Utero in affitto

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Ale-95
00domenica 6 marzo 2016 15:00
Maternità surrogata

L’altruismo, i dubbi e il primo decesso Parlano le donne che affittano l’utero

Pronunciare il suo nome in una delle agenzie che si occupa di gestazione per altri equivale a ricevere un’occhiataccia. Perché Brooke Lee Brown, 34 anni, è morta facendo figli per conto terzi. La donna, che viveva a Burley, in Idaho, era una surrogata di quelle che vengono definite seriali: aveva già avuto otto gravidanze, di cui cinque su commissione. Alla fine del 2014 si era concessa solo tre mesi di pausa prima di sottoporsi a un nuovo transfer per conto di una coppia spagnola. Purtroppo a pochi giorni dal parto programmato di due gemelli, lo scorso 8 ottobre, la placenta di Brooke si è rotta. Per lei e per i suoi bambini non c’è stato nulla da fare.

Su GoFundMe le «sorelle di surrogata» hanno lanciato una raccolta fondi per aiutare il marito della donna e i tre figli. L’obiettivo è di raggiungere 10mila dollari ma finora siamo sotto i 7mila.

Le testimonianze delle madri per altri
Si parla poco di questi casi negli Stati Uniti dove il business della gestazione per altri, negli Stati in cui è permesso, aumenta a ritmo esponenziale: più di 2000 bambini nati ogni anno, il triplo di 10 anni fa, molti dei quali per coppie straniere. I costi sono da capogiro: dai 135mila ai 200mila dollari.grazie anche all’arrivo di tutte quelle coppie straniere che nel proprio Paese non possono farlo. Sui media trovano spesso spazio le voci di quelle donne che affermano di intraprendere la gestazione per altri come forma di altruismo, per «fare la differenza nella vita di qualcuno».

Kenia, capelli neri e un viso da ragazzina, ha 25 anni e due figli di 4 e 3 anni. Lo scorso 7 settembre ha dato alla luce un bambino per una coppia di uomini spagnoli. La incontriamo nella sede di Fertility Miracles, a Calabasas, nella contea di Los Angeles, dove ora lavora come reclutatrice di madri per altri; «Il mio scopo – ci dice - era di aiutare qualcuno. Non avevo preferenze su chi, quello che mi interessava era il gesto. Quando ho visto il bambino tra le loro braccia mi sono sentita felice e ho capito di aver fatto la scelta giusta». I soldi, assicura Kenia, sono una parte del percorso ma non la motivazione principale. «Io e mio marito – dice – li abbiamo messi da parte per le emergenze».
È ancora più convinta Mandy Storer (nella foto), 32 anni di Seattle, due figli di sei e di quattro anni, che alla sua prima gravidanza surrogata ha dedicato il blog A baby to share.


«Adoro essere incinta e mi piace anche il parto – spiega -, però non volevo avere più di due figli, così ho pensato che il mio compito era farne per gli altri. È così bello dare il bambino a persone che l’hanno aspettato tanto, la loro vita cambia grazie a me. Questo mi fa sentire potente».



Mandy ora lavora per Growing Generations, una delle agenzie di surrogacy più gettonate in Italia e sta per intraprendere un’altra gravidanza gestazionale.


«Non mi sono mai sentita sfruttata, anzi sono la donna più fortunata della terra. I bambini non sono miei ma dei loro genitori, sono loro che ci mettono gli ingredienti, io faccio il forno».



I casi controversi
Ci sono però casi in cui non tutto va per il verso giusto. Melissa Cook, 47 anni, e Brittenyrose Torres, 26 anni, aspettano tre gemelli ma i genitori committenti pretendono che ne abortiscano uno. Loro si sono rifiutate e si sono rivolte a un avvocato ma le difese legali che hanno sono pochissime. Per contratto le surrogate sono obbligate ad abortire, rifiutarsi vuol dire pagare il conto di un parto trigemellare che, negli Usa, può essere astronomico. Per avere un aiuto legale Brittneyrose e Melissa si sono rivolte al Center for Bioethics and Culture, un’organizzazione guidata dall’attivista e film-maker Jennifer Lahl, che ha lanciato una raccolta di firme per bandire la surrogacy nel mondo.

«Dopo la Thailandia – dice – anche il Messico ha vietato la pratica e l’India lo seguirà a ruota. Noi invece raccogliamo gente da tutto il mondo che viene qui a fare figli sfruttado l’utero delle americane. Non è vero che è una libera scelta, non si vedono donne ricche fare le surrogate? Il prezzo più caro comunque lo pagano i figli». Lahl è convinta che per queste donne la gravidanza diventa come una droga: «Rimangono sole con la montata lattea, ovvio che si deprimano e lo rifanno per colmare il vuoto».

Nel 2014 Lahl ha prodotto il documentario Breeders, a subclass of Women (Fattrici, una sottoclasse di donne) in cui si racconta la storia di alcune “madri per altri”. Una di queste è Heather Rice, 30 anni dell’Arizona, che alla seconda gravidanza su commissione ha scoperto che il bambino era malformato. “Ho detto ai genitori che non potevo abortire – ha raccontato – e il padre mi ha risposto che Dio mi avrebbe punito”. Alla fine il bambino nascerà ma la donna non saprà più nulla di lui: “Ho cercato la coppia su Facebook ma del piccolo non c’è traccia. Credo che l’abbiano dato in adozione. Ci penso ogni giorno” dice.

Quando i genitori ci ripensano
Il problema è la serietà dell’agenzia che deve selezionare con scrupolo le surrogate ma anche i genitori. John Weltman è un avvocato, padre di due bambini avuti con la surrogata. Nel 1995 ha fondato Circle Surrogacy, un agenzia che ha sede a Boston, proprio per aiutare le persone come lui. La maggior parte dei suoi clienti sono stranieri e la metà sono gay. «Abbiamo capito di dover prestare più attenzione alle coppie che vengono da noi. Controlliamo che non abbiano precedenti penali e che siano motivati veramente». Sono ben 81 i genitori intenzionali che negli anni hanno cambiato idea e non hanno “ritirato” il bambino. E sono 35 le madri surrogate che hanno cambiato idea e tentato di tenersi il figlio. Senza successo perché negli Usa le sentenze hanno dimostrato che la “portatrice” non ha alcun diritto legale sul neonato.

Weltman è sincero: non pensa che la surrogata sia motivata solo da altruismo. «Penso che contino anche i soldi e il desiderio di rimanere a casa con i propri figli. Inoltre queste donne amano essere incinte». L’aborto è l’atto che divide genitori intenzionali e surrogate. I primi vogliono che sia inserito nel contratto nel 98% dei casi, le seconde non vogliono prendere l’impegno nel 40% dei casi. La clientela di Circle Surrogacy è composta da aspiranti genitori stranieri nel 58% dei casi mentre le coppie gay sono il 49%. In questi venti anni l’agenzia ha fatto nascere 1100 bambini.

Le agenzie di riproduzione
Kim Bergman, lesbica e madre di due figli, è una donna molto appassionata e si capisce che non dirige l’agenzia Growing Generations per caso. Ci riceve in una stanza adornata dai ritratti dei bambini che sono nati. Su un tavolino spicca una foto di Obama. Quando sente parlare delle obiezioni delle femministe salta su come un picchio: «La surrogata etica – dice – è la collaborazione tra adulti informati e consenzienti che si mettono insieme per aiutare qualcun altro. Le femministe si sbagliano, queste non sono donne povere ma istruite, dell’upper class. Sono i genitori ad essere disperati, non le surrogate».

Kim però è convinta che ci voglia una selezione molto dura delle domande.


«Noi prendiamo solo l’1% di quelle che si candidano. E se una non è disposta ad abortire la scartiamo. Io, in 20 anni, non ho mai visto un problema». I soldi che girano sono troppo pochi: «La paga è per il dolore, per le nausee, per i chili in più».



Karen Roeb di Fertility Miracles ammette che l’agenzia sia comunque un business «ma non è un guadagno cattivo, fatto solo a scopo di lucro. Siamo un’azienda piccola e ci mettiamo il cuore in quello che facciamo perché ci crediamo. Le madri surrogate son delle persone eccezionali ed è veramente una benedizione che esistano. Molte di loro sono infermiere, persone che hanno visto la sofferenza e hanno deciso di fare un gesto di altruismo».
La stessa Karen era un’infermiera e quando il dottore per cui lavorava è andato in pensione ha deciso di fondare l’agenzia che ha soprattutto clienti internazionali.


«Non ce la facevo a stare a casa, avevo troppa energia e comunque quest’attività era limitrofo a quello che avevo sempre fatto, solo che in questo caso si aiutano le persone a formare una famiglia attraverso la donazione degli ovuli e la surrogata».



Nell’ufficio disseminato di ricordi lasciati dalle coppie che sono riuscite a coronare qui il sogno di avere un bambino alla giornalista viene mostrato il video del viaggio della surrogacy di due italiani.


«È un processo meraviglioso di cui essere parte – dice Elena Dumitriu – qualunque siano le ragioni che hanno portato i genitori a usare una surrogata, una volta che condividono l’esperienza della gravidanza insieme, guardano il figlio crescere e assistono insieme al parto, costruiscono un legame che non si può cancellare. Anche noi riceviamo costantemente aggiornamenti sui bambini, sulle vacanze, su come stanno crescendo. Come dimostrano le nostre pareti».



27esimaora.corriere.it/articolo/laltruismo-i-dubbi-e-il-primo-decessoparlano-le-donne-che-affittano...
Lau2emme
00martedì 8 marzo 2016 13:13
Sono contraria è una pratica barba e schiavista, mi chiedo come fanno le donne a prestarsi a questo gioco, nessuna persona sana di mente fa nascere un bambino per conto terzi. Io non lo farei mai, neanche per un milione di dollari.
(richard)
00martedì 8 marzo 2016 14:22
Re:
Lau2emme, 08/03/2016 13.13:

Sono contraria è una pratica barba e schiavista, mi chiedo come fanno le donne a prestarsi a questo gioco, nessuna persona sana di mente fa nascere un bambino per conto terzi. Io non lo farei mai, neanche per un milione di dollari.




Il mondo (delle donne),come tutte le cose, è bello perche' vario ed ognuna ha il suo personale pensiero.
Pensiamo allora a quelle donne che si danno alla pornografia....lo fanno sempre per soldi ed in fondo anche per la felicita' degli uomini!! [SM=g4414002]
E' un mestiere non poco faticoso a sentir dire.
.YALE
00martedì 8 marzo 2016 14:40
Se si dona il midollo osseo, o si uccide un feto con l'aborto, non vedo perché la donna non può usare il suo utero come gli pare.
Dove sono le femministe che urlavano l'utero è mio e lo gestisco io ?
Ale-95
00martedì 8 marzo 2016 15:33
Questa pratica pone dei problemi etici enormi, è ovvio quindi che divida chiunque. A Parigi si è deciso un mese fa di firmare (lo hanno fatto femministe, politici, medici, ect) contro tale pratica, e che diventi illegale a livello internazionale. Io potrei anche essere favorevole, a patto si segua il modello inglese, canadese e australiano, ovvero nessun compenso in denaro ma unicamente a livello altruistico. Che resti illegale il business dietro questa pratica, che non vede solo la vendita dell'utero femminile, ma anche di un bambino. Purtroppo dai fatti di cronaca, si è visto come inglesi e australiani se ne vanno comunque in Ucraina, Thailandia, India, paesi dove c'è un business dietro, e senza alcun controllo. Ovviamente trovare una canadese che si porta in grembo il figlio di un altro per contratto senza vedere neanche una lira se ne trovano poche. Di ucraine o thailandesi che si trovano in situazioni precarie, è ovvio che se ne trovano tante. Ecco, a questo io dico no, non è etico, e di fatto si sta utilizzando la disgrazia di una persona per il proprio benessere, che peraltro non è neanche un diritto.
NOAXX
00giovedì 17 marzo 2016 14:38
Comunque in una votazione del consiglio d'europa mi pare hanno bocciato una mozione belga che voleva regolarlo. Sarà sempre più difficile passare per vie traverse.
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