Tibet:perche' nessuno puo' boicottare la Cina

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(richard)
00mercoledì 19 marzo 2008 13:43
«Sono 25 anni che la Cina ha aperto le porte ai mercati mondiali. Da allora i leader del Paese hanno tenuto deliberatamente basso il tenore di vita dei loro cittadini e hanno mantenuto alto quello degli statunitensi. Si spiega così l’enorme eccedenza della bilancia commerciale cinese – più di 1.400 miliardi di dollari che crescono al ritmo di un miliardo al giorno – investita soprattutto in titoli del tesoro statunitense. Di fatto, negli ultimi anni ogni abitante della (ricca) America ha preso in prestito circa 4.000 dollari da un cittadino della (povera) Repubblica Popolare Cinese».

Sta tutto in queste frasi scritte da James Fallows per il mensile Usa “The Atlantic” il perché il mondo sta ripagando con una imbarazzata impotenza la disperata rivolta tibetana e perché ogni flebile appello al boicottaggio dei giochi olimpici di Pechino sia una impossibile utopia, per non parlare della velleitaria proposta di sospendere per un giorno la campagna elettorale italiane per spaventare i dirigenti di un Paese che la campagna elettorale non sa nemmeno cosa sia. Temiamo che i tibetani, al contrario di noi, trarrebbero ben poco giovamento dal silenzio di Berlusconi, Veltroni e Bertinotti.

Il problema sta infatti tutto in un paradosso che sembra l’avveramento di una profezia marxista: il più grande Paese comunista del mondo tiene ormai in scacco la terremotata economia mondiale, se lasciasse o stringesse la presa tutto crollerebbe, ma non lo farà perché non gli conviene, ma potrebbe essere sempre pronta a dare una strizzatina qua e là se qualcuno disturbasse con troppe domande e troppi sofismi umanitari la “società armoniosa” che la Cina vuole edificare con l’arricchimento di una oligarchia che spesso coincide con i famigli dei dirigenti del Pcc e che prevede la neutralizzazione delle minoranze scomode che hanno fatto l’errore di vivere sui probabili forzieri del nuovo sviluppo, a partire da quelle tibetana e uigura.

Il boicottaggio non è possibile, perché farebbe molto più male a chi lo attua che alla Cina e i dazi del liberista Tremonti sono una boutade da campagna elettorale che nasconde i numeri della potenza cinese che è prima di tutto economica. La Cina è il vero motore della globalizzazione e la drammatica conferma che il libero mercato funziona (forse meglio) anche senza libertà democratiche e civili. Invocare l’invio di osservatori Onu in un Paese che siede nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite è più o meno un pensiero politico romantico: i confini cinesi sono intangibili non solo per la presenza del più grande esercito del mondo, sempre meglio armato grazie agli ultimi ritrovati occidentali e russi ed alle nuove tecnologie spaziali autoctone che potrebbero servire, e molto, ad armare meglio le bombe atomiche cinesi, ma soprattutto perché la Cina è economicamente intoccabile. Il fondo sovrano di investimento all’estero e le sue agenzie di investimento sono il vero braccio armato con il quale il partito comunista cinese influenza imprese e governi occidentali, senza nessun fastidioso bisogno di trasparenza e codici di condotta.

La infastidita reazione cinese alle proteste per i fatti del Tibet più che l’arroganza nasconde la sicurezza di intangibilità: nessuno toccherà il gigante dopo aver voltato lo sguardo sulla strage dei monaci buddisti in Myanmar da parte della dittatura militare amica di Pechino o dopo aver assistito impotenti alla infinita mattanza russa della Cecenia. Gli interventi armati e le minacce di boicottaggio si fermano alla scala inferiore di potenza, a Cuba, all’Iran, all’affamata Corea del Nord ed agli sciagurati Iraq ed Afghanistan, con la Cina si può protestare civilmente ma non minacciare boicottaggi, nemmeno sportivi.

Non li sosterrebbero le grandi marche sportive che finanziano le olimpiadi e gli atleti che gareggeranno nei giochi di Pechino. Non aspettiamoci nessun pugno alzato per protesta a Pechino, nessun atleta sventolerà la multicolore bandiera del Tibet se non vorrà perdere quanto ha di più caro: un contratto con la Nike, l’Adidas o la Reebok. La guerra fredda che permise il boicottaggio delle olimpiadi di Mosca è finita ed ora quello che era un impresentabile ed indecifrabile nemico asiatico, che sfamava a malapena più di un miliardo di straccioni, siede nei consigli di amministrazione delle banche americane, puntellandone le mura, e sostiene i fondi di investimento dei pensionati occidentali con il lavoro sottopagato dei proletari cinesi che fabbricano le carissime scarpe delle star sportive di tutto il mondo e inondano di merci a basso costo i bulimici mercati occidentali e di preziosi scarti quelli anoressici del terzo mondo.

Ma la sanguinosa repressione per le strade di Lhasa ci dice anche che nessuno si può illudere che le olimpiadi apriranno la Cina al mondo. Il governo cinese ha autorevolmente confermato la linea dura: nessuno disturbi il nostro armonioso cammino, che più o meno vuol dire che è il mondo che dovrà aprirsi alla Cina così come è, che continuerà a fare come gli pare al suo interno. Gli unici standard che Hu Jintao e compagni sono disposti a rispettare sono quelli del liberismo globalizzato che dimostrano come ormai la democrazia sia un semplice orpello non necessario del libero mercato, un altro mito che cade sotto i colpi della crescita cinese e di altre dittature dello stesso o di altro segno.

Quando si saranno spenti i fuochi, e sarà lavato dalle strade il sangue della rivolta tibetana, la Cina con le olimpiadi offrirà al mondo un incredibile spettacolo di grazia armoniosa ed i giornalisti occidentali, embedded, saranno portati in giro a raccontarci le meraviglie della crescita cinese in quartieri svuotati dai poveri e in città ripulite temporaneamente dallo smog. Torneranno a cantare entusiasti le lodi dello sviluppo infinito, della crescita del Pil a due cifre che innalza altissimi grattacieli pacchiani, e i fantasmi dei monaci tibetani scoloriranno nell’abbagliante fondale della nuova potenza del mondo e del suo impenetrabile ed inflessibile comunismo asiatico, che si specchia nel turbocapitalismo ma che, impassibile, non si adatta alle nostre speranze occidentali di democrazia.

da :greenreport.it
ORSA YURKA
00venerdì 21 marzo 2008 16:44
E' tutto verissimo ciò che riporti, Richard.
Da 60 anni il popolo tibetano protesta pacificamente per poter esercitare i propri diritti senza alcun risultato.
Chi vuoi che aiuti i tibetani se in tibet non c'è petrolio, ricchezze minerarie o qualcosa che arricchisca chi va ad "aiutarli"?
Purtroppo le proteste pacifiche non vanno mai a buon fine (2 eccezioni: la decolonizzazione dell'India e la fine dell'Apartheid in Sudafrica. Ma in Sudafrica il processo di democratizzazione è stato accelerato dagli embargos), si veda anche il caso dei Kurdi.
Il disgraziatissimo popolo senza terra dei Kurdi, stanziato tra Turchia, Iraq, Iran e Siria non ha una sua terra. Per decenni questa questione è stata ignorata da tutti, solo con il ricorso alle armi da parte del PKK (quei terroristi! Quei comunisti!)la questione è salita alla ribalta, pur non essendo stata risolta (né mai lo sarà: in quelle terre c'è petrolio, e chi le molla?). E a chi importava qualcosa dei palestinesi prima che iniziassero gli attentati internazionali (Achille Lauro...)?
Come dire: se vuoi ottenere qualcosa devi ricorrere alla violenza. E siccome i tibetani, per loro stessa millenaria cultura, alle armi non sono mai ricorsi finora, non otterranno mai niente. Una formica contro un elefante: Tibet contro Cina, pacifismo contro violenza, spiritualismo contro materialismo.
Nessuno può opporsi alla Cina non solo perché è un gigante politico, economico e militare ma anche perché i valori sostenuti dai tibetani sono scomodi, in una società basata soltanto su un razionale ed egoistico materialismo. Ho voglia di piangere: umanità, non imparerai mai niente dai tuoi e/orrori? [SM=x708801]
(richard)
00lunedì 31 marzo 2008 18:14
Cina:fumo negli occhi al Tibet
Mentre in Cina continua la repressione e quel che il Dalai Lama chiama genocidio culturale, mentre Pechino respinge con sdegno le flebili proteste dell’Unione europea, il governo cinese cerca di far vedere quanto è positiva la sua occupazione colonizzatrice, anche per l’ambiente. L’agenzia ufficiale Xinhua ha rilanciato con grande rilievo la notizia che «Il governo cinese ha l´intenzione di investire più di 20 miliardi di yuans (2,8 miliardi di dollari) per proteggere il sistema ecologico dell’altipiano Qinghai-Tibet dal 2006 al 2030».

Secondo Zhang Yongze, direttore del dipartimento della protezione dell´ambiente della regione autonoma del Tibet, si tratta di «14 progetti di salvaguardia ancora da avviare e che dovrebbero interessare praterie, flora e fauna, l’istituzione di riserve naturali, il controllo della desertificazione e dell´erosione del suolo, così come la prevenzioni di disastri geologici. L’altipiano Qinghai-Tibet si gloria d’avere un sistema ecologico unico, grazie al suo clima ed alla sua geografia. Il governo assegna da sempre una grande e importanza alla conservazione ecologica nella regione dell’altipiano, allocando dei grandi investimenti in materia».

I tibetani accusano questi interventi di essere più o meno una foglia di fico per coprire infrastrutture devastanti per l’ambiente del Tibet o che ne sconvolgono usi e costumi, come la ferrovia Pechino – Lhasa che accusano di essere un asse di penetrazione della colonizzazione cinese. Ma i cinesi ribattono che «Durante il periodo 2001-2005, il governo centrale ha investito 120 milioni di yuans nella protezione della zona umida di Lhalu, la più grande e la più elevata zona umida del mondo situata nella regione di Lhasa, capitale del Tibet, così come nella protezione della riserva naturale del lago sacro di Namco (nella foto) e nelle praterie nella prefettura di Nagqu. Che si aggiungono ad investimenti importanti in altri settori».

Investimenti che probabilmente non sarebbero stati necessari senza l’incremento demografico determinato dall’immigrazione di milioni di cinesi in Tibet e se i ghiacciai del Tibet non fossero in drammatica regressione anche a causa dell’accelerata ed inquinante crescita cinese. Ma Zhang dice che il governo comunista è sempre più attento: «Abbiamo anche vietato lo sfruttamento di alcune risorse minerarie per evitare di nuocere al sistema ecologico del Tibet».

da :greenreport




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