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[Rubrica] [In corso] Guerra: armi e tecnologie.

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    _Thomas88_
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    00 08/01/2015 17:02
    La Cina testa un ICBM con testate MIVR
    [IMG]http://i59.tinypic.com/293y4bc.jpg[/IMG]

    Il 13 dicembre 2014 la Cina ha portato a termine il primo test di volo del Dongfeng DF-41 (CSS-X-10), missile balistico intercontinentale a lungo raggio (ICBM), equipaggiato con testate multiple.
    Il lancio è stato effettuato dal cosmodromo di Taiyuan (TSLC), sede del Wuzhai Missile and Space Test Center, 250 km a sud ovest di Pechino, ed è stato seguito dai satelliti americani lungo tutto il suo tragitto.
    Il missile era armato con un numero imprecisato di testate inerti ed avrebbe colpito un punto d’impatto situato in un aerea disabitata della Cina Occidentale.

    Per i tecnici cinesi si è trattato del primo test di volo di un ICBM armato con testate MIVR. Si è trattato di un salto di qualità enorme per la Cina, che di certo inciderà sull’equilibrio strategico-militare del paese con gli USA.

    Prendendo per buono che tutti sanno, più o meno, cos’è un missile balistico intercontinentale, concentriamoci sulle testate MIVR. Che cosa sono?
    Le testate MIVR, Multiple Indipendently targetable Reentry Vehicles, chiamate anche testate multiple indipendenti, sono state sviluppate a metà degli anni ’60 e permettono ad un missile balistico di trasportare un numero di testate nucleari tali da colpire con un singolo missile decine di bersagli diversi simultaneamente. Le testate MIVR moltiplicano quindi le capacità distruttive degli ICBM.

    Tornando al test del DF-41, il Pentagono lo considera un passo avanti significativo per le forze strategiche cinesi. Questo ICBM ha una gittata di quasi 7500 miglia, quindi è in grado di minacciare l’intero territorio del Nord America.
    Si stima che il People’s Liberation Army possiede un arsenale nucleare composto da circa 240 testate nucleari ma questo numero non è certo e sicuramente aumenterà nei prossimi anni.
    Il NASIC, National Air and Space Intelligence Center, afferma che il DF-41 può trasportare fino a 10 testate nucleari.
    Il DF-41 non sarebbe però l’unico ICBM in grado di trasportare testate MIVR. Alcune fonti ritengono che la Cina abbia condotto un altro test missilistico, a fine settembre, con un ICBM DF-31B armato con testate MIVR e che i tecnici cinesi stanno modificando i missili DF-5 e DF-31A.
    Secondo il Pentagono, il Dongfeng DF-41 potrebbe essere già schierato dal 2015.

    Gli Stati Uniti, invece, hanno nel loro arsenale strategico 450 missili balistici intercontinentali Minuteman III, mentre l’attuale arsenale nucleare strategico comprende 1.642 testate atomiche.
    Tutti i Minuteman III sono stati modificati per trasportare testate MIRV. In più a questi vanno ad aggiungersi i missili lanciati da sottomarini Trident II che possono trasportare fino a 14 MIRV ciascuno.


    Schema: come funziona un ICBM con testate MIVR.
    Prendo come esempio un missile Minuteman III.
    [IMG]http://i59.tinypic.com/351d64p.png[/IMG]

    1- Lancio del missile dal silos
    2- Distacco della copertura esterna (E in giallo) e del primo razzo vettore (A)
    3- Distacco del secondo razzo vettore (B)
    4- Distacco del terzo razzo vettore (C)
    5- Apertura della punta (D)
    6- Rilascio delle testate
    7- Le testate seguono delle traiettorie indipendenti
    8- Le testate colpiscono gli obiettivi assegnatigli


    Informazioni prese da Analisi Difesa
    [Modificato da _Thomas88_ 08/01/2015 17:03]
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    00 13/01/2015 18:26
    Russia: un comando per le forze aeree dell’Artico
    [IMG]http://i59.tinypic.com/e8tyzn.jpg[/IMG]

    Nel corso di un’intervista sulla politica di rafforzamento militare russo, il Capo di Stato Maggiore e Vice Ministro della Difesa Valery Gerasimov ha preannunciato per il 2015 la creazione di un nuovo comando integrato delle Forze Aeree e Difesa Aerea per l’Artico.
    Il nuovo organismo andrà ad inserirsi nella struttura del neo-istituito Comando Interforze Strategico per la regione artica, operativo dal 1 dicembre 2014, sulle cui funzioni e finalità strategiche già si è data notizia in un precedente articolo.
    -“Il Comando Strategico per l’Artico è attualmente basato sulla Flotta Settentrionale”- ha spiegato Gerasimov -“cui è affidata la responsabilità di garantire la sicurezza nella regione in tutte le forme di conflitto armato. Già gli è stata assegnata una divisione di Difesa Aerea che ora, assieme alla componente aeronautica, costituirà un comando indipendente”.
    L’entità delle forze aeree destinate ad operare nell’Artico non è stata precisata anche se è da ritenere che dovrà essere di tutto rispetto. Nei piani di rafforzamento del Ministero della Difesa russo è infatti previsto l’insediamento nell’area circumpolare di ben 13 aeroporti militari in parte di nuova costruzione ed altri che verranno realizzati mediante il recupero e l’ampliamento di vecchie strutture dell’era sovietica.
    Secondo l’agenzia Tass, allo stato attuale sono già stati resi operativi gli aerodromi nell’Isola di Kotelny (Arcipelago di Novosibirsk, Mar di Laptev) e di Rogachyovo (Arcipelago di Novaya Zemlya, tra il Mar di Barents ed il Mar di Kara), e sono in fase di ampliamento quelli di Anadyr (regione della Čukotka, ai confini con l’Alaska), di Alykel e di Vorkuta (Siberia centro-settentrionale).
    Particolare importanza riveste l’aeroporto di Tiksi (Yakutia), in realtà un agglomerato di tre diversi aeroporti, che nell’era sovietica fu base per i bombardieri strategici a lungo raggio e che presumibilmente ritornerà ad esserlo, oltre che a divenire base per caccia intercettori Mig-31 in corso di ammodernamento nella versione BM.
    Sempre secondo la Tass, a breve un’unità droni del tipo “Orlan-10” verrà dislocata permanente nell’aerodromo di Anadyr.
    Quanto alla difesa aerea, un reggimento dotato del sistema anti-missile S-400 (nella foto a sinistra), già in dotazione ad unità dislocate nelle penisole di Kola e Kamchakta, verrà ora schierato nell’Arcipelago di Novaya Zemlya.
    Inoltre, verrà schierata una seconda batteria missili anti-aerei a corto raggio “Pantsir S-1” oltre a quella già trasferita e resa operativa nell’Isola di Kotelny.

    Fonte: Analisi Difesa
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    00 19/01/2015 18:09
    Ultime notizie dalla guerra allo Stato Islamico.
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    Più di 5000 ordigni sul Califfato. Presto l’attacco a Mosul?
    [IMG]http://i57.tinypic.com/2akze1.jpg[/IMG]

    La Coalizione internazionale contro lo Stato Islamico ha lanciato più di 5.000 bombe e missili dall’inizio dei raid aerei contro i jihadisti dello Stato islamico l’8 agosto in Iraq e il 23 settembre in Siria, colpendo più di 3.000 obiettivi, tra cui 58 carri armati, 52 bunker, 673 postazioni di combattimento e oltre un migliaio di edifici.
    Lo ha annunciato il Pentagono rivelando che al 31 dicembre 2014 la Coalizione ha compiuto 1.676 raid. Il Pentagono non ha però comunicato il numero dei jihadisti uccisi o feriti. Al 2 gennaio il Pentagono ha speso per l’operazione “Inherent Resolve” 1,2 miliardi di dollari, in media 8,2 milioni al giorno.Sul campo di battaglia le forze del Califfato hanno riconquistato l’11 gennaio il villaggio di Mahur che si trova nei pressi di Mosul, dove sarebbe ormai imminente l’offensiva irachena e curda tesa a riconquistare la città. Secondo quanto riferiscono fonti della sicurezza irachena all’emittente televisiva “al Jazeera”, i jihadisti sono ritornati nella zona di Mahur dopo aver lanciato un’offensiva contro le milizie curde Peshmerga che controllavano l’area.
    Lo scontro a fuoco che ne è derivato è stato molto violento e ha provocato numero se vittime da entrambe le parti. Gli uomini dello Stato islamico hanno avuto la meglio approfittando delle cattive condizioni meteorologiche che hanno impedito ai caccia della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti di condurre dei raid a supporto delle forze curde.
    In vista dell’offensiva delle forze irachene (che gli Stati Uniti avrebbero voluto posticipare alla primavera per avere il tempo di addestrare almeno 30 mila reclute dell’esercito) il 13 gennaio si sono incontrati il ministro della Difesa iracheno, Khaled al Obeidi e una delegazione statunitense di alto livello guidata dal generale John Allen, inviato speciale del presidente Barack Obama nella Coalizione.
    Aerei iracheni hanno lanciato su Mosul volantini che avvertono i residenti di tenersi lontani dalle postazioni dello Stato islamico, annunciando nuovi raid. Nei messaggi le forze irachene e internazionali invitano inoltre i residenti a segnalare possibili informazioni sulle postazioni e i luoghi di incontro dei militanti dello Stato islamico nella città.
    Fonti d’intelligence hanno riferito che su Mosul stanno confluendo migliaia di combattenti del Califfato per la battaglia che si preannuncia non priva di incognite. Le limitate forze militari irachene disponibili costringono Baghdad a impiegare per lo più le milizie dei partiti sciiti che nelle poche aree riconquistate si sono macchiati di crimini contro le popolazioni sunnite non diversi da quelli dello Stato Islamico.
    La scarsa presenza di forze da combattimento convenzionali impone l’impiego su vasta scala di forze curde anche se, proprio in vista dell’offensiva su Mosul, i rapporti tra Baghdad ed Erbil non sono privi di difficoltà. Ieri un gruppo bipartisan di senatori statunitensi ha spedito una lettera al primo ministro iracheno per chiedergli di assicurarsi che il suo governo stia distribuendogli aiuti inviata dalla comunità internazionale alle popolazioni curde. In più occasioni Erbil ha lamentato ritardi e blocchi nelle consegne di armi e aiuti umanitari affluiti da tutto il mondo per l’esercito e la popolazione curda.
    La lettera era incentrata sugli aiuti umanitari ma in Senato sono anche preoccupati che il governo iracheno, a guida sciita, non stia fornendo gli aiuti militari statunitensi ai combattenti curdi, come ammesso dal repubblicano Jim Inhofe al giornale The Hill. Gli Stati Uniti infatti hanno preferito distribuire gli aiuti attraverso il governo centrale (come ha fatto anche l’Italia) nel tentativo di incoraggiare la riconciliazione tra i vari gruppi politici e religiosi del Paese. Membri del Congresso statunitense hanno incontrato, la scorsa settimana, alcuni leader del governo regionale del Kurdistan, che hanno chiesto agli Stati Uniti un aiuto militare diretto per contrastare i ribelli dell’IS.
    Nel frattempo, scrive Newsweek, Germania e Svezia hanno deciso di incrementare gli aiuti alle forze curde. Ursula Von Der Leyen ,ministro della Difesa tedesco, in visita a Baghdad, ha dichiarato: “Credo sia giusto estendere il nostro sostegno, perché sappiamo che i peshmerga non stanno combattendo solo per il loro Paese, ma per tutti noi”.
    La Germania dovrebbe mandare 100 addestratori militari nella regione del Kurdistan; secondo l’American Institute for Contemporary German Studies, Berlino ha finora consegnato ai curdi 8.000pistole, 8.000 fucili d’assalto, 10.000 granate e oltre 200 armi anticarro. Anche la Svezia intende mandare nella regione dei consiglieri militari che potrebbero venire aggregati al comando italo/tedesco di Erbil (guidato da un colonnello).
    Sempre ieri un ministro iracheno ha accusato i miliziani curdi di approfittare della guerra contro lo Stato islamico per espellere la popolazione araba da diverse regioni miste, puntando ad un cambiamento demografico di alcune Zone del Paese. Ahmad Al Jubury, ministro di Stato per gli affari Provinciali (sciita), ha affermato che “700 case (appartenenti a residenti arabi) sono state demolite dai Peshmerga a Jalawla”, una città circa 130 chilometri a nord-est di Baghdad, in un primo tempo occupata dai jihadisti del Califfato e riconquistata recentemente dai miliziani curdi.
    Il mese scorso residenti arabi di Jalawla avevano accusato i Peshmerga di avere impedito il ritorno di molti di loro in città, dopo la fine dei combattimenti.
    “Simili pratiche sono state adottate dai curdi in altre aree del Paese, come Sulaiman Beg, Zummar e altre nei pressi di Mosul”, ha affermato il ministro Al Jubury.
    Dopo che l’esercito federale di Baghdad si era ritirato davanti all’avanzata dello Stato islamico nel nord dell’Iraq,nel giugno scorso, erano stati appunto i Peshmerga curdi ad intervenire per opporsi ai jihadisti, occupando anche aree del Paese fino ad allora contese tra popolazione araba e curda.
    Forse anche alla luce delle fratture con Baghdad i curdi d’Iraq cercano di stringere un’alleanza ufficiale con i militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) per combattere lo Stato islamico in Iraq e in Siria. Lo ha reso noto l’Unione delle comunità curde (Kck),organizzazione che riunisce tutti i gruppi legati al Pkk.
    “Una forza comune è indispensabile – scrive il Kck nel comunicato – la guerra condotta dalle forze Peshmerga insieme al Pkk a Kobani e Sinjar oltre che in altre località del Kurdistan dà speranza e fiducia al popolo curdo, oltre che alle popolazioni oppresse nella regione”.
    Nella nota si avverte che lo Stato islamico vuole raggiungere Erbil con nuovi attacchi vicino alla capitale curda.
    Negli ultimi giorni, i miliziani dello Stato Islamico hanno concentrato i loro attacchi nella provincia di Gwer, a sud-ovest di Erbil, ma non sono riusciti ad avanzare nella città .
    Ad agosto scorso, lo Stato islamico aveva preso il controllo di Gwer e delle aree vicine e i Peshmerga erano riusciti a riconquistare la città meno di un mese dopo. Venerdì scorso, i militanti dello Stato islamico si sono infiltrati nuovamente nel centro urbano ma i peshmerga li hanno respinti nuovamente.

    Fonte: Analisi Difesa.it


    La TV del Califfo.
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    Lo Stato Islamico ha annunciato l’attivazione di una sua tv, chiamata “il Canale del Califfato”. A riferirlo è l’emittente satellitare Al Jazeera.
    I jihadisti hanno diffuso il promo del lancio del canale sui social media, affermando che inizialmente sarà visibile su internet e che trasmetterà programmi 24 ore su 24.
    Nella programmazione è previsto un programma chiamato “L’ora del reclutamento”, notiziari e reportage realizzati dal giornalista britannico John Cartlie, nelle mani dei guerriglieri dell’ISIS dal novembre 2012.
    Il canale televisivo si andrà ad aggiungere alla radio al-Bayan, la radio ufficiale del Califfato, che diffonde un notiziario quotidiano via internet dalla città di Mosul.
    Questo testimonia ancora una volta l’importanza dei media per i terroristi. Il legame comunicazione-terrorismo ha diversi obiettivi: farsi pubblicità, reclutare nuovi guerriglieri e raccogliere fondi, spaventare e influenzare l’opinione pubblica.

    Info prese da: Adnkronos.it


    Le forze britanniche tornano stabilmente in Medio Oriente.
    [IMG]http://i61.tinypic.com/4qlulj.jpg[/IMG]

    Il Ministro degli Esteri britannico Philip Hammond ha annunciato un accordo con le autorità del Bahrein per la costruzione di una base della Royal Navy, che verrà realizzata ampliando le strutture del porto di Mina Salman che già ospitano 4 unità cacciamine britanniche e provvedono al supporto logistico delle unità fregate e cacciatorpediniere.
    Quindi le forze militari britanniche torneranno stabilmente in Medio Oriente.
    L’accordo, firmato da Hammond e dal Ministro degli Esteri del Bahrein Sheikh Khalid bin Ahmed bin Mohammed Al Khalifa, prevede la costruzione della base entro due anni, con alloggi per 500 persone e depositi per lo stoccaggio del materiale.
    La nuova base potrà così ormeggiare le unità britanniche più grandi, inclusi i cacciatorpediniere Type 45 e le nuove portaerei classe Queen Elizabeth.
    I costi di costruzione della nuova base saranno a carico del Bahrein mentre Londra pagherà i costi di gestione.
    Questo nuovo accordo rafforza le relazioni tra i due Paesi e la presenza militare britannica nell’emirato fa comodo ai sovrani arabi della regione perchè bilancia un’eventuale minaccia iraniana.

    Info prese da: Analisi Difesa.it


    Gli Emirati Arabi Uniti offrono Mirage 2000 ad Iraq e Egitto.
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    Gli Emirati Arabi Uniti hanno offerto una decina di cacciabombardieri Dassault Mirage 2000-9 all’Iraq, per aiutare Baghdad nella lotta contro lo Stato Islamico in attesa che entrino in servizio i 24 F-16 comprati dagli USA.
    L’interesse dimostrato da Abu Dhabi nella questione irachena è dovuto anche al fatto che il Paese ha notevoli investimenti nel settore energetico nelle aeree tra Baghdad e Erbil.
    Gli Emirati dispongono di 36 Mirage 2000 acquisiti nel 1986, dei quali 33 sono aggiornati allo stesso standard dei più recenti 32 Mirage 2000-9 acquisiti in Francia a partire dal 2003 e dotati di molti equipaggiamenti standard sui più moderni Rafale prodotti da Dassault Aviation.
    Oltre ai 68 Mirage 2000 le forze aeree degli EAU hanno a disposizione anche 79 F-16 acquisiti negli USA.
    L’aeronautica irachena attualmente dispone solo di un paio di dozzine di aerei da combattimento del tipo Sukhoi Su-25 forniti dalla Russia e dall’Iran (che ha restituito velivoli fuggiti dall’Iraq all’epoca del conflitto del 1991).
    Abu Dhabi ha offerto 40 dei suoi Mirage anche all’Egitto. In più si appresterebbe a girare all’Iraq anche una parte dei 24 Embraer Super Tucano da attacco al suolo/contro insurrezione ordinati in Brasile.

    Info prese da: Analisi Difesa.it
    [Modificato da _Thomas88_ 19/01/2015 18:09]
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    _Thomas88_
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    00 21/01/2015 16:28
    “Hanoi Jane” si pente delle foto scattate con i nord-vietnamiti e chiede scusa.

    Jane Fonda è un’attrice statunitense. Nata a New York nel 1937, è riuscita ad intraprendere una fortunatissima carriera cinematografica. Ha infatti vinto ben due Oscar come Miglior Attrice e sei Golden Globe.
    Ma Jane non è famosa soltanto per i film. A partire dagli anni ’70 diede vita ad un intenso impegno politico, che la vide impegnata nel protestare apertamente contro la Guerra del Vietnam.
    Nel 1972 i suoi ideali la portarono ad Hanoi, capitale del Vietnam del Nord. Addirittura le venne affibbiato il soprannome di “Hanoi Jane”. Il suo viaggio le fece piombare addosso molte critiche da parte dell’opinione pubblica americana.
    Durante la sua visita nella città nord-vietnamita Jane Fonda si fece fotografare con i soldati nord-vietnamiti.

    In questa famosissima foto la si vede su un cannone antiaereo.
    [IMG]http://i58.tinypic.com/fz0tit.jpg[/IMG]

    A poche centinaia di metri dal luogo di questo scatto, prigionieri americani subirono immani torture dai loro carcerieri nell’Hanoi Hilton. Uno di questi prigionieri era il Colonnello Roger Ingvalson, il cui aereo venne abbattuto da un cannone simile a quello con il quale si è fatta immortalare la sorridente Fonda.

    Ecco altre due fotografie.
    [IMG]http://i61.tinypic.com/2r5gc2g.jpg[/IMG]

    [IMG]http://i60.tinypic.com/symo15.jpg[/IMG]

    Ora, a distanza di oltre 40 anni, l’attrice oggi 77enne torna a chiedere scusa per quegli scatti in mezzo ai soldati nord-vietnamiti.
    «Quella foto mi farà male fino alla morte».
    Durante un evento in Maryland, Jane Fonda è stata duramente contestata dai reduci del Vietnam, che hanno lanciato volantini con la scritta «Perdonare? Forse. Dimenticare? Mai»
    In quella occasione l’attrice ha dichiarato: «Quando è possibile cerco di sedermi con i veterani e parlare con loro. Capisco la loro rabbia, mi rende triste. Mi fa male e lo farà fino alla tomba. Ho fatto un enorme, enorme errore.»


    Perdonare? Forse. Dimenticare? Mai.
    [SM=g3061200]
    Concordo in pieno.
    [Modificato da _Thomas88_ 21/01/2015 16:33]
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    _Thomas88_
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    00 26/01/2015 17:17
    I Curdi scacciano l'ISIS da Kobane

    La bandiera curda issata sulla collina di Kobane.
    [IMG]http://i59.tinypic.com/149819x.jpg[/IMG]

    I curdi stanno per riconquistare Kobane dopo mesi d'assedio. In questi giorni in cui parla tanto d'Europa, questo modesto e dimenticato borgo siriano è il vero centro della resistenza europea, non soltanto perché al confine della Turchia, Paese cardine della Nato, ma anche perché uomini e donne della resistenza curda hanno difeso i valori dell'Europa, di libertà, di indipendenza e laicismo contro l'oscurantismo delle orde del Califfato. Non dimentichiamo che i curdi stanno ancora combattendo contro tutto e contro tutti, anche se nelle ultime settimane i raid della coalizione internazionale anti-Isil si sono rivelati finalmente efficaci nell'indebolire le postazioni del Califfato.

    Il governo islamico della coppia Erdogan-Davutoglu ha bastonato duramente i curdi per impedire che passassero la frontiera provocando nei mesi scorsi un'ondata nazionale di proteste con 35 morti. Poi anche il governo turco ha ceduto alle pressioni interne e internazionali lasciando che andassero a farsi massacrare nella trincea di Kobane. Il messaggio di Ankara ai curdi è stato questo: fatevi pure ammazzare contro il Califfato ma non sperate di ottenere nulla, né autonomia né tanto meno indipendenza.

    La Turchia ha come obiettivo la caduta di Assad e contenere i curdi, non eliminare lo Stato Islamico. Washington e l'Occidente devono decidere chi deve combattere sul campo: i riluttanti alleati degli americani non hanno nessuna voglia di farlo. I curdi non vanno bene alla Turchia, le milizie sciite sono troppo filo-iraniane e ostili ai sunniti. E allora chi mandiamo? Eserciti che per ora sono soltanto sulla carta?

    Per vincere la guerra al Califfato bisogna essere convinti non soltanto della retorica sui valori occidentali che abbiamo sentito dopo gli attentati di Parigi. Serve anche un progetto per rimettere insieme i pezzi dell'Iraq e della Siria o per disegnare nuovi confini ed entità politiche nel vuoto lasciato da stati falliti. I curdi stanno salvando se stessi e il loro destino ma intanto ci stanno dando una lezione.

    Fonte: Il Sole 24 ore


    Stando a quanto scritto su TGCOM, l'Osservatorio siriano per i diritti umani afferma che il 90% della città è ora sotto il controllo dei curdi.
    I guerriglieri dello Stato Islamico rimasti nella città sarebbero per lo più minorenni e sono asserragliati in due zone nella periferia orientale della città, dove vengono segnalati alcuni scontri a fuoco.

    Da metà settembre ad oggi nei combattimenti a Kobane ci sono stati più di 1600 morti e circa l'80% dei raid della Coalizione si sono concentrati proprio sull'area della città.
    [Modificato da _Thomas88_ 26/01/2015 17:17]
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    00 28/01/2015 15:57
    Le prime foto della Kobane liberata
    Il Centcom (United States Central Commando), inizialmente cauto, ha confermato le prime indiscrezioni sulla situazione nella città di Kobane e si è congratulato con i combattenti curdi.

    Ecco le prime foto della città dopo l'assedio durato più di 4 mesi.
    [IMG]http://i61.tinypic.com/2cworvr.jpg[/IMG]

    [IMG]http://i61.tinypic.com/b3x0r6.jpg[/IMG]

    [IMG]http://i60.tinypic.com/2ekskrm.jpg[/IMG]

    [IMG]http://i59.tinypic.com/35bckns.jpg[/IMG]

    Fonte foto: Ansa.it
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    00 14/02/2015 15:31
    Apache Vs Dragon: Who would win?
    Vi siete mai chiesti chi uscirebbe vincitore in uno scontro tra un elicottero d'attacco AH-64 Apache e un drago?
    Io sinceramente no...ahahah

    Se ci fosse un drago a minacciare una città, manderei un mucchio di artiglieria contraerea.
    Se questa non è disponibile, qualche caccia o anche un bell'A-10 Thunderbolt potrebbe facilmente sbarazzarsi di questo bestione.
    Ma la scelta degli elicotteri per proteggere lo spazio aereo di una città non è affatto sbagliata. Ma devono essere armati con missili aria-aria (l'Hellfire è un missile anticarro aria-terra).

    Comunque in questo video è stato simulato questo epico scontro. Chi vincerà?

    PS: il filmato non è stato realizzato da un ciarlatano qualunque ma è stato pubblicato su Smithsonian Channel.

    [Modificato da _Thomas88_ 14/02/2015 15:34]
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    00 20/02/2015 15:38
    L'India testa il missile balistico "China Killer"
    [IMG]http://i60.tinypic.com/9fml3k.jpg[/IMG]

    Il confronto strategico tra India e Cina continua a essere caratterizzato da una forsennata corsa al riarmo. Nuova
    Delhi ha testato con successo il 31 gennaio scorsi il missile balistico intercontinentale Agni-V, vettore a tre stadi con gittata di oltre 5.000 chilometri (3,100 miglia) capace di minacciare gran parte del territorio cinese, inclusa Pechino, e di raggiungere l’Europa centrale.

    La notizia, pubblicata dal sito di informazione finanziaria India Infoline Limited (IIFL), precisa che il test ha visto l’impiego di una rampa mobile [TATRA 8x8] posizionata sulla piattaforma di lancio del complesso n.4 (LC-IV) dell’Integrate Test Range di Wheeler, isola di fronte alle foci del fiume Brahamani, nel Golfo del Bengala. Come confermato dall’agenzia indiana che ha progettato e realizzato il missile, l’Organizzazione per la Ricerca e lo Sviluppo della Difesa (DRDO), la possibilità di utilizzare una di lancio mobile offrirà alle forze armate un supplemento di flessibilità operativa rilevante.

    Conosciuto in India come “China killer”, l’Agni-V è lungo 17 metri ed ha un diametro di 2 metri; la massa totale al momento del lancio è di oltre 50 tonnellate e il vettore è in grado di trasportare una testata nucleare di circa 1.000 kg.

    Per l’Agni-V, che secondo alcune fonti ha capacità MIRV (Multiple Independently targetable Reentry Vehicles), questo è il terzo test di lancio che si conclude con successo: i primi due, partiti sempre dall’isola di Wheeler, sono avvenuti il 19 aprile 2012 e il 15 settembre 2013.

    A differenza dei predecessori, l’Agni-V è equipaggiato con motori più potenti e tecnologie all’avanguardia che incidono sulla precisione e sulla navigazione. Adottato un più moderno e accurato micro sistema di navigazione (Micro Navigation System – MINS), che garantisce una probabilità circolare di errore (circular error probable – CEP) di pochi metri, e sistema di navigazione inerziale (INS) assistito da un giroscopio laser ad anello (Ring Laser Gyro – RLG), oltre a computer di bordo più veloci e più resistenti alle sollecitazioni.


    Fonte: Analisi Difesa
    www.analisidifesa.it/2015/02/lindia-testa-il-missile-balistico-china...
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    00 24/02/2015 15:30
    JF-17 Thunder
    [IMG]http://i62.tinypic.com/wb5o4z.jpg[/IMG]

    Il PAC JF-17 Thunder, o CAC FC-1 Xiaolong, è un caccia multiruolo leggero, monoposto.
    Nato in Cina, è stato sviluppato dalla Chengdu Aircraft Corporation insieme alla Pakistan Aeronautical Complex.
    Sviluppato a partire dal 1995, ha volato la prima volta nel 2003, diventando operativo alla fine del primo decennio del nuovo secolo.

    Il JF-17 è un caccia multiruolo, quindi può essere impiegato in diversi ruoli, come aereo da attacco al suolo, intercettore e ricognizione aerea.
    Monta un motore Klimov RD-93, capace di fargli raggiungere una velocità massima di Mach 1.6 (1960km/h).
    Ha un'autonomia di 3482km e una quota massima di 16920m.

    E' armato con un cannone a due canne rotanti GSh-23-2 da 23mm, o con un cannone GSh-30-2 da 30mm.
    Ha sette punti d'attacco: uno sotto la fusoliera, quattro subalari e due alle estremità delle ali, per un carico esterno totale di 3400kg. Può trasportare missili aria-aria, aria-superficie, bombe a caduta libera e bombe guidate.

    Il caccia attualmente non ha la possibilità di essere rifornito in volo.

    Il costo di un singolo JF-17 del primo blocco ammonta a circa 15-20 milioni di dollari; per un velivolo del secondo blocco la cifra si alza a 20-25 milioni di dollari.

    Il Thunder è in servizio solamente con la Pakistan Air Force. La Cina infatti ha sviluppato questo velivolo appositamente per l'esportazione.
    La lista dei suoi operatori è comunque destinata ad aumentare.
    L'Azerbaijan di recente ha ordinato 26 JF-17.

    Altre foto:
    [IMG]http://i60.tinypic.com/16aqplk.jpg[/IMG]

    [IMG]http://i60.tinypic.com/iyehb9.jpg[/IMG]
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    00 27/02/2015 15:36
    India: testato il missile balistico a corto raggio Prithvi-II
    [IMG]http://i62.tinypic.com/2po2heg.jpg[/IMG]

    Il Comando delle Forze Strategiche indiane ha eseguito con successo un test di volo del Prithvi-II, missile balistico superficie-superficie a corto raggio (SRBM) realizzato dall’agenzia governativa indiana Defence Research and Development Organisation (DRDO) all’interno piano di sviluppo definito dall’Integrated Guided Missile Development Program. La notizia, pubblica dal quotidiano indiano in lingua inglese The Hindu, precisa che il missile, partito alle 09:20 del 19 febbraio dall’Integrated Test Range (ITR) di Chadipur, poligono sulle coste del distretto orientale di Odisha, ha centrato sette minuti più tardi il target designato (largo meno di 20 metri) posto a 250 km di distanza a largo della Baia del Bengala. Missile con capacità nucleare, il Prithvi è realizzato in tre versioni, a singolo o doppio stadio a propellente liquido e solido, ed ha una probabilità di errore circolare (CEP) – distanza tra il bersaglio e l’effettivo punto d’impatto su un obiettivo al suolo di un missile balistico – che si avvicina ai 10 – 20 metri.

    Vettore a singolo stadio, il Prithvi I (SS-150) è stato sviluppato per le Forze di terra e può essere lanciato da una rampa verticale mobile montata su automezzo Tata 8×8; ha una gittata di 150 chilometri (93 mi) ed è armato con una testata da 1.000 chili. Il Prithvi II (SS-250), versione per le Forze aeree, ha una gittata di 250 km (160 mi) e una testata da 500 chili; assegnato anche delle Forze di terra, è un missile a singolo stadio ed è equipaggiato con un sistema di guidai inerziale e contromisure elettroniche utilizzate per ingannare i missili anti-balistici. Versione per la Marina Militare, il Prithvi III (SS-350) è conosciuto anche come Dhanush, missile superficie-superficie a due stadi – il primo solido, il secondo liquido – con range massimo che varia in funzione della testata utilizzata: 350 km (220 mi) con testata da testata da 1000 kg; 600 km (370 mi) con 500 kg; 750 km (470 mi) con 250 kg.

    Per il Prithvi-II l’ultimo lancio eseguito dal Comando delle Forze Strategiche risaliva 14 novembre 2014; nella stessa settimana era stato, inoltre, eseguito un test con un Dhanush.


    Fonte: IT log defence
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    00 21/03/2015 17:15
    Chi è il primo importatore di armi nel mondo?
    Chi è il primo importatore di armi nel mondo?
    La risposta è Arabia Saudita.

    [IMG]http://i57.tinypic.com/8vz1h1.jpg[/IMG]

    Secondo un report della rivista di analisi britannica IHS Jane’s, nel 2014 l’Arabia Saudita ha superato l’India divenendo il primo paese importatore di armamenti al mondo. In termini assoluti, le importazioni saudite hanno raggiunto il livello di 6,5 miliardi di dollari, con una crescita del 54% rispetto al 2013 e il trend è tutt’ora in crescita, con un valore di importazioni stimato per il 2015 in 9,8 miliardi di dollari (+52%), pari a un settimo dell’intero mercato mondiale.

    “Nel valutare le probabili esportazioni dell’industria della difesa a livello mondiale”- ha rilevato Ben Moores, senior-analyst di Jane’s -“vediamo che cinque tra i dieci maggiori paesi importatori sono del Medio Oriente, un mercato in espansione che si prevede raggiungerà i 110 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni”.

    Oltre all’Arabia Saudita infatti bisogna considerare gli altri paesi dell’aerea ed in particolare gli Emirati Arabi Uniti le cui importazioni sono state nel 2014 di 2,1 miliardi, portando così il valore aggregato dei due paesi alla ragguardevole cifra di 8,6 miliardi.

    Primi beneficiari gli USA, la cui industria della difesa si è aggiudicata forniture verso i paesi del Medio Oriente per 8,4 miliardi, con un incremento del 40% rispetto al 2013. Secondo esportatore nell’area è risultato il Regno Unito (1,9 miliardi), terzo la Federazione Russa (1,5 miliardi), quarto la Francia (1,3 miliardi) e quinto la Germania (1 miliardo).

    In termini globali assoluti, in un mercato mondiale stimato complessivamente nel 2014 in 64,4 miliardi di dollari – e che si presume oltrepasserà i 70 miliardi nel 2015 – i primi esportatori sono risultati gli USA (23,7 miliardi) seguiti dalla Federazione Russa (10 miliardi), Francia (4,9 miliardi), Regno Unito (4,1 miliardi) e Germania (3,5 miliardi), mentre l’Italia, in trend negativo, si attesta su 1,9 miliardi di esportazioni.

    Fa invece mostra di sé la Corea del Sud, il paese emergente in questo mercato, che secondo gli analisti di Jane’s porterà in esecuzione nei prossimi 10 anni forniture per almeno 35 miliardi di dollari.

    V’è infine da dire che i dati forniti da Jane’s, come tiene a precisare la stessa rivista, pur essendo riferiti a tutti gli aspetti inerenti la produzione industriale, inclusi i costi collegati a R&D (Research and Development), logistica e servizi, non tengono conto delle forniture per armi e munizionamento di piccolo calibro (inteso al di sotto del calibro 57 mm) nonché dei costi riferibili alla sicurezza del territorio o programmi attinenti l’intelligence.


    Articolo di Fabio Ragno pubblicato su Analisi Difesa.it
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    00 26/03/2015 19:06
    Yemen: ecco chi sono i protagonisti della crisi.

    Cosa sta succendendo nello Yemen?
    A settembre gli Houthi, insoddisfatti delle loro condizioni, hanno cominciato un'avanzata che è sfociata nella conquista della capitale Sanaa, ed hanno preso il potere con un colpo di stato.
    Secondo alcuni analisti il colpo di stato è stato possibile grazie al denaro e alle armi iraniane.
    Da alcuni giorni però l'Arabia Saudita è scesa in campo per contrastare i ribelli sciiti. Ad essa si sono uniti altri paesi, come Egitto, Kuwait e Giordania.
    L'attacco saudita rischia di trasformare una guerra civile in un conflitto ben più ampio.

    Grazie a questo articolo andiamo a capire qualcosa in più sulla crisi yemenita.


    L’offensiva lanciata nello Yemen dall’Arabia Saudita e da altri nove paesi (Marocco, Egitto, Sudan, Giordania, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Pakistan) per fermare l’avanzata dei ribelli houthi rischia di trasformare una crisi politica interna in un conflitto regionale. Ecco chi sono i principali protagonisti della guerra civile yemenita.

    [IMG]http://i60.tinypic.com/14d2hee.png[/IMG]

    - Houthi Sono originari del nord dello Yemen e seguaci dello zaidismo, una variante locale dell’islam sciita. Tra il 2004 e il 2010, dalle loro roccaforti intorno a Saada, al confine con l’Arabia Saudita, avevano già combattuto una lunga serie di guerre contro il governo del presidente Ali Abdullah Saleh. Dopo la rivoluzione del 2011, e in particolare a partire dal 2013, gli houthi si sono scontrati a varie riprese con altre milizie, con potenti gruppi tribali e con i combattenti qaedisti. Nel settembre del 2014, insoddisfatti del ruolo offerto al nord dal progetto di nuova costituzione federale, sono avanzati verso la capitale Sanaa e a gennaio l’hanno conquistata, costringendo il governo a dimettersi. Nelle ultime settimane hanno lanciato un’offensiva per conquistare Aden, città portuale del sud, dove aveva trovato rifugio il presidente in carica Abd Rabbo Mansur Hadi. La loro presa di potere è stata possibile solo con un’alleanza di circostanza con il loro ex nemico Ali Abdullah Saleh e il sostegno dell’Iran, paese a maggioranza sciita.

    - Ali Abdullah Saleh È salito al potere nel 1978, inizialmente come presidente dello Yemen del Nord, uno stato indipendente fino alla riunificazione con lo Yemen del Sud nel 1990. Ha lasciato l’incarico all’inizio del 2012 in seguito alle proteste popolari ispirate dalle primavere arabe, accettando un piano di transizione promosso dai paesi del Golfo. Saleh ha continuato ad avere il sostegno di una parte significativa dell’apparato della sicurezza. Nonostante tra il 2004 e il 2010 abbia lanciato almeno sei offensive contro gli houthi, la nuova alleanza con i vecchi nemici fa comodo a entrambi: gli houthi hanno bisogno di avere al loro fianco una figura conosciuta a livello nazionale e Saleh è uno sciita; l’ex presidente ha bisogno di una forza per cacciare il nuovo governo. Le due parti, inoltre, hanno un nemico comune: il partito Al Islah, il ramo yemenita dei Fratelli musulmani, alleati del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi.

    - Abd Rabbo Mansur Hadi Era il vice di Saleh e l’ha sostituito quando l’ex presidente è stato costretto a lasciare il potere. In seguito è stato eletto come capo dello stato alle elezioni del 2012. È sostenuto dagli Stati Uniti e dalla maggioranza dei paesi del golfo Persico perché ha appoggiato la lotta contro il terrorismo jihadista nello Yemen, ma non è mai riuscito ad affermare la sua autorità e si è dimostrato inefficiente e debole di fronte alle sfide degli ultimi anni, dalla siccità alla crisi economica, dagli attacchi terroristici alle ingerenze straniere. Dopo essere stato messo agli arresti domiciliari a febbraio, in seguito alla conquista di Sanaa da parte degli houthi, Hadi è scappato e si è rifugiato nel grande porto meridionale di Aden, suo luogo di nascita e seconda città del paese, scelta come nuova capitale dello Yemen. È sostenuto da una parte dell’esercito e della polizia e da una milizia nota come Comitati di resistenza popolare. Ma la popolazione del sud gli rimprovera di aver represso le rivendicazioni secessioniste durante il suo mandato da presidente e quando era ministro della difesa. Nonostante la fragilità dei suoi appoggi locali, Hadi ha il sostegno della comunità internazionale. Hadi è sunnita, la corrente dell’islam maggioritaria nello Yemen.

    - Al Qaeda nella penisola araba (Aqpa) Considerato come il ramo più pericoloso di Al Qaeda, il gruppo si oppone sia agli houthi sia al presidente Hadi. Si è formato nel gennaio del 2009 dalla fusione dei rami yemenita e saudita di Al Qaeda. La presenza dei jihadisti nel paese risale ai primi anni novanta, quando migliaia di combattenti tornarono nello Yemen dopo la guerra contro l’occupazione sovietica in Afghanistan. Combattuto dal governo saudita, il gruppo è stato costretto a stabilire le sue basi nello Yemen. Nel 2010 gli Stati Uniti hanno cominciato a bombardare le postazioni del gruppo con i droni. L’Aqpa è alleato con le tribù delle zone di frontiera nel nord e nel sud del paese. Secondo il dipartimento di stato degli Stati Uniti, nel 2014 l’organizzazione aveva quasi mille affiliati. Dal 2006, l’Aqpa ha rivendicato la responsabilità di numerosi attentati nella regione, tra cui gli attentati alle ambasciate degli Stati Uniti, dell’Italia e del Regno Unito. Gli obiettivi del gruppo sono rovesciare il governo di Sanaa, colpire gli occidentali e i loro alleati, tra cui i componenti della famiglia reale saudita, e danneggiare i loro interessi nella regione.

    - Gruppo Stato islamico Ha annunciato il suo arrivo nello Yemen il mese scorso. Finora le uniche operazioni del gruppo sono stati gli attentati suicidi contro due moschee sciite a Sanaa, che hanno provocato 137 morti. Alcuni gruppi jihadisti locali accusano l’Aqpa di non essere stata in grado di fare gli interessi dei sunniti yemeniti e si sono avvicinati allo Stato islamico.

    - Arabia Saudita L’Arabia Saudita condivide con lo Yemen un confine lungo 1.770 chilometri. Riyadh considera il vicino l’anello più debole per la sua sicurezza nella regione del Golfo e un terreno fertile per le ingerenze di Teheran. Ha sempre sostenuto il governo di Sanaa e ha tenuto una posizione ostile verso i ribelli houthi. Riyadh ha condotto un’operazione militare contro gli houthi nel 2010, e nel 2014 li ha inseriti nella lista dei gruppi terroristici. Ha fornito a Sanaa sostegno economico e militare per contrastare le attività di Al Qaeda nella penisola araba. La decisione di bombardare Sanaa e di guidare la coalizione regionale contro l’avanzata degli houthi è stata presa per impedire all’Iran “di inasprire il conflitto confessionale nella regione”, nel momento in cui a Losanna sono in corso i negoziati sul programma nucleare iraniano tra Teheran e i paesi del gruppo 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la Germania). Da anni Arabia Saudita e Iran conducono una lotta per affermare il loro potere e la loro influenza in Medio Oriente, sfruttando le divisioni confessionali tra sciiti e sunniti.

    - Iran Secondo diversi resoconti, ci sono prove degli aiuti iraniani agli houthi sotto forma di armi e denaro, precedenti e successivi alla presa di Sanaa nel settembre scorso. Alcuni combattenti houthi sarebbero anche andati ad addestrarsi in Iran. Gli zaiditi, che rappresentano tra il 35 e il 40 per cento dei 24 milioni di yemeniti, sono una costola dell’islam sciita. In passato il sostegno di Teheran alla ribellione degli houthi non è stato forte come quello garantito ad altri gruppi sciiti della regione, come Hezbollah in Libano. L’allontanamento dal potere dell’ex presidente Saleh ha riacceso gli interessi iraniani nei confronti dello Yemen. Per Teheran consolidare l’influenza su paese significherebbe avere una base per eventuali operazioni contro l’Arabia Saudita.


    Fonte: internazionale.it
    [Modificato da _Thomas88_ 26/03/2015 19:10]
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    00 02/04/2015 19:12
    Pakistan: testato il missile Barq sui droni Burraq

    Per la prima volta nella storia delle forze armate pakistane un missile è stato sparato da un drone.
    Il test si è svolto il 13 marzo ed è stato annunciato dal portale Inter-Services Public Relations.
    Il test è stato eseguito con un sistema d'arma aria-terra a guida laser Barq e con un drone Burraq.


    Pakistan successfully tests 'Burraq' first... di dawn-news

    Il Burraq è un UCAV derivato dal drone cinese CH-3 ed è costruito per il Pakistan dalla National Engineering and Scientific Commission (NESCOM), società di ricerca high-tech che lavora per la Pakistan Air Force (PAF).
    Si tratta di un velivolo recente, è entrato in servizio alla fine del 2013, e fino ad ora era stato utilizzato per missioni di Intelligence, Sorveglianza e Ricognizione.

    Poche sono invece le informazioni sul missile aria-superficie Barq.

    Il test è stato seguito dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale Raheel Sharif, e rientra nella strategia della lotta al terrorismo intrapresa dal Pakistan.
    In passato Islamabad si era rivolta più volte all’estero per l’acquisto di droni da combattimento, ma senza successo.


    Fonte delle informazioni:
    www.analisidifesa.it/2015/03/il-pakistan-testa-il-missile-barq-sui-droni...
    [Modificato da _Thomas88_ 02/04/2015 19:15]
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    00 06/04/2015 15:09
    Ecco spiegato cos'è Al Shabaab

    La storia del gruppo terrorista che ha compiuto la strage all'università in Kenya.

    [IMG]http://i57.tinypic.com/351xvz9.jpg[/IMG]

    Giovedì 2 aprile alcuni miliziani del gruppo estremista al Shabaab hanno attaccato un campus universitario a Garissa, nel nord-est del Kenya vicino al confine con la Somalia. L’assalto è durato diverse ore e si è concluso con l’uccisione di almeno 147 persone, tra cui molti studenti cristiani. Al Shabaab è un gruppo che si è formato in Somalia nella seconda metà degli anni Duemila: si ispira al wahhabismo, la visione dell’Islam adottata dall’Arabia Saudita, e dal febbraio 2012 è affiliato ad al Qaida. È uno dei gruppi terroristici più violenti del mondo e negli ultimi anni ha compiuto diversi attacchi sia in Somalia che in Kenya.

    Da dove arriva al Shabaab.
    “Al Shabaab”, che in arabo significa “la gioventù”, si è sviluppato dall’Unione delle Corti Islamiche, una rete di gruppi islamici che all’inizio del 2006 prese il controllo di Mogadiscio, la capitale della Somalia. All’epoca le Corti Islamiche offrivano servizi simili a quelli che normalmente offre un governo locale: furono accolte piuttosto bene dalla popolazione, perché avevano riportato un certo ordine dopo le intense violenze che erano state compiute in Somalia dal 1991, cioè dalla deposizione dell’ex presidente somalo Mohammed Siad Barre. Le Corti rimasero a Mogadiscio fino a cavallo tra il 2006 e il 2007, quando i soldati dell’Etiopia intervennero in Somalia a sostegno del debole governo di transizione somalo.

    L’intervento militare costrinse i leader delle Corti Islamiche ad allontanarsi da Mogadiscio: dall’ala più radicale dell’organizzazione emerse il gruppo di al Shabaab, che si ispirava a una versione wahhabita dell’Islam, a differenza della maggioranza della popolazione somala vicina al sufismo. Al Shabaab riuscì a rimanere a Mogadiscio, imponendo una versione ristretta della sharia in alcune aree sotto il suo controllo (per esempio erano previste punizioni molto dure per alcuni reati: le donne accusate di adulterio venivano lapidate, ai ladri veniva amputata una mano). Negli anni successivi al Shabaab cercò diverse volte di ottenere l’affiliazione con al Qaida, che gli avrebbe permesso di avere accesso a più soldi e risorse: stando a un report di Associated Press basato su alcuni documenti ritrovati nel nord del Mali e nella casa di Osama bin Laden in Pakistan, bin Laden rifiutò l’affiliazione ad al Shabaab più volte, chiedendo al gruppo di rivedere le sue operazioni allo scopo di “minimizzare i morti tra i musulmani”. Con la morte di bin Laden, comunque, le cose cambiarono: nel febbraio del 2012 il successore al vertice di al Qaida, il medico egiziano Aymar al Zawahiri, concesse ad al Shabaab l’affiliazione.

    Gli attacchi di al Shabaab in Kenya
    Nel corso degli ultimi anni al Shabaab ha compiuto diversi attacchi terroristici in Somalia, alcuni molti violenti: il 28 marzo scontro, per esempio, alcuni miliziani di al Shabaab sono entrati in un hotel di Mogadiscio uccidendo almeno 24 persone. Di recente il gruppo ha cominciato a compiere attacchi anche in Kenya, per punire il governo keniano per avere partecipato con i suoi soldati a una missione delle Nazioni Unite finalizzata a cacciare al Shabaab dalle più grandi città della Somalia. L’attacco all’università di Garissa è stato il 17esimo attentato di al Shabaab in Kenya, e anche il peggiore nel paese dalle bombe fatte esplodere all’ambasciata americana a Nairobi nel 1998, come mostra una mappa interattiva realizzata dalla società di consulenza IntelCenter. Un altro grande attentato di cui si era parlato molto sulla stampa internazionale era stato l’attacco al centro commerciale Nakumatt Westgate di Nairobi del 21 settembre 2013, dove erano rimaste uccise 67 persone (una mappa del New York Times localizza tutti gli attacchi compiuti da al Shabaab in Kenya, e associa il numero delle persone uccise).

    Oggi si crede che al Shabaab sia formato da un numero di combattenti compreso tra settemila e novemila, molti dei quali sono stranieri: alcuni provengono da altri paesi del Medio Oriente e hanno combattuto in Iraq o in Afghanistan, mentre altri sono stati reclutati nel tempo nelle comunità somale degli Stati Uniti e dell’Europa. Da almeno due anni diversi giornalisti scrivono di tensioni interne al gruppo tra combattenti somali, legati a una lotta locale con obiettivi più limitati, e combattenti stranieri, i più estremisti e legati all’ideologia “globale” di al Qaida. Per esempio, la politica di colpire intenzionalmente i cristiani – come è successo sia all’attentato al supermercato di Nairobi sia all’università di Garissa – non è mai stata adottata sistematicamente dal gruppo intero: alcuni analisti hanno scritto che questo potrebbe dipendere da una forte mancanza di unità interna. Di recente, scrive il Guardian, al Shabaab ha cominciato a competere a livello di propaganda con un altro gruppo estremista islamista che opera in Africa, cioè Boko Haram, che a differenza di al Shabaab è affiliato all’ISIS.

    Le autorità kenyane non sono ancora riuscite a fermare al Shabaab, per una serie di ragioni sintetizzate in sei punti in un articolo del Washington Post scritto nel giugno del 2014: il Kenya manca di un’intelligence efficiente, di una strategia definita nel campo dell’antiterrorismo, di equipaggiamenti adeguati ad affrontare pericoli alla sicurezza nazionale e di una cooperazione molto debole tra agenzie nazionali e anche tra governo e altri paesi della regione. Inoltre il Kenya ha fatto registrare indici molto alti di corruzione e ha mostrato di non avere le risorse adeguate per portare avanti le indagini su atti di terrorismo. Di fronte all’impossibilità di fermare gli attentati di al Shabaab, alcuni funzionari kenyani hanno anche ipotizzato di costruire un muro che divida il Kenya dalla Somalia, lungo tutto il confine condiviso tra i due paesi.


    Fonte: Il Post
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    00 12/04/2015 18:53
    BLU-82B, la "Taglia margherite"

    [IMG]http://i39.tinypic.com/vrpiqw.jpg[/IMG]
    Una BLU-82B esposta al National Museum of the United States Air Force a Dayton, Ohio.
    Ben visibile sulla punta l’asta del detonatore.



    Il sistema d’arma BLU-82B/C-130 è una delle armi americane più famose. E’ costituito dalla bomba BLU-82B e dall’aereo che la trasporta, il C-130 Hercules o l’MC-130 Talon II.
    Conosciuta sotto il programma “Commando Vault” e con il nickname di “Daisy Cutter”, cioè “Taglia Margherite”, la BLU-82B è una bomba convenzionale da 6800kg.
    Durante la Guerra del Vietnam divenne famosa per la sua abilità di distruggere la giungla, trasformando in un in istante la zona dove esplodeva in una perfetta area di atterraggio per gli elicotteri.
    La designazione “BLU” sta per “Bomb Live Unit”.
    La BLU-82B è stata ritirata nel 2008 e sostituita dalla MOAB.

    Specifiche tecniche.
    La BLU-82B è una delle bombe convenzionali più potenti. Ha una lunghezza di 3.60m, un diametro di 1.37m ed un peso di 6800kg. E’ una bomba a caduta libera, quindi è priva di qualsiasi sistema di propulsione o di guida.
    La carica esplosiva è costituita da circa 5700kg di GSX (Gelled Slurry esplosive), un esplosivo formato da nitrato di ammonio, polvere di alluminio, gelatificante e acqua.
    I detonatori sono posti alle estremità della bomba e portano la sua lunghezza totale a circa 5m.
    Una singola BLU-82B ha un costo di 27300$.

    La BLU-82B viene caricata sul C-130 (o sull’MC-130) e fissata su una slitta. L’aereo deve volare ad un’altitudine minima di sicurezza di 1800m dal livello del bersaglio. Quando l’aereo va ad una velocità di 280km/h viene aperto il portellone del vano di carico; a quel punto il paracadute d’estrazione trascina fuori la slitta con sopra la bomba. La bomba si separa dalla slitta e comincia a cadere da sola fino a quando, pochi secondi dopo, si apre il paracadute di stabilizzazione. Nel frattempo la slitta continua a scendere appesa al paracadute d’estrazione.
    Se sganciata da 1800m di quota la BLU-82B impiega circa 27 secondi per raggiungere il suolo. La bomba esplode all’impatto dell’asta del detonatore col il terreno, quindi a circa 90cm dal suolo. Questo evita che la forza dell’esplosione scavi un cratere.
    Qualsiasi struttura nell’epicentro dell’esplosione viene distrutta. Entro una zona circolare di 120m di diametro tutto viene distrutto e fatto a pezzi, mentre l’onda di pressione ha effetto fino a un’aerea di 300m di diametro. Il lampo, il boato e la nuvola dell’esplosione sono terrificanti.
    Un membro dello S.A.S. inglese, dopo aver visto l’esplosione di una BLU-82B nelle prime fasi di Desert Storm, pensò addirittura che gli americani stessero usando armi atomiche tattiche.

    Storia operativa.
    Questo sistema d’arma venne sviluppato durante la Guerra del Vietnam. In molti casi le BLU-82B venivano usate per creare delle Landing Zone, sfruttando il raggio d’azione della bomba e la sua caratteristica di radere al suolo la giungla senza creare un cratere.
    Inizialmente vennero usati gli elicotteri CH-54 Tarhe ma successivamente fu scoperto che gli aerei C-130 erano più affidabili e meno costosi.
    La prima BLU-82B venne sganciata nel 1970. Dopo la Guerra del Vietnam le “Daisy Cutter” vennero utilizzate nella Guerra del Golfo del 1990. In questo conflitto ne vennero sganciate undici, tutte lanciate dagli MC-130 Combat Talon in missioni notturne. Vennero usate come arma antiuomo e psicologica ed anche per bonificare i campi minati, anche se non esistono dati certi sull’efficacia in questo ruolo.
    Nella Guerra in Afghanistan del 2002 ne vennero sganciate almeno quattro.
    L’ultima BLU-82B venne lanciata nello Utah Test and Training Range dal 711th Special Operations Squadron, 919th Special Operations Wing, il 15 luglio 2008.

    Curiosità.
    - Le BLU-82B, come detto, vengono lanciate dagli aerei C-130 e MC-130. Questi due velivoli non sono ne caccia ne bombardieri ma aerei da trasporto. Non possono quindi contare sulla velocità e, per lanciare questa bomba, neanche su una quota operativa elevata. Questo li rende dei bersagli lenti e molto visibili, quindi facili da colpire. Tutto ciò implica che questo sistema d’arma deve essere utilizzato solo in condizioni di superiorità aerea, cioè quando non ci sono caccia nemici e le difese antiaeree nemiche sono neutralizzate o assenti.
    - Durante l’Operazione Desert Storm l’aviazione americana, come parte di un operazione di guerra psicologica, lanciò dei volantini sugli avamposti iracheni. Sia sul fronte che sul retro di questi volantini era disegnata una BLU-82B con all’interno le seguenti scritte in lingua araba: “Fuggite e salvate la vostra vita o rimanete e incontrate la vostra morte” (fronte) e “Avete sofferto gravi perdite perché abbiamo usato la più potente e distruttiva bomba convenzionale di questa guerra. Essa è più potente di venti missili SCUD come capacità esplosiva. Noi vi avvertiamo! Bombarderemo ancora le vostre posizioni! Il Kuwait sarà liberato dall'aggressione di Saddam! Affrettatevi e riunitevi ai vostri fratelli al sud! Vi tratteremo con tutto il nostro amore e il nostro rispetto! Abbandonate questa posizione! Non sarete mai al sicuro!” (retro).

    Ecco una serie di fotografie.

    [IMG]http://i39.tinypic.com/10r4n6c.jpg[/IMG]
    Una BLU-82B nella stiva di un C-130 pronta al lancio. Sono visibili la slitta e l’asta del detonatore.

    [IMG]http://i40.tinypic.com/az6ntf.jpg[/IMG]
    La nuvola a forma di fungo generata dall’esplosione.

    [IMG]http://i39.tinypic.com/24dqb9y.jpg[/IMG]
    La Landing Zone creata nella giungla. Sono ben visibili gli effetti dell’esplosione.

    [IMG]http://i43.tinypic.com/14wrog4.jpg[/IMG]
    Uno dei volantini lanciati dall’USAF durante l’Operazione Desert Storm.

    [IMG]http://i43.tinypic.com/mhr049.jpg[/IMG]
    L’esplosione dell’ultima Daisy Cutter, quella lanciata il 15 luglio 2008.
    [Modificato da _Thomas88_ 12/04/2015 18:57]
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    00 26/04/2015 16:40
    La prima volta del "Raptor"

    Ho preparato questo articolo all'inizio di ottobre.
    Poi non l'ho pubblicato perchè pensavo di averlo cancellato per sbaglio.
    Oggi mi è ricapitato sotto il naso dal nulla, ed evitando problemi lo pubblico subito [SM=j2201351]


    [IMG]http://i62.tinypic.com/esp0nq.jpg[/IMG]

    La Coalizione Internazionale si rafforza ogni giorno che passa, mentre continuano i bombardamenti contro gli uomini e le postazione del Califfo. I raid statunitensi iniziati ad agosto si sono concentrati su obiettivi in territorio iracheno e questa settimana, per la prima volta, anche in Siria.
    Questa svolta non è cosa da poco. Va ricordato che gli USA non hanno chiesto l’autorizzazione ad Assad di sorvolare e operare sui cieli siriani, fatto che ha suscitato l’ira di Mosca.
    Per questo motivo, se per bombardare le truppe di Al Baghdadi in Iraq erano sufficienti gli F-18 Hornet e gli F/A-18 Super Hornet basati sulle portaerei, la stessa cosa non si poteva dire per condurre operazioni in un territorio controllato da sistemi radar e postazioni antiaeree tra le più avanzate e moderne, regalo di Mosca all’amico Assad.
    Era logico quindi aspettarsi l’impiego di velivoli stealth. Tutti gli specialisti concordavano che sarebbero stati utilizzati i bombardieri B-2 Spirit che già in passato avevano preso parte alle principali operazioni belliche americane.
    I B-2 hanno avuto il loro battesimo del fuoco nel 1999 durante la Guerra del Kosovo e sono stati impiegati sia in Afghanistan che in Iraq. Nel marzo 2011, nel corso dell’Operazione Odissey Dawn, tre B-2 hanno bombardato un aeroporto libico utilizzando circa 40 bombe JDAM.
    Il limitato numero di obiettivi strategici di questa campagna, però, deve aver convinto gli strateghi americani a lasciare a terra gli Spirit, optando invece per i caccia F-22 Raptor, che hanno avuto così il loro battesimo del fuoco.
    Nella notte tra il 23 e il 24 settembre i Raptor hanno colpito obiettivi dello Stato Islamico con bombe JDAM. Non è stato dichiarato quanti velivoli sono stati impiegati e neanche da dove sono decollati, anche se è logico pensare che sono schierati nella base di al-Udeid, in Qatar, o nella base di al-Dhafra, negli Emirati Arabi Uniti, dove i Raptor vennero già schierati nel 2009 e nel 2012 come conseguenza dell’aumento delle tensioni con l’Iran.
    Assad era stato avvertito dell’imminenza dei raid. Gli F-22, scortati dagli EA-6B Prowler, aerei dell’US Navy per la guerra elettronica che hanno accecato i radar siriani e bloccato le comunicazioni dei soldati del Califfo, hanno potuto così operare al sicuro sfuggendo anche ai moderni apparati missilistici e per la guerra elettronica dei siriani.
    I raid aerei hanno seguito i bombardamenti dei missili da crociera Tomahawk lanciati dal cacciatorpediniere Arleigh Burke, nel Mar Rosso, e dall’incrociatore Philippine Sea che affianca la portaerei George H. Bush nel Golfo Persico.
    Il Pentagono ha riferito che gli obiettivi sono stati i centri di comando, controllo e comunicazione, le batterie antiaeree, i depositi di armi e munizioni.
    I Tomahawk hanno colpito soprattutto le basi dei qaedisti del gruppo Khorosan, nei pressi di Aleppo, e le postazioni dei qaedisti del Fronte al-Nusra a Raqqa, capitale dello Stato Islamico, in seguito bombardata dai velivoli dell’USAF e degli alleati arabi del Gulf Cooperation Council (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Giordania e Bahrein)
    Facendo un riassunto, fino ad ora gli Stati Uniti hanno utilizzato nei raid contro lo Stato Islamico i caccia F-22, i bombardieri B-1 Lancer schierati nella base di al-Udeid in Qatar, i cacciabombardieri F-15E Strike Eagle e F-16 Fighting Falcon schierati nella base di al-Dhafra negli Emirati Arabi Uniti (alcuni dei quali forse rischierati nelle basi giordane), i cacciabombardieri F/A-18 Hornet e Super Hornet della portaerei George H. Bush, gli AV-8B Harrier della portaelicotteri Bataan in navigazione nel Golfo Persico, i droni Predator e Reaper schierati nella base irachena di Erbil. A questi velivoli si sono aggiunti gli E-3 Sentry, gli E-2 Hawkeye e gli aerei spia RC-135 Rivet Joint.
    Secondo il Pentagono nel primo giorno di raid in territorio siriano sono stati colpiti 22 obiettivi con 160 ordigni, il 95% dei quali guidati.
    I dettagli sulla partecipazione dei velivoli dei cinque Paesi arabi sono invece pochi. Pare che i sauditi abbiano messo in campo quattro F-15S e un aerocisterna Airbus A-330MRTT, gli Emirati Arabi Uniti due F-16 e un’altra aerocisterna, la Giordania quattro F-16, il Bahrein due F-16 e il Qatar due Mirage 2000 impiegati solamente con compiti di ricognizione visto che non risulta abbiano sganciato bombe.
    Riguardo i bombardamenti americani in territorio iracheno ci sono dati più precisi. Secondo il Pentagono dall’8 agosto sono stati svolti quasi 200 attacchi aerei che hanno distrutto 57 postazioni dell’IS, 125 veicoli tipo pick-up e Hummer, 24 veicoli da trasporto truppe ruotati e 12 carri armati e cingolati.



    Pubblicherò più avanti un articolo che illustra meglio la storia e le specifiche di questo velivolo, ritenuto da molti esperti il caccia più tecnologicamente avanzato del mondo.
    [SM=g1950684]
    [Modificato da _Thomas88_ 26/04/2015 16:44]
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    00 03/05/2015 12:49
    T-14 “Armata”: il nuovo carro armato russo
    [IMG]http://i57.tinypic.com/2najzf9.jpg[/IMG]

    [IMG]http://i62.tinypic.com/1zgc8lz.jpg[/IMG]

    Come riportato dalla stampa russa, il nuovissimo carro da combattimento MBT (Main Battle Tank) “T-14 Armata” verrà ufficialmente esibito per la prima volta in occasione della sfilata per il “Giorno della Vittoria” il prossimo 9 maggio sulla Piazza Rossa a Mosca.
    E’ una novità importante? Si tratta un carro in grado di alterare gli attuali equilibri di forza? Ecco cosa dice in proposito il giornale tedesco “Stern”: “Il tedesco “Leopard-2” e l’americano “M1-Abrams” sono stati sviluppati 35 anni fa. Hanno subito numerosi aggiornamenti, ma le loro caratteristiche di base non differiscono molto dal progetto iniziale.
    Il “T-14 Armata” è il primo carro di costruzione realmente avanzata”.

    La questione in effetti si presenta in questi termini. Ogni armamento, per quanto abbia valide caratteristiche ed aggiornamenti, è comunque destinato a una inevitabile obsolescenza dovuta alla continua evoluzione tecnologica ed alla superiorità che possono acquisire gli avversari.
    Nel caso di un mezzo complesso come un carro da combattimento, l’evoluzione non si limita infatti soltanto al miglioramento della capacità offensiva (l’armamento principale, il cannone) o protettiva (la corazzatura, l’ingombro della sagoma), ma riguarda anche le capacità motoristiche e di mobilità (motori a turbina o policarburante, il consumo, la velocità), hardware/software di bordo, l’armamento antiaereo, antimissile e controcarro nonché, in vario grado, le diverse capacità prestazionali (superamento di corsi d’acqua e pendenze, capacità e celerità di tiro in movimento, trasportabilità, tempistica nella sostituzione di motore, cingoli e ricambi, e queste solo per citarne alcune) un insieme di elementi per i quali non sempre è sufficiente supplire con kit di ammodernamento.
    Come si presenta quindi il T-14, dato che in assoluto è il più recente tra i carri da combattimento?

    Come riporta la rivista britannica IHS Jane’s colpisce innanzitutto la modernità del design, che presenta una linearità essenziale e nell’insieme, almeno in apparenza rispetto agli omologhi carri occidentali (M1A2 Abrams, Leopard-2, Challenger-2, Leclerc, Ariete, Merkava IV), un certo contenimento della sagoma (le dimensioni reali non sono ancora note).
    L’equipaggio è composto da 3 uomini ed è alloggiato nella parte frontale dello scafo in quella che viene definita una cellula di sopravvivenza corazzata multistrato, con visione all’esterno attraverso un doppio sistema panoramico di telecamere.
    La torretta, piatta e vuota, assieme alle armi, è manovrata da remoto. E’ provvista di un cannone di nuova generazione da 125 mm a canna liscia (mod. 2A82-1M) cui è attribuita una precisione di tiro superiore del 15-20% rispetto al modello precedente (2A46M) montato sul carro base dell’Esercito russo T-72/90. Inoltre, sembra che il T-14 possa essere dotato di un nuovo cannone da 152 millimetri, mai montato finora su un carro da combattimento.
    Riguardo il caricamento, il sistema è interamente automatizzato (fino a 32 proiettili, su una riserva di 45 colpi di varia tipologia), così come l’acquisizione dell’obiettivo, il puntamento e la regolazione del tiro in funzione del movimento e della velocità del carro.
    Le sorprese della torretta però non finiscono qui. Come armamento secondario, perlomeno come appare in alcune realizzazione grafiche, sulla torretta sono montati in senso coassiale un cannoncino da 30 mm per la difesa contro gli elicotteri o velivoli lenti ed una mitragliera da 12,7 mm per tiro contro fanterie nemiche e obiettivi vicini, capace anche di intercettare proiettili o razzi anticarro rilevati a mezzo radar Doppler fino alla velocità di 3 km/secondo.
    L’armamento secondario è comunque variabile in relazione ai diversi allestimenti (carri IFV, APC o ARV), potendo anche risultare di 2 mitragliere coassiali e di 1 cannoncino oppure una mitragliatrice ed un cannoncino, oltre a due sistemi di missili guidati anticarro Kornet-EM.
    Venendo alla corazzatura, anche qui sembra siano stati compiuti importanti passi in avanti. Secondo un report dell’US ARMY – FMSO (Foreign Military Study Office) (pag 51-53), la corazzatura multistrato passiva del T-14 è realizzata in acciaio sottoposto a processo di rifusione sotto scoria (ESR) abbinato a nuovi materiali compositi, in grado di proteggere da ogni lato il carro contro il munizionamento più avanzato e le mine.
    In aggiunta, il T-14 è anche dotato di una protezione attiva denominata “Afganit”, capace di fermare missili o proiettili anticarro non intercettati dall’armamento difensivo.
    Ecco quindi la valutazione finale nel report dell’FMSO: “Si tratta di un sistema di difesa attivo anche verso attacchi dall’aria. La versione più recente dell’elicottero Apache non ha garanzia di distruggere un T-14 con i propri missili. La difesa attiva copre l’intera sagoma della torretta a vari livelli, assicurando una completa protezione delle componenti più importanti del carro”.



    Sostanzialmente, com’è del resto logico che sia, la valutazione pragmatica degli statunitensi si focalizza su quello che certamente è l’aspetto per loro più rilevante, cioè la capacità di colpire e distruggere il potenziale avversario, come del resto i progettisti russi, a loro volta, nello sviluppare il T-14, hanno valutato le minacce rappresentate dai mezzi occidentali, la cui situazione è questa. Il carro più diffuso è l’americano “Abrams” nelle varie versioni (M1, M1A1 e M1A2) prodotto nell’arco di un trentennio in oltre 9.000 esemplari, di cui circa 8.000 per l’Esercito USA. Subito dopo si colloca il “Leopard 2” prodotto in circa 3.500 esemplari che si trovano però, a differenza dell’”Abrams”, quasi interamente schierati nel teatro europeo. Quindi il “Challenger 2” britannico, in circa 400 esemplari, il “Leclerc” francese, circa 860 esemplari (la metà acquisiti all’estero), e l’italiano “Ariete”, in circa 200 esemplari.
    I carri “Abrams” e “Leopard 2”, cioé il nerbo dello schieramento occidentale, sono stati finora ritenuti superiori al carro russo T-90. Ora, in che modo è destinata ad evolversi la situazione?
    Viste le anticipazioni, il T-14 viene unanimemente considerato un mezzo con caratteristiche superiori ma, altrettanto unanimemente, viene anche detto che il T-14 deve prima dimostrare il suo valore sul campo, in senso non metaforico ma reale, dato che anche le più severe sperimentazioni possono non evidenziare problematiche di vario genere che si estendono poi anche ad altri settori.
    Ad esempio la nuova versione M1A2 dell’”Abrams”, con i successivi rafforzamenti della corazzatura, ha raggiunto le 62 tonnellate (l’M1 iniziale ne pesava circa 56), determinando consumi abnormi di carburante e una conseguente riduzione dell’autonomia, imponendo un’adeguata logistica di aderenza che, in qualche modo, ne limita comunque l’operatività.

    L’Esercito russo sembra comunque non avere nessuna riserva sul progetto T-14, tant’è che dallo stesso chassis (“universal platform”), come si è detto, sono già in allestimento le varianti IFV (Infantry Fighting Vehicle), APC (Armoured Personnel Carrier)o ARV (Armoured Recovery Vehicle).
    Il piano di produzione è già avviato ed entrerà a pieno regime nel 2016 con una produzione annuale di 500 carri, per arrivare entro il 2020 a creare una forza corazzata di 2.300 nuovi carri da combattimento. Sempreché non vi siano nuove sorprese. Come infatti riporta “Russia Today”,
    il progetto del “T-14 Armata” già prevede la sua evoluzione in un mezzo da battaglia interamente robotizzato.


    Articolo di: di Fabio Ragno
    Fonte: Analisi Difesa
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    00 13/05/2015 19:30
    Kim Jong-un testa un missile balistico sottomarino.
    [IMG]http://i62.tinypic.com/126cv0i.jpg[/IMG]

    La Corea del Nord ha affermato di aver lanciato con successo un missile balistico sottomarino, descritto come un’«arma strategica di livello mondiale». Non ci sono però conferme, tranne l’annuncio dell’agenzia di stampa Kcna che scrive: «Un tiro di prova di un potente missile sottomarino ha avuto luogo», aggiungendo che «il missile balistico è stato progettato su iniziativa personale del Comandante supremo dell’Armata del Popolo coreano Kim Jong-Un».

    Il leader nordcoreano ha supervisionato il lancio, si è detto soddisfatto di questo «successo», paragonandolo con il lancio avvenuto nel 2012 di un satellite. L’Armata nordcoreana possiede «un’arma stategica di livello mondiale, capace di colpire e distruggere le forze ostili che violano le acque, la sovranità e la dignità (del Paese) e per condurre operazioni sottomarine», ha affermato Kim Jong-Un, citato dall’agenzia.

    Non sono stati forniti altri dettagli. L’annuncio del lancio arriva dopo che Pyongyang ha respinto le critiche degli Stati Uniti, che l’accusavano di sviluppare un programma di missili balistici dietro a un programma di ricerche spaziali, in violazione con le sanzioni dell’Onu.


    Fonte: Corriere della sera.it


    Ma il test è avvenuto realmente?


    La Corea del Nord ha lanciato o no un missile balistico da un sottomarino in immersione?

    Il lancio, se confermato, costituirebbe una svolta nel programma missilistico di Pyongyang perché l’eventuale capacità di lanciare missili da sottomarini innalzerebbe la minaccia nucleare nordcoreana ad un nuovo livello.

    L’opinione diffusa a Washington, tuttavia, è che la Corea del Nord debba fare ancora molta strada per rendere il sistema missilistico pienamente efficace e operativo e il Pentagono non crede che il test sia stato realmente effettuato.

    “Non è stato un missile balistico”, ha dichiarato un responsabile americano della Difesa sotto copertura di anonimato, senza fornire spiegazioni. I nordcoreani “tentano di sviluppare” questa tecnologia, ma non c’è una “minaccia imminente” di vedere il Paese dotato di questa capacità di lanciare missili balistici da un sottomarino, ha aggiunto.

    La Corea del Sud ha invece minacciato una risposta “senza pietà” ai missili di Pyongyang invitando il regime di Pyongyang a fermare il “preoccupante” programma di sviluppo di missili balistici sottomarini.Il ministero della Difesa di Seul ha definito il test “molto grave e preoccupante”, capace di minare la stabilità regionale.

    “Invitiamo il Nord a fermare subito lo sviluppo del missile che minaccia la sicurezza della penisola coreana e del Nord-Est dell’Asia”, ha detto oggi alla stampa il portavoce del ministero. Secondo le valutazioni fatte da Seul dopo il test, avvenuto probabilmente a inizio maggio, Pyongyang sarebbe ancora “nella prima fase” di sviluppo dell’arma.

    Tuttavia, in un vertice sulla sicurezza tenutosi a Seoul, il ministro della Difesa Han Min-Koo ha ammonito che la Corea del Sud risponderà alle provocazioni “senza pietà”.

    I nord coreani lavorano da tempo sull’aggiornamento e la produzione di una versione nazionale del missile balistico imbarcato SS-N-6 sovietico risalente agli anni ’60 e l’anno scorso Seul confermò la modifica di alcuni sottomarini della flotta di Pyongyang (i vecchi Romeo di concezione sovietica prodotti in Cina e assemblati in Corea del nord) per imbarcare queste armi. La Corea del Nord dovrebbe disporre secondo le stime di una ventina di testate nucleari più altrettante in produzione.


    Fonte: Analisi Difesa
    [Modificato da _Thomas88_ 13/05/2015 19:34]
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    00 17/05/2015 16:37
    L'Iraq come la Rhodesia: ecco coma fare la guerra al Califfo

    Alexandre Mello, capo analista per l’Iraq della Horizon Access, ci spiega come dovrebbe essere condotta la guerra all'ISIS.
    Secondo lui gli americani dovrebbero prendere esempio da quello che successe in Rhodesia negli anni '70.


    Due giorni fa il Pentagono ha detto che c’è il rischio che la raffineria più grande dell’Iraq a Baiji cada nelle mani dello Stato islamico. Il caso ha dell’incredibile: l’impianto, poco a nord di Tikrit, è conteso da mesi tra i combattenti dello Stato islamico e i soldati del governo. Ogni tanto esce fuori un video in cui i guerriglieri fanno breccia nel perimetro, poi su internet dicono di avere vinto del tutto, a quel punto il governo smentisce, pubblica controvideo, la battaglia va avanti negli stessi pochi chilometri quadrati pezzo per pezzo, senza far troppi danni perché entrambe le parti vogliono fare del sito un pezzo pregiato dei propri domini. Baiji è un buon esempio di quello che non capiamo in Iraq.

    Come sta andando la guerra, chi sta vincendo e chi sta perdendo? L’impressione che si ha qui in occidente, che in fondo basterebbe una divisione corazzata di un esercito moderno per cacciare queste bande di jeep e combattenti barbuti, è sbagliata? Gli americani stanno facendo bene? Perché è in corso una campagna che sembra infinita di bombardamenti e sembra di essere sempre allo stesso punto? Ne parliamo con Alexandre Mello (su Twitter è @memlikpasha), capo analista per l’Iraq della Horizon Access, una compagnia di consulenza che spiega alle grandi imprese anche petrolifere cosa sta succedendo in Iraq – dove sono i posti più sicuri, dove sono i posti meno sicuri, cosa succederà nei prossimi mesi.

    Nella conversazione con Mello viene fuori un argomento solitamente trascurato: quella in Iraq (e in Siria) non è la prima guerra di questo tipo, anzi. L’analista fa un confronto con le insurrezioni degli anni Settanta, specialmente quella in Rhodesia, dove una minoranza bianca resistette per quindici anni a un enorme movimento guerrigliero che trovava appoggio negli stati confinanti. La Rhodesia poi divenne lo Zimbabwe, dopo gli accordi di pace (e il suffragio universale) del 1979. Non si trattò di una guerra pulita, c’erano colonialismo, atrocità e interferenze sovietiche, il discorso politico occuperebbe volumi. Quello militare però, dice Mello al Foglio, offre paragoni interessanti per capire cosa sbagliano oggi gli americani contro lo Stato islamico in Iraq e quali concetti militari si potrebbero applicare con efficacia maggiore, se ci fosse un po’ più di coraggio.

    Sui giornali internazionali si trova sempre un titolo diverso: un giorno lo Stato islamico sta guadagnando terreno in Iraq, un altro giorno lo sta perdendo – qual è la verità ragionevole? In Iraq, spiega Mello, fatta eccezione per la regione di Anbar, che è davvero un teatro di guerra separato, lo Stato islamico sta perdendo terreno e iniziativa, all’incirca a partire da settembre e dall’inizio di ottobre del 2014. Lo Stato islamico non riesce a fare quello che i militari chiamano “area denial”, che è un concetto militare che dice che devi negare al nemico la presenza incontestata su un territorio e lo puoi fare per esempio con continue imboscate o con colpi di artiglieria. Lo Stato islamico non riesce, punto numero due, a difendere con successo il terreno contro le offensive su larga scala delle forze governative irachene o dei peshmerga curdi – e infatti l’area che controlla ufficialmente si sta rimpicciolendo, rosicchiata ogni settimana. Però lo Stato islamico è ancora vigoroso e in forma, lancia contrattacchi locali a ripetizione, apre nuovi fronti simultaneamente e in certe aree aumenta il numero degli attacchi per tenere le forze governative sbilanciate e occupate in troppi posti.

    Lo Stato islamico in Iraq ha capito che ci sono soltanto poche unità buone nelle forze di sicurezza irachene – e sono la “Divisione d’oro”, alcune altre forze speciali e poche brigate dell’esercito iracheno e della polizia federale. La mancanza di unità buone a difendere il territorio ripulito implica che i fronti si riaprono di continuo (per esempio la raffineria di Baiji, o Ramadi) e che lo Stato islamico si infiltra sempre e di nuovo nelle aree messe in sicurezza (Diyala, oppure la periferia di Baghdad). Quando gli insurgent riescono a infestare di nuovo le aree liberate, poi cominciano ad aumentare gli attacchi per restringere sempre di più la libertà di movimento dei soldati e creare delle “no-go area” (le zone in cui i militari non osano mettere piede). La regione di Diyala è un primo esempio di questo processo – il governo l’ha dichiarata ripulita a gennaio, ma il numero di attacchi è sempre costante da novembre. Semplicemente, i guerriglieri si sono prima dispersi e poi raggruppati in altre aree, con il risultato che le forze del governo stanno come strizzando un palloncino, liberano un’area e quelli spuntano in un’altra.

    Ma allora questa campagna di bombardamenti americani, che è stata definita “alla moviola”, può sul serio infliggere danni? Sta funzionando? Oppure è troppo rarefatta? E’ un preludio a un intervento più grande o è soltanto una misura di contenimento?
    L’America sta facendo essenzialmente il minimo per tenere indietro lo Stato islamico, dice Mello al Foglio. Dà copertura dall’alto a distanza ravvicinata (quella che serve ai soldati a terra, per intenderci) soltanto sulla linea del fronte tenuta dai peshmerga curdi – e lì è stata davvero efficace – oppure durante operazioni specifiche (Baiji, Tikrit), oppure ancora quando gli insurgent sono sul punto di ottenere una grande vittoria – come a Baiji o a Ramadi, di recente. Il resto della campagna aerea di solito prevede il bombardamento delle retrovie dello Stato islamico, le infrastrutture di sostegno come le basi, i magazzini, le postazioni fisse, i veicoli ecc. ed è stato tremendamente efficace. Il problema è che la struttura di comando dello Stato islamico è decentralizzata e dispersa. Da quando sono cominciati i bombardamenti lo Stato islamico ha disperso i suoi reparti e i suoi veicoli e li tiene in concentrazioni molto basse, le sue forze si ammassano soltanto per compiere gli attacchi più grandi ma operano anche e di frequente in autonomia. Questa cosa è estremamente difficile da battere con il tipo di campagna aerea che l’America conduce in Iraq. Il risultato è che a dispetto di migliaia di bombardamenti, lo Stato islamico ha ancora un gran ritmo operativo e può radunare i suoi uomini per grandi attacchi come alla raffineria di Baiji e a Ramadi.

    Tornando al paragone con la famosa guerra nella boscaglia in Rhodesia, contro l’insurgency locale. In particolare a un concetto militare chiamato “Fireforce”. Cos’è? perché era così efficace? Potrebbe essere applicato anche oggi in Iraq? E se sì, allora perché gli americani restano attaccati a questo loro solito modo di condurre una campagna aerea?
    Il concetto di “Fireforce” era una tattica sviluppata durante la guerra dai rhodesiani come centro della loro campagna di counterinsurgency. La Fireforce prevedeva l’inserzione rapida di squadre di commando a bordo di elicotteri (di solito il Sas rhodesiano, la fanteria leggera o i fucilieri africani della Rhodesia) appoggiate da elicotteri cannoniera (irti di ogni tipo di armamento) e da aerei leggeri da attacco per circondare e distruggere gruppi di insurgent. In un tipico raid in stile Fireforce, le forze speciali erano inserite con la copertura degli aerei come gruppi d’arresto per sbarrare la strada ai guerriglieri in fuga mentre le cannoniere volanti e gli aerei attaccavano ed eliminavano il resto dei guerriglieri dall’alto. Le Fireforce erano chiamate da unità locali – di solito i “Selous Scout”, uomini che operavano in clandestinità nella boscaglia, oppure da unità territoriali – ed erano stanziate in aeroporti militari molto avanzati, quasi in territorio nemico. A ogni Fireforce era assegnata una zona d’operazioni. Si capisce che questo concetto di Fireforce può essere applicato in molti modi in Iraq, dove di solito i guerriglieri in Iraq operano in spazi aperti in bande che hanno tra i 15 e i 35 uomini che all’incirca sono le dimensioni dei vecchi plotoni dell’esercito iracheno oppure le dimensioni medie di una cellula della guerriglia nel periodo tra il 2003 e il 2011, quando c’erano gli americani. In più, in generale, di solito hanno tra i due e i cinque veicoli, come pickup o mezzi blindati. Questi gruppi sono estremamente vulnerabili agli assalti dall’alto delle forze speciali aiutate da appoggio aereo ravvicinato. E anche le infrastrutture dello Stato islamico – basi, campi d’addestramento, centri di governo ecc. – sono estremamente vulnerabili a questo tipo di raid in stile Fireforce.

    E invece, in Iraq… Le operazioni irachene per ripulire un’area dallo Stato islamico sono di solito assalti frontali goffi e lenti, che permettono ai guerriglieri di indietreggiare infliggendo ai soldati il massimo delle perdite, e di lanciare contrattacchi diversivi in altre zone e in generale di mantenere l’iniziativa. Quando non sono impegnate in queste operazioni su vasta scala, le unità irachene ripiegano in modalità “esercito da posti di blocco”. Invece, spiega Mello, la pressione senza soste che i rhodesiani applicavano al nemico con i raid Fireforce lo teneva in uno stato di caccia all’uomo permanente, disorientato, incalzato e incapace di radunarsi per attaccare o controllare il territorio. Non che fosse tutto facile: la Fireforce dipendeva da una rete Humint estesa (Humint: è l’intelligence raccolta grazie agli informatori locali, che dicono ai soldati chi fa cosa), da posti d’osservazione avanzati e dalle squadre dei Selous Scout che vagavano per mesi nella savana – precisamente il tipo di intelligence che l’America ha gettato nel cestino della spazzatura, per quanto riguarda l’Iraq, dopo il 2011.

    Mello dice che una ragione per questo atteggiamento è che c’entra anche il fattore “rischio tenuto volutamente basso” per i soldati. Gli Stati Uniti stanno essenzialmente facendo una campagna aerea che è l’equivalente della “strategia dei super Fob” del generale Casey nel 2005 (nota: nel 2005 il generale Casey ritirò le truppe americane in poche grandi basi con ogni comodità e isolate dal paese vero, appunto le Fob, Forward Operative Base, da cui uscivano soltanto per fare pattuglie su strade prevedibili con lunghi convogli di mezzi, nella speranza che intanto gli iracheni prendessero gradualmente il posto dei soldati americani e nella speranza, anche, di limitare le perdite: non funzionò, i gruppi della guerriglia si mangiarono via intere aree dell’Iraq e le perdite aumentarono). Oggi quasi tutte le forze aeree americane sono stanziate fuori dall’Iraq in grandi basi nei paesi del Golfo. Gli Stati Uniti fanno decollare i bombardieri B-1 dalla base aerea di al Udeid in Qatar come se stessero ancora bombardando il regime di Saddam negli anni Novanta, quando invece oggi hanno davanti un nemico completamente diverso. Inoltre, sebbene il grosso della potenza di fuoco del Comando centrale americano sia adesso concentrata in Iraq, la maggior parte delle risorse americane per l’intelligence aerea è ancora concentrata in Afghanistan. L’errore più grande è che gli americani non stanno trattando questa campagna aerea come parte di una campagna di counterinsurgency. Invece che mandare in campo droni, elicotteri e aerei per attacchi al suolo in aeroporti sul fronte, e inviare squadre di osservatori assieme alle truppe irachene al suolo per segnalare da vicino i bersagli, e schierare le truppe speciali nel paese, gli Stati Uniti hanno sposato questo comodo approccio a distanza. E’ la versione aerea delle truppe americane che nel 2005 mangiavano gelati in quelle grandi basi con l’aria condizionata prima di uscire per le solite missioni.

    Mello ricorda che in Rhodesia operazioni di counterinsurgency come “Eland”, “Dingo” e “Miracle” furono efficaci e letali. Le forze speciali partivano con piccoli gruppi di veicoli, conciati in modo da sembrare guerriglieri, guadavano fiumi, in alcuni casi attraversavano confini e poi facevano raid contro i campi d’addestramento e le basi della guerriglia. In alcuni casi erano scambiati per guerriglieri e quindi lasciati fare fino al momento in cui non aprivano il fuoco, quando ormai era troppo tardi. L’operazione “Eland”, un raid dei Selous Scout contro il campo Nyadzonya in Mozambico, nell’ottobre 1976, ottenne una cosiddetta “kill ratio” (la proporzione fra perdite subìte e perdite inflitte) di quattro feriti contro oltre mille guerriglieri uccisi. L’operazione “Dingo” – probabilmente l’operazione più famosa nella guerra – fu un attacco di tipo Fireforce contro un complesso di campi di 25 chilometri quadrati sempre in Mozambico, e ottenne una kill ratio di due morti e sei feriti contro tremila guerriglieri uccisi. I rhodesiani erano all’epoca, assieme agli israeliani, il miglior piccolo esercito dell’epoca, dice Mello, perché erano un corpo di soldati molto professionali e altamente addestrati, avevano una gran conoscenza della savana e sapevano come viverci, e avevano anche la determinazione di chi ha le spalle al muro e quindi è costretto a essere aggressivo e audace. Inoltre, sfruttavano i punti deboli della guerriglia – poco addestramento e una generale mancanza di preparazione. Il risultato fu quella serie di raid devastanti contro le retrovie dei guerriglieri.

    Gli americani possono fare oggi in Iraq quello che i Selous Scout facevano in Rhodesia negli anni Settanta?
    I Selous Scout erano un’unità con due specialità. All’inizio il loro ruolo era soprattutto raccogliere intelligence, fare ricognizioni a lungo raggio e operazioni di finta guerriglia in cui gli operatori bianchi vivevano nella savana anche per mesi per infiltrare le bande della guerriglia e ucciderle dall’interno o chiamando i raid Fireforce, spiegati qui sopra. Quando poi la guerra in Rhodesia divenne più intensa, alla fine degli anni Settanta, i Selous Scout furono spesso mandati assieme alle altre truppe scelte nelle operazioni Fireforce, in quei raid oltreconfine e in missioni di inseguimento. In quel loro primo ruolo i Selous Scout oggi avrebbero un ruolo limitato nello scenario iracheno – la loro forza era che combattevano in casa, sapevano muoversi nella boscaglia, parlavano la lingua ecc. Gli americani sono tradizionalmente pessimi, con rare eccezioni, in questo tipo di operazioni e lavoro sul campo. Tuttavia questo concetto potrebbe essere potenzialmente applicato in Iraq con squadre miste di forze speciali americane e gruppi locali di iracheni, in aree come la regione di Anbar. Agli americani farebbe bene adottare qualcuna delle specialità dei Selous Scout. Gli Scout erano un mix di soldati bianchi e neri che stavano assieme nella stessa unità per anni. Giravano nascosti nella boscaglia con un appoggio esterno minimo per mesi. Sono un possibile modello, che vale la pena studiare, per integrare le forze speciali americane, quelle irachene con i Sahwat (che sono i sunniti che si sono ribellati allo Stato islamico, il nome vuol dire “risveglio” in arabo) e le milizie sciite. Però la lezione più grande che viene dagli Scout e può essere applicata oggi in Iraq ha a che fare con l’atteggiamento mentale – che permetteva di fare operazioni di counterinsurgency in profondità in territorio ostile con risorse estremamente limitate.

    Ramadi, la capitale della regione di Anbar, che è la regione considerata più pericolosa, a ovest della capitale: rischia di cadere, come è già accaduto a Mosul? Oppure è il punto di partenza della sconfitta dello Stato islamico? Per Alexandre Mello la verità sta nel mezzo. Ramadi è a rischio di cadere fin dal gennaio 2014. Il pericolo più grande è arrivato un mese fa, quando lo Stato islamico ha conquistato alcuni pezzi del centro e ha minacciato di prendere il compound che ospita il consiglio provinciale, ma non è riuscito a tagliare la linea di rifornimento delle forze irachene che va verso est, verso la base di Habbaniya. A dispetto del collasso della polizia locale, i veterani delle forze speciali irachene sono riusciti a respingere lo Stato islamico abbastanza a lungo per permettere l’arrivo dei rinforzi e dei bombardamenti della Coalizione. Fino a quando il governo iracheno tiene la “Divisione d’oro” in città, e aperte le strade verso Habbaniyah e verso la capitale Baghdad, Ramadi non cadrà. Proprio prima dell’ultima offensiva della guerriglia contro Ramadi, il primo ministro Abadi ha dichiarato con tanta enfasi che l’operazione per ripulire la regione di Anbar è cominciata – questa è una fantasia. Qualsiasi operazione per “ripulire” Anbar in realtà sarà limitata a mettere in sicurezza Ramadi e la sua periferia, e forse una campagna su larga scala per riprendere Falluja. Ripulire tutta Anbar è un’illusione. Probabilmente non tornerà mai sotto il controllo del governo federale iracheno.


    Fonte: il Foglio
    [Modificato da _Thomas88_ 17/05/2015 16:47]
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    _Thomas88_
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    Utente Master
    00 25/05/2015 19:14
    Memorial Day 2015
    All gave some,
    Some gave All.
    They and their families
    have bravely paid the
    ultimate price to
    preserve the Freedom.
    Remember and honor the Fallen.


    Voglio ricordare questo Memorial Day con una delle foto prese dal mio viaggio a Washington DC del 2011.
    Nello scatto si può vedere sulla sinistra il Vietnam Veterans Memorial, la parete di granito nero lucidato con incisi i nomi delle vittime, e sullo sfondo il Washington Monument.
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    [Modificato da _Thomas88_ 25/05/2015 19:17]
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