Vodka vietata e donne invisibili nel Caucaso russo «talebanizzato»

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_Thomas88_
00domenica 18 luglio 2010 13:20
Così in Inguscezia gli estremisti islamici tengono in scacco le autorità.

Nazran (Inguscezia) — Pistole di plastica e grida: due bambini con i capelli a zero si rincorrono tra le caciotte di ricotta del bazar di Nazran, Repubblica russa di Inguscezia. Giocano a guardie e ladri che però qui si declina in «menty e waha», «poliziotti e islamisti». Il problema per Mosca è che i «buoni» del gioco sono i «waha», i wahabiti, i fondamentalisti islamici. Non è ancora Afghanistan, ma l'Inguscezia è già una Russia talebanizzata. Vladimir Putin comanda di giorno, Dokku Umarov, l'Emiro del Caucaso del Nord, di notte. Le pattuglie di Mosca passano veloci, le spie dell'Emirato clandestino osservano ogni movimento. I «governativi» vivono assediati, come in una terra d'occupazione. Anche la città principale, Nazran, sta cambiando faccia com'è successo a Bagdad durante la faida tra sciiti e sunniti: ci sono ormai quartieri di filo-russi e altri di filo-islamici. I parenti dei poliziotti, dei politici, così come quelli dei ribelli «waha», rischiano di essere rapiti dalla parte avversa e allora si raggruppano, comprano casa l'uno vicino all'altro, formano comunità di auto-difesa che da un angolo all'altro si guardano sospettose. Le donne si mostrano in strada sempre e solo con il foulard a coprire i capelli. Per peccare bisogna avere l'automobile e guidare oltre i confini della Repubblica fino a Mozdok e Stavropol, città russe «russe» abitate da russi «russi».
L'Inguscezia è una Russia di donne invisibili e vodka vietata. A Nazran un bicchierino costa il bar bruciato o una raffica di kalashnikov alla schiena, così, da un paio d'anni, nessuno serve più alcolici. L'ultimo a credersi più furbo e a fare affari con donnine e bottiglie, è stato ucciso all'inizio dell'anno assieme a tre guardie del corpo e quattro «massaggiatrici». Il suo club carbonizzato. Nel mondo sono almeno tre i tentativi credibili di formare Emirati islamici, Stati nuovi di zecca regolati dalle leggi del Corano. Il primo vorrebbe essere la riedizione dell'Emirato talebano dell'Afghanistan: ogni giorno soldati afghani e della Nato muoiono per impedirlo. Il secondo è l'Emirato di Somalia sognato dagli shebab (i giovani) contro il disordine feudale in cui è caduto il Paese. Il terzo è qui: l'Emirato del Caucaso del Nord. L'obiettivo dei ribelli delle Repubbliche russe di Cecenia, Daghestan, Kabardino-Balkaria e Inguscezia è tagliar via una fetta di Federazione russa per unire i musulmani del Caucaso come fece tra 1834 e 1859 l'Imam Shamil, predicatore-guerriero venerato come un Garibaldi senza Vittorio Emanuele. Etnicamente ceceni, un quarto degli abitanti dell'Inguscezia sono fuggiaschi: profughi dalla guerra cecena o dal conflitto in Ossezia del Nord. Vittime degli stupri, dei rapimenti, degli orrori delle due guerre. Come il Daghestan e la Kabardino-Balkaria, anche l'Inguscezia è stata contagiata dal morbo a spirale della guerra cecena: rivolta che chiama repressione che accende fanatismo che suscita fobia che produce corruzione che aumenta la rivolta. Il circolo ricomincia e ad ogni passaggio l'Islam diventa più radicale fino alla Jihad, la Guerra Santa.
Nel numero di luglio-agosto di Foreign Affairs, Charles King e Rajan Menon descrivono il Caucaso russo sul baratro di una guerra civile su larga scala. Sarebbe un'altra ferita tra Occidente e Islam di cui non si sente proprio il bisogno. Le cose potevano andare diversamente. Per anni il presidente Ruslan Aushev era riuscito a tenere la porta del Paese aperta ai profughi della guerra cecena, ma non ai terroristi. Dopo di lui, però, l'Inguscezia è diventata un caso di scuola per gli errori commessi nella strategia anti-insurrezionale. Invece di aiutare la convivenza tra ingusci e ceceni, nel 2002 Mosca impugnò l'arma del terrore allo scopo ufficiale di spezzare le velleità espansioniste cecene. Defenestrato Aushev, il Cremlino diede carta bianca a Murat Zyazikov, ex collega di Vladimir Putin nel Kgb e nell'Fsb. Il nuovo presidente scatenò i servizi segreti e anche le tendopoli ingusce, come le valli cecene, diventarono terreno di caccia per le «squadre speciali» russe specializzate in arresti illegali, torture ed esecuzioni sommarie. Tra le altre cose, secondo l'opposizione, Zyazikov rubava a piene mani. Il risultato del pugno di ferro fu l'opposto di quello sperato. Nel 2004, i ribelli ceceni, già sconfitti in patria, conquistarono la capitale dell'Inguscezia per un giorno. Tra gli agenti in passamontagna nero e i barbuti fondamentalisti, la gente normale era già tentata di scegliere i secondi. Su Internet circola ancora un video che mostra Shamil Basayev, il capo del clamoroso blitz, nel deposito d'armi del ministero dell'Interno di Nazran. Tra il 21 e il 22 giugno più di 90 poliziotti e governativi vennero massacrati.
Eppure il terrore e il malgoverno di Zyazikov proseguirono per altri 4 anni e solo il cambio della guardia al Cremlino tra Vladimir Putin a Dmitrij Medvedev, portò anche a Nazran un nuovo presidente. Appena il tempo di insediarsi, licenziare gran parte dei fedeli del predecessore, e Yunus-bek Yevkurov cadde in un agguato in stile «strage di Capaci». Il presidente, ex parà, ex eroe di Russia, si salvò per miracolo e dopo sei mesi di ospedale è tornato al suo posto. La strategia del nuovo presidente, secondo Yulia Latynina, giornalista russa Premio Cutuli 2007, sarebbe già un bel passo avanti: «Perdona chi puoi, uccidi chi devi e nessuna corruzione». D'accordo anche Alexandr Golts, direttore del webzine www.ej.ru, ma l'accento che Golts pone cade sul lato negativo dell'attività del nuovo presidente: «Yevkurov non sa giocare con i clan tipici del Caucaso né mettere all'asta le cariche pubbliche. Vuole combattere la corruzione, non farne un sistema. Ne ricava l'odio dei guerriglieri così come quello di coloro che, con lui, dovrebbero affermare l'autorità di Mosca». Mentre il coraggioso ex parà cerca la chiave, l'Emirato Islamico del Caucaso del Nord, proclamato da Dokku Umarov nell'ottobre del 2007 come erede della Repubblica di Ichkeria (Cecenia), allarga la sua tela. «Prima c'era l'utopia comunista, ora c'è utopia islamica che preconizza un futuro di uomini uguali, senza clan, senza ricchi o poveri» dice al Corriere Oleg Orlov, vice presidente dell'Ong russa Memorial. «È dagli anni '90, dai combattimenti in Cecenia e nelle Repubbliche vicine, che l'Islam offre nel Caucaso un'alternativa alla tradizionale sottomissione agli anziani. I predicatori islamici condividevano il campo di battaglia e ora attraggono i giovani nelle madrasse del Medio Oriente. È un fenomeno imponente».
Nel Caucaso, Umarov e i suoi aumentano ogni anno il numero e l'audacia delle azioni. Nel 2009 nel «territorio dell'Emirato» hanno ucciso, rapito, ferito centinaia di poliziotti e politici, «fuori confine» hanno messo bombe in una centrale idroelettrica e sul treno Mosca-Pietroburgo, ucciso un pope ortodosso anti-islamico e il 29 marzo spedito due donne kamikaze a far strage nel metrò di Mosca. «Al momento il problema principale dell'Emirato — spiega Gheidar Dzhemal, presidente del Comitato islamico russo — è la mancanza di retrovie sicure per addestrare le reclute e curare i feriti». I mujaheddin vengono portati negli ospedali della Turchia e di altri Paesi islamici ex sovietici, ma ci vogliono documenti falsi e soldi per pagare il silenzio delle cliniche. In compenso, l'Emirato ha un esattore, un kadi (un giudice) e un comandante militare in ogni distretto, diversi siti internet fiancheggiatori, un paio di case di produzione per i video di rivendicazione e propaganda sul web, un emiro in ogni Repubblica, un artificiere (il rinnegato russo Pavel Kosolapov), un comandante in capo (Supyan Abdullayev), e Umarov, formalmente, sopra a tutti. «Dokku Umarov è un bandito, un uomo che uccide senza pensarci, ma non è una scimmia, al contrario, ha cervello» sostiene Viaceslav Ismailov, giornalista della Novaya Gazeta e ex ufficiale dell'Armata Rossa. «L'hanno dato per morto almeno sei volte e quando è stato il momento ha persino fatto il doppio gioco con i servizi russi». «Dopo l'attacco alle Torri Gemelle, avere la Guerra Santa dentro i confini è stata per Mosca una fortuna nei suoi rapporti con l'Occidente» dice il presidente del Comitato islamico russo.
Il direttore Golts va oltre: «L'Islam è l'identità della rivolta del Caucaso, non il motore». Le cause sono da cercare nei tassi di disoccupazione, nella crisi scolastica, nell'economia di rapina basata sulla spartizione del tesoro petrolifero russo. «Con il 2001 e l'azione dell'Intelligence occidentale contro le finanze islamiche clandestine, il flusso di denaro dalla Penisola arabica verso il Caucaso si è praticamente prosciugato, da fenomeno internazionale, l'islamismo caucasico è diventato locale», aggiunge l'analista Pavel Felghenhauer. «I ribelli — assicura Ismailov — sono funzionali alle lotte interne del potere russo. Sono sicari per questo o quel politico, e prendono soldi da tutti». È la tesi sempre ripetuta dal dissidente Boris Berezovskij, anima nera del Cremlino ai tempi di Boris Eltsin. A Nazran, questi sono ragionamenti che non consolano chi è vittima della violenza di uno o dell'altro colore. Magomed Khanziev, membro dell'opposizione alla luce del sole, parla di una rabbia che non può che peggiorare tutto: «Cosa puoi fare quando tuo fratello, tuo padre, tua sorella sono stati uccisi e non puoi avere giustizia? Il fucile, non c'è altra scelta che il fucile». Andrea Nicastro (3-fine. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 9 e il 28 giugno 2010)

Fonte: Corriere della sera.It
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