Virus A, affari d'oro per Big Pharma Il vaccino vale 10 miliardi di dollari

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Lachaise-L-N-
00venerdì 24 luglio 2009 06:59
Già prenotate un miliardo di dosi, business gestito da quattro colossi farmaceutici
Lotta contro il tempo per produrre il medicinale. Al via in Australia i primi test sull'uomo




Forse, alla fine, la pandemia non ci sarà. Forse, il vaccino arriverà troppo tardi. Ma i soldi, nelle casse di Big Pharma, chiamata in fretta e furia a preparare l'antidoto, stanno già entrando a fiumi. È un business da 10 miliardi di dollari: la paura non conosce recessione. Anche se ogni singola dose di vaccino è destinata a costare una decina di euro, infatti, è il volume delle vendite a fare massa. Una delle maggiori banche d'investimento mondiali, J. P. Morgan, ha calcolato che i governi dei vari paesi abbiano già prenotato, presso le 3-4 aziende in grado di produrre il vaccino su larga scala, almeno 600 milioni di dosi.

Per un controvalore di 3 miliardi di euro, circa 4,3 miliardi di dollari. Nei giorni scorsi, si è aggiunta la Francia, con un ordine per 94 milioni di dosi e un assegno da 1 miliardo di euro. E la lista è destinata ad allungarsi.

J. P. Morgan stima che, alla fine, ai 600 milioni di dosi già prenotate se ne sommeranno altri 350 milioni, per un'ulteriore fattura di oltre 2 miliardi e mezzo di dollari, più di 1,8 miliardi di euro. Di fatto, per Big Pharma è un affare a colpo sicuro. Il miliardo di dosi prenotate, o in via di prenotazione, è largamente insufficiente a coprire una popolazione mondiale che sfiora i 7 miliardi di persone. Ma è anche, più o meno, il massimo che gli impianti attuali possano produrre, sotto forma di fiale da iniettare (in Europa) o di spray nasale (negli Usa). Non ci saranno rimanenze di magazzino.

A spartirsi questo imponente business dell'influenza suina è un ristretto gruppo di giganti dell'industria farmaceutica: GlaxoSmithKline, Sanofi Aventis, Novartis, Astra Zeneca. Accanto ai vaccini antinfluenza ci sono, però, anche le medicine per chi, l'influenza, l'ha già presa. Anche qui, è Big Pharma a dominare il mercato. Anzitutto con il Tamiflu della Roche. E poi con il Relenza, ancora di GlazoSmithKline. Secondo J. P. Morgan, Tamiflu e Relenza porteranno, rispettivamente a Roche e Glaxo, vendite per 1,8 miliardi di dollari nei paesi ricchi, più 1,2 miliardi di dollari nei paesi in via di sviluppo. Complessivamente, altri 3 miliardi di dollari, oltre 2 miliardi di euro. Fra vaccini e medicine, il rischio pandemia vale, per Big Pharma, circa 10 miliardi di dollari.

Di contro, senza i grandi nomi dell'industria farmaceutica, probabilmente, non ci sarebbero né le medicine, né la speranza del vaccino. Cinque anni fa, nell'inverno 2004-2005, negli Usa non si riuscì a mettere insieme le dosi previste di vaccino contro l'influenza ordinaria, prodotte da due aziende relativamente piccole: Aventis Pasteur e Chiron. In effetti, Big Pharma si teneva per lo più lontana da un settore che appariva poco promettente: nel 2004 le vendite complessive di vaccini in generale - non solo per l'influenza - raggiungevano appena gli 8 miliardi di dollari, meno degli incassi di un singolo farmaco fra i più diffusi.

Poi, alcune aziende hanno scoperto che, con i vaccini, si possono far soldi. La Wyeth con un vaccino contro lo pneumococco (84 dollari a dose). La Merck con uno contro il papilloma (130 dollari a dose). Big Pharma ha scoperto il settore: Novartis ha comprato Chiron, Sanofi ha preso Aventis Pasteur, Astra Zeneca Medimmune, Glaxo ID Biomedical, ancora Sanofi la Acambis, Pfizer ha assorbito Wyeth. Senza questa concentrazione di mezzi e di ricerca, dicono gli uomini delle grandi aziende, non ci sarebbero oggi le risorse industriali per una risposta rapida all'emergenza pandemia.

Nonostante questo spiegamento di forze, peraltro, il vaccino, anche se prenotato, è ancora un punto interrogativo. Gli scienziati della Novartis hanno fatto sapere che, nei test di laboratorio sul virus della suina, riescono a produrre solo il 30-50 per cento dell'antigene (l'antigene è l'elemento attivo del vaccino) che normalmente si ottiene per il virus dell'influenza ordinaria. Più antigene si crea, più dosi si possono produrre. Inoltre, il processo di fabbricazione è ancora lungo: una volta isolato il virus in laboratorio, le milioni di dosi di vaccino vanno coltivate in altrettanti milioni di uova di gallina, per un periodo di 4-6 mesi.

È per questo che non si sa ancora con sicurezza quando il vaccino prenotato sarà effettivamente disponibile. Esiste un metodo più rapido: la produzione del vaccino direttamente su una cultura di cellule. È una procedura già usata per altri vaccini, ma ancora non autorizzata per l'influenza. L'emergenza pandemia potrebbe costringere a bruciare i tempi.

di MAURIZIO RICCI
Repubblica.it
Cla-FB
00venerdì 24 luglio 2009 11:04
Credo che stiano facendo un sacco di allarmismo per nulla per questa influenza che non è certo più pericolosa di un normale ceppo...
Probabilmente le cause di questo allarmismo esagerato sta proprio qui, scritta in questo articolo.
AURORA PILOT
00venerdì 24 luglio 2009 11:29
Ho letto che l'80% delle persone che sono decedute a causa dell'influenza suina, sono persone che già avevano disturbi di salute molto gravi, e l'altro 20% aveva disturbi cronici...certo sono decedute anche persone "sane" però saranno 1% o meno. Poi non per dire, ma è nei paesi del Sud America che ci sono maggiori decessi, forse perchè la sanità non è ai livelli europei.

Lachaise-L-N-
00venerdì 24 luglio 2009 12:37
Re:
A guadagnarci in ogni caso è l'industria farmaceutica, come sempre.
Altro che preoccuparsi per la salute del cittadino..
(richard)
00venerdì 24 luglio 2009 17:36
....."loro" fanno i bravi..... purtroppo gli tocca di cuccarsi dieci miliardi di dollari!
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