ancora - seppure in un piano di esistenza diverso - è giusto che essi si svincolino del tutto dai piani più grossolani e proseguano le loro riflessioni sulle esperienze fatte nella vita terrena.
Ora ci riunivamo per ascoltare gli insegnamenti, con una certa curiosità di sapere chi fossero le entità sconosciute che si presentavano, o per lo meno avere notizie sulle personalità che esse avevano rivestito sul piano fisico. Ma su questo non hanno mai detto niente, affermando che non ha importanza da chi viene l'insegnamento, ma ha importanza solo il fatto che esso trovi una risonanza in noi, che sappia suscitare i nostri sentimenti migliori, che dia serenità.
[Modificato da Sheenky ffz 07/05/2013 13:27]
07/05/2013 13:26

PARTE 2

Tutti i presenti rimasero colpiti dalla chiarezza della esposizione dei concetti, dalla impeccabile forma letteraria e dalla perfetta dizione. Dirò per inciso che tutti i messaggi che riportiamo sui nostri libri non hanno subito la benché minima manipolazione da parte nostra: le entità hanno sempre avuto un modo di parlare fluente, senza er­rori o interruzioni, e una perfezione di linguaggio degna dei più trascinanti oratori.
Dopo la seduta rimanemmo ancora un po' a parlare con Roberto che, svegliandosi dalla trance, desiderava sapere quello che era accaduto; la sua era una trance completa e non si rendeva conto di niente. Solo dopo, dal magnetofono, poteva seguire tutto quello che era accaduto.
Fotografammo gli apporti con la Polaroid prima che le persone alle quali erano destinati se li portassero via. Ognuno raccontava le sue impressioni e Roberto ascoltava con interesse le espressioni di meraviglia che le luci, i profumi, gli apporti, i contenuti stessi dei messaggi avevano suscitato.
Eravamo ancora sereni quella sera: il disturbo di Roberto non ci preoccupava: il medico gli aveva fatto eseguire varie analisi, ma non era risultato niente e con una cura di pillole contro l'astenia si sperava che tutto passasse.
Così ci salutammo felici per le belle cose viste e udite e per essere stati accomunati in esperienze che a pochi è dato di vivere.
Nei giorni che seguirono Roberto aveva sempre meno forza nelle gambe: per due volte, mentre percorreva a piedi il tratto di strada che lo separava dalla fermata dell'autobus in piazza del Duomo alla sede del Comune di Firenze in piazza Signoria, sentì piegarsi le ginocchia a metà strada.
Alla seduta del mese di febbraio decidemmo di sospendere le sedute, nel timore che la trance danneggiasse Roberto: lo comunicammo a Dali e gli chiedemmo anche notizie sulla malattia di Roberto. Con la sua dolce voce ci rispose: “ Come volete cari: ma ricordate che sarebbe stato delittuoso da parte nostra servirci di Roberto se questo doveva danneggiarlo. Ho udito le vostre domande, figli! Vedete, cari, voi siete nella vita per avere delle esperienze: un'esperienza non è semplicemente un insieme di azioni nel mondo umano, nel mondo fisico, ma - come voi ben sapete - è accompagnata da un lavoro assai più importante, forse, dell'azione stessa, che è rappresentato dalle varie emozioni, dai vari pensieri, dai timori, dalle gioie, da tutti quelli che sono i movimenti intimi che ciascuno di voi ha vivendo. Perché questi siano sentiti e intesi, l'uomo non conosce il suo futuro, perché evidentemente, se lo conoscesse, molte esperienze diventerebbero delle ripetizioni, delle azioni in sé prive di tutta quella parte emotiva di pathos a cui prima accennavo. Ecco perché, certe volte, noi non possiamo dire niente: non possiamo né rassicurarvi, né incoraggiarvi. Questa è una di quelle volte, cari: per cui spero che non ce ne vorrete: vi sono delle cose alle quali noi stessi non possiamo trasgredire.
Io mi auguro che ciascuno di voi, dentro di sé, trovi la risposta a questo interrogativo: da parte nostra non possiamo che lasciare tranquillo il nostro strumento per un... fino a che non avrà superato questo... momento. Vi sono tante cose sulle quali voi potete riflettere e meditare: noi sempre vi abbiamo detto che veniamo soprattutto non per consolarvi, ma per infondervi la forza di reagire e di affrontare i problemi della vostra vita ”.
Quante volte abbiamo letto questo messaggio, cercando di interpretarne tra le righe il giusto significato! Soppesando tutti gli attimi di sospensione che Dali aveva avuto, dandone a volte un'interpretazione ottimista, a volte scoraggiante!
Nel marzo del 1979 Roberto ebbe la gioia di una bellissima serata di presentazione del libro Oltre l'illusione, - organizzata dalla Casa Editrice - alla libreria Croce di Roma. Andammo a Roma con diversi amici del nostro gruppo: poteva essere una giornata felice per tutti, ma fummo rattristati dal fatto che Roberto non riuscì a salire i gradini del treno. E anche il percorso dall'albergo alla libreria gli costò molta fatica.
La libreria era gremita: gli oratori ufficiali furono il prof. Giulio Cogni, il prof. Leo Magnino, il prof. Vincenzo Nestier, il dott. Alfredo Ferraro che parlarono dei contenuti del libro. Il prof. Emilio Servadio e Mons. Corrado Balducci parlarono dei fenomeni paranormali in genere, anche in risposta alla famosa trasmissione di Piero Angela alla televisione che aveva negato in blocco l'esistenza dei fenomeni.
Ci furono parecchi interventi del pubblico e parecchie domande: Roberto seguiva attento, seduto in fondo alla sala: sempre schivo e modesto, non volle farsi conoscere. La mattina presto ripartì per Firenze con Corrado e altri amici: non si sentiva a suo agio fuori di casa e temeva di limitare i nostri programmi. Io, mio figlio, mia cognata Franca e altri amici ci trattenemmo a Roma fino al pome­riggio: fummo invitati a pranzo dal prof. Amedeo Rotondi, che aveva tenuto a battesimo il nostro primo libro Dai mondi invisibili.
Ci ripromettemmo di ritornare a Roma con Roberto appena fosse guarito: anche a Roma adesso aveva tanti amici che desideravano conoscerlo e che si riunivano spesso nella libreria Rotondi di via Merulana ad ascoltare e commentare le registrazioni delle nostre sedute.
Ma le gambe si facevano sempre più deboli: Roberto si ricoverò allora al reparto neurologico dell'ospedale di Careggi a Firenze, diretto dal prof. Amaducci. Furono eseguite altre serie di analisi, puntura lombare, elettromiografia, elettroencefalogramma, eccetera. Ma non risultò niente: fu fatta una diagnosi di polinevrite.
Altro periodo di speranze in attesa che le numerose cure prescritte avessero un risultato: ma Roberto camminava con sempre maggiore difficoltà e il neurologo di Firenze consigliò di fare una biopsia al nervo della gamba al reparto neurologico dell'ospedale di Verona. Accompagnammo Roberto a Verona e io mi trattenni con lui tutto il tempo della sua degenza all'ospedale. Ricordo con gratitudine le gentilezze del dott. Gastone De Boni, tutte le cortesie che Roberto ebbe in quell'ospedale, le visite de­gli amici di Bologna e di Brescia. Il prof. Rizzuto eseguì la biopsia al nervo, fece altre analisi: tutto negativo. Roberto fu dimesso con diagnosi di polineuropatia e con un certo ottimismo sull'esito della malattia, o almeno cosf a noi parve.
Della sua malattia ciò che lo angustiava di più era do­ver essere di peso ad altri e vedere limitata la sua auto­nomia. Quella sua privacy) che gli aveva permesso di vivere la sua vita normale nonostante lo straordinario fenomeno della sua medianità, veniva intaccata: quella libertà nelle piccole cose - più teorica che reale - di cui sapeva gioire, si riduceva enormemente.
Per quattordici mesi ci riunimmo solo per parlare tra noi e rileggere le lezioni: intanto io e Roberto preparavamo il terzo volume, mettendo insieme certi messaggi del Maestro Claudio che erano sui libri Incontri e Colloqui e che non avevamo messi nei precedenti libri.
Nell'aprile del 1980 ricominciarono - spontaneamente ed estemporaneamente - le trance di Roberto: a volte avvenivano alla presenza di tre o quattro amici, e tutti noi potevamo solo ascoltare le registrazioni. Fu l'inizio di un diverso modo di condurre le sedute.
Nel mese di giugno del 1980 due nuovi amici entrarono a far parte del Cerchio Firenze 77: Francois Broussais e Pietro Cimatti. Il primo era un amico dell'altra dimensione: è l'unica entità di cui si conosce l'identità dell'ultima incarnazione. La sua manifestazione ha veramente del fantastico.
Il 19 giugno 1980 ero andata da Roberto nel primo pomeriggio poiché mi aveva comunicato una cosa straordinaria. Come ho già detto stavamo preparando il nostro terzo libro e avevamo già messo insieme diversi dattiloscritti delle lezioni di Claudio e altri messaggi ricevuti dopo la stesura del libro Oltre l’illusione dando un certo ordine logico agli argomenti e dividendoli per capitoli.
Tutto il fascicolo contenente queste pagine - che praticamente costituivano già tutto il volume - era stato messo sulla scrivania nello studio di Roberto la sera del 18 giugno. La mattina Roberto era andato in ufficio e fino al pomeriggio non si era recato nel suo studio: quando si era seduto alla scrivania per dare un'occhiata al lavoro fatto insieme, aveva trovata cambiata la disposizione di certi capitoli, con piccole correzioni e aggiunte tra le righe con la calligrafia di Dali, a noi ben nota quando si presentava scrivendo e quando aveva corretto - tramite Roberto in trance - i libri curati da Nella Bonora.
Tutto questo non l'abbiamo mai detto, tanto sembra inverosimile: del resto tutta la fenomenologia di questa medianità - pur rientrando nei canoni delle grandi medianità del passato - può sembrare inverosimile a chi non accetta che esistano altre dimensioni oltre quella fisica.
A casa, con Roberto e Corrado, c'erano altri due amici: Giuliana e Fabrizio Manneschi: tutti e cinque ci mettemmo entusiasti ad esaminare le modifiche apportate alla disposizione delle pagine del dattiloscritto, che risultava in-fatti più scorrevole. A un tratto avvertimmo un intenso pro-fumo di violette, fenomeno questo che caratterizzava l'inizio di una trance estemporanea. Roberto si adagiò su una poltrona e noi ci sedemmo intorno a lui: fuori c'era il sole e anche con le serrande calate non riuscimmo a fare il buio completo, perché dai lati della grande finestra a tre vetrate filtrava molta luce. Roberto si fece mettere un foulard sugli occhi, fermato a mo' di benda dietro la testa, perché quando era in trance anche un minimo filo di luce gli faceva arrossare gli occhi. Avevamo preparato il registratore, ma la voce della Guida fisica - Michel -ci pregò di munirci di macchina fotografica. Corrado si staccò dalla catena e andò a prendere quanto richiesto: l'unica macchina fotografica già munita di pellicola era la Polaroid; rientrò nella stanza con la macchina, e Michel lo fece inginocchiare davanti a Roberto con la macchina puntata verso il suo volto. Praticamente Corrado rimaneva in mezzo ad un piccolo cerchio formato da noi in catena:
Roberto però aveva le mani libere, poiché le mani di Giuliana e di Fabrizio che erano ai suoi lati, erano appoggiate alle sue spalle. Avevamo potuto vedere bene ogni cosa perché i nostri occhi, abituati ormai alla penombra, distinguevano bene tutto. Michel ci invitò a stare concentrati e a recitare mentalmente il Padre Nostro. “ Quando te lo dico io, scatta ”, disse rivolto a Corrado. Così fu fatto: all'espulsione del primo cartoncino, Roberto lo prese tra le mani. Alla distanza di pochi secondi l'una dall'altra furono scattate alcune fotografie, con nostra grande meraviglia perché con quella poca luce la Polaroid non avrebbe potuto funzionare senza flash. Poi l'entità annunciò: “ Ora basta: è una serie di fotografie. Solo la quinta è completa. Fatele pure vedere agli amici e agli ospiti, ma non pubblicatele: è Francois! ”.
Roberto si svegliò dalla trance, chiese se c'era stato un messaggio: noi eravamo tesi e ansiosi di vedere cosa era venuto. Raccontammo tutto a Roberto mentre tiravamo su la serranda, prendemmo le foto che la Guida aveva appoggiate sul ripiano di un mobile vicino e guardammo esterrefatti.
Ricordo che quando in alcuni volumi di spiritismo avevo viste riprodotte certe foto medianiche, mi aveva colpi­to e reso dubbiosa quella massa “ tipo cotone idrofilo” che si vedeva intorno alle immagine. Ebbene, avevo davanti a me la stessa cosa, ma io avevo visto come si era pro­dotto questo miracolo, come erano state scattate le foto, come davanti all'obiettivo ci fosse solo il volto di Roberto in penombra con la benda davanti agli occhi, mentre ora avevamo davanti a noi la nitida fotografia di un volto sconosciuto, dai lineamenti marcati, lo sguardo intenso e una folta barba; circondato da una specie di nube di cotone!
Nelle prime fotografie si vede solo l'ectoplasma bianco, con una apertura nel mezzo dalla quale appare, via via sempre più evidente, l'immagine di un volto un po' sfocato. Nella quinta il volto è ben visibile e a fuoco.
In una successiva breve trance, qualche giorno dopo, ci fu chiarito che Francois era un medico occultista all'epoca della rivoluzione francese, ed era stato anche medico dell'Armata di Napoleone.
Da allora Francois iniziò a presentarsi alle nostre sedute, con una voce gradevole e possente, dall'accento lievemente francese. Rispondeva a tutti i nostri interrogativi sulle ultime lezioni di Kempis che erano molto difficili: di tanto in tanto dava qualche notizia riguardante la sua vita passata. Per esempio, disse che era vissuto dieci anni a Udine come Direttore di quell'ospedale quando Napolene dominava l'Italia, che i suoi genitori erano stati uccisi ed altre cose per cui potemmo appurare che si trattava di Francois Broussais, una personalità molto nota in Francia. A Parigi un nostro amico si procurò due biografie di Francois, scritte in francese, nelle quali trovammo conferma di tutte le notizie che Francois ci aveva dato di se stesso.
Dal 1980 Francois è stata l'entità che più di ogni altra si è intrattenuta fra noi: come ho già accennato, l'insegnamento vero e proprio veniva dato circa una volta al mese, con l'intervento o di Kempis, o di Dali, o del Fratello Orientale, o di Claudio: alcune volte si è manifestato anche il Maestro Veneziano, che non si era mai presentato negli anni precedenti. Roberto andava in trance improvvi­samente, alla presenza di due o tre amici che mettevano in funzione il registratore e noi tutti seguivamo l'insegnamento attraverso le registrazioni. Inoltre, ogni sabato sera, Roberto riuniva gli amici in casa sua: si può dire che ora il cerchio fisso - di sette o otto persone - era formato dagli amici più recenti: venivano ammessi però quattro o cinque osservatori, per cercare di soddisfare le richieste di partecipazione che ci giungevano continuamente.
In queste sedute si manifestava sempre Francois. Preannunciato dal profumo di violette, Dali interveniva con un breve saluto, o una esortazione, una preghiera, una benedizione. Ogni tanto, al posto di Dali, interveniva Teresa col profumo di rose e le sue dolci parole d'amore. Quello che non mancava mai era il magico intervento di Michel, con intense luminosità che a volte illuminavano tutto il volto di Roberto e con i suoi misteriosi doni. Tra la metà del 1980 e la fine del 1983 sono stati più di cento gli oggetti apportati!
Anche se l'importanza degli apporti non sta certo nel loro valore intrinseco, è innegabile che desti una certa me­raviglia il fatto che spesso si sia trattato di oggetti in oro e pietre, o altrimenti in argento: bracciali, catenine, monete, spilli, piccole croci, ciondoli vari.
Roberto continuava ad andare in ufficio, ma il pomeriggio era libero e riceveva gli amici e coloro che volevano conoscerlo. La sua malattia, anziché chiuderlo in se stesso, lo aveva reso ancora più disponibile verso gli altri. Prima credeva che alle persone interessasse incontrarlo solo quando era in seduta o che interessassero solo i messaggi delle entità. Ma le persone che riceveva in casa gli dimostravano il loro affetto e gli dichiaravano che per loro era estremamente importante conoscerlo anche come uomo e che dalla conversazione con lui si sentivano rasserenati. Caro, caro Roberto! Venivano a raccontare le loro pene ed egli aveva parole incoraggianti per tutti e non parlava mai delle sue pene.
Poiché il numero delle persone che desideravano entrare in contatto con noi aumentava sempre, dall'aprile del 1980 cominciammo a tenere una riunione pubblica mensile a cui intervenivano anche persone provenienti da fuori Firenze. Era commovente pensare che facevano chilometri e chilometri in treno o in macchina per sentire i messaggi registrati e per avere un dialogo con noi. Roberto era sempre presente, seduto in mezzo agli altri: avrebbe voluto poter invitare tutti insieme ad una seduta; e per tre volte è avvenuto l'incredibile! E andato in trance nella sala pubblica che ci ospitava, e Francois si è manifestato dando chia­rimenti o spiegazioni e rivolgendo parole di affetto a tutti i presenti.
Nel marzo del 1981 presentammo il nostro terzo libro Per un mondo migliore con la prefazione di Pietro Cimatti, che era diventato grande amico di Roberto fin dal loro pri­mo incontro nel giugno del 1980. Erano presenti il caro e compianto amico prof. Giulio Cogni, la dott.ssa Paola Giovetti e, oltre a Pietro Cimatti stesso, il nostro editore Gianni Canonico. Con la pubblicazione di questo libro, altre persone si aggiunsero alla schiera di quelle che desideravano incontrarsi con noi. Furono escogitati diversi espedienti per accontentare il maggior numero possibile di coloro che apprezzavano questo messaggio. Quante volte Pietro Cimatti, nelle sue telefonate delle 23 alla radio, ha rivolto domande a Francois, che, tramite la disponibilità di Roberto in trance, rispondeva con grande saggezza a quesiti esistenziali! Altre volte, gruppi di amici di Torino, di Brescia, di La­mezia Terme, dopo le 22 chiamavano Roberto al telefono e ponevano domande sugli insegnamenti.
Io non credo che altri medium abbiano mai potuto ren­dersi disponibili a tutti come Roberto: e così disinteressatamente, solo per dare gioia e speranza...­
Ormai dal febbraio del 1981 Roberto si muoveva solo con la sedia a rotelle e continuava ad andare in ufficio accompagnato in macchina da Corrado. Veniva nella mia casa di Ceppeto per incontrarsi con la mia mamma che non si dava pace di vederlo così: in quell'occasione ci riunivamo - noi tutti amici più intimi - nella stanza che era stata teatro di meravigliose serate. E ancora speravamo che un giorno tutto potesse ricominciare come prima. Roberto continuava a curarsi, le analisi erano ancora buone e la speranza non ci lasciava.
Nel luglio del 1981 la nostra cara, dolce, adorata mamma ci lascio improvvisamente, senza soffrire. Come mi sembrava vuota la mia casa adesso! Roberto non veniva quasi più perché, sempre più limitato nei movimenti, fuori di casa sua non si sentiva a suo agio. Purtroppo anche Corrado negli ultimi tre anni era peggiorato del suo diabete e diverse volte era andato in coma. Tanti cari amici da tempo avevano cura di loro e non li lasciavano mai soli: vorrei ricordarli tutti ad uno ad uno. Roberto ha dato molto amore, ma ne ha anche ricevuto tanto!
Probabilmente, come ogni essere umano, Roberto è apparso diverso a ognuno di coloro che lo hanno avvicinato, ma ciascuno non può non aver rilevato quel suo profondo rispetto degli altri che era una caratteristica del suo essere. Il miracolo di cui era strumento non cessava mai di stupirlo, ne' l'abituava allo straordinario tanto da fargli accettare tutto senza il vaglio della sua ragione.
Per gli amici che non conoscevano le sue doti medianiche era un sereno compagno che sapeva essere sempre presente con il suo benevolo humor e la sua disponibilità. Rispettoso dei propri impegni a livello sociale, non sfuggiva - nell'ascesi - il suo essere uomo e cittadino, sì che ai colleghi di lavoro risultava un amico capace di assolvere i suoi impegni senza spirito di rivalità né ambizione. Per noi familiari e' stato un punto di riferimento in­sostituibile, una presenza confortante e piacevole che suscitava e irradiava un amore incondizionato: e senza questa presenza tangibile la vita ci appare meno bella!
Durante questi ultimi anni di intensificata attività medianica, abbiamo pubblicato altri due libri: l'uno nel novembre del 1982 dal titolo Le grandi verità l'altro nel novembre del 1983 dal titolo La voce dell'ignoto, corredato da tre cassette con la voci dei sette Istruttori del Cerchio.
Nel volume Le grandi verità ha riscosso un particola­re successo la parte curata dall'amico Pietro Cimatti, in cui egli ha riportato molte domande che i partecipanti al­le sedute hanno rivolto a Francois, ottenendone chiare ed esaurienti risposte. Saputo di questo successo, Roberto ave­va pregato Cimatti di inserire un'altra serie di risposte di Francois nel volume che avrebbe contenuto i messaggi del 1982-1983. Purtroppo, in questo volume lo spazio che dovevamo dedicare a Francois è stato preso dalle note biografiche di Roberto; ma il progetto è solo rimandato.
Il settimo volume del Cerchio, interamente curato da Pietro Cimatti, sarà il libro di Francois con le sue risposte sagge e pazienti a tutte le nostre domande più disparate; risposte che da sole costituiscono un corso “ accelerato ”di verità esoteriche.
Certo, sarà duro abituarci. a fare a meno delle conversazioni con Francois, degli insegnamenti dei Maestri, del­le riunioni con la rassicurante presenza di Roberto, quelle riunioni che credevamo di continuare ancora per tanti anni.
Ora che ripenso a quello che è stato, mi sembra impossibile che non mi sia mai venuto il sospetto che Roberto potesse lasciarci. Io, che non avevo mai prestato molta attenzione agli oroscopi, avevo creduto in quelli che gli affettuosi amici astrologi avevano fatto per lui: tutti concordemente dicevano che Roberto sarebbe guarito. Ma forse tutto questo ottimismo veniva indotto proprio perché non creassimo intorno a Roberto un'atmosfera di tristezza, che lui certamente avrebbe captato. Francois Broussais come medico aveva una sua teoria: il malato, anche quello che può sembrare il più preparato, non deve mai conoscere la gravità della sua malattia.
E le analisi continuavano ad essere buone: tuttavia i medici che lo seguivano avevano capito che stava delineandosi ormai chiaramente quel tipo di sclerosi che non si vede dalle analisi, ma che è inesorabile.
L'ultimo aiuto che ha potuto avere Roberto è stato quello di trapassare così dolcemente prima che il suo fisico sì distruggesse ulteriormente. Non è stato mai un giorno intero a letto: fino all'ultimo ha ricevuto gli amici più intimi seduto nella sua sedia a rotelle, sempre ordinatamente vestito, ché non si e mai permesso di ricevere in pigiama o in vestaglia.
Nell'ultima riunione del 25 febbraio a casa sua, voleva che chiedessimo alle Guide il permesso di riprendere la materializzazione dell'apporto in formazione con la sensibilissima telecamera che Corrado aveva appena comprato: “ Così potrei vedere qualcosa anch'io ”, diceva speranzoso. Ma quel sabato le entità non si sono presentate.
La mattina del 29 febbraio alle 8,40 Corrado lo ha chiamato, meravigliato che dormisse ancora. Era in posizione rilassata, serena, gli occhi chiusi: non si è piu' svegliato fra noi!
Con l'amata voce di Roberto, tante altre voci si sono spente. Addio dolce Dali, volitivo e sapiente Kempis, mistica Teresa, severo Claudio, Fratello Orientale dalla voce musicale, convincente Veneziano, favoloso Michel dai magici doni, gioiosa Lilli, cortese Alan, e tanto tanto gradito amico Francois! Era dolce riunirci per attendervi, ma avremmo rinunciato volentieri alle vostre voci amiche pur di avere Roberto con noi ancora per tanti anni. Ma sano, sereno, pago di avere svolto il suo compito.
Invece tutto insieme si è taciuto. Ora è il silenzio! A tutti gli amici che l'hanno conosciuto rimane il ricordo di Roberto come uomo, sempre disponibile ma riservato, dolce ma fermo nei suoi principi, sorridente ma con un fondo di malinconia nello sguardo, modesto ma pieno di dignità, sincero ma sempre attento a non ferire.
Io ho il ricordo dolcissimo e struggente di un fratello tenero, affettuoso, comprensivo, a cui sono stata profondamente legata prima da un affetto quasi materno, poi dalla comune esperienza e interesse per le vie di conoscenze che la sua medianità ci donava.
Sono conscia del fatto che cento, mille Kempis e Dali e Lilli e Roberto, spunteranno in ogni parte d'Italia: ma non ce ne vogliate, amici spiritisti, se vi diciamo che per noi - stretti congiunti e amici intimi di Roberto - le comunicazioni medianiche hanno assolto il  compito per il quale esistono, che è quello di risvegliare il nostro essere interiore. Ora vogliamo andare avanti da soli, con l'immenso  bagaglio degli insegnamenti avuti in questi anni e con la certezza che Roberto e tutti gli amici disincarnati sono con noi. Non possiamo   pretendere di proseguire un dialogo che era giusto avesse un termine: un dialogo che ci ha profondamente arricchiti e per cui non  ringrazieremo mai abbastanza Chi lo ha voluto per noi e chi si e' reso docile strumento per tutta una vita, senza mai chiedere nulla per  se stesso.
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