Prove di misure di coscienza

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KOSLINE
00sabato 11 gennaio 2014 17:27
Una nuova tecnica che associa elettroencefalogramma e stimolazione magetica transcranica sembra in grado di dare una valutazione quantitativa del livello di coscienza in cui si trova una persona. Ma, per quanto possa essere clinicamente utile, può servire anche a trovare risposte scientificamente valide al problema della natura della coscienza?

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Nel suo Trattato della pittura, Leonardo Da Vinci consiglia ai pittori di prestare particolare attenzione ai moti mentali. Il movimento raffigurato deve essere “appropriato al moto della mente”, consiglia, altrimenti le immagini saranno considerate due volte morte: “morte sono principalmente ché la pittura in sé non è viva, ma esprimitrice di cose vive senza vita, e se non le si aggiunge la vivacità dell'atto, essa rimane morta la seconda volta”. Francesco Melzi, allievo e amico di Leonardo, compilò il Trattato dopo la sua morte a partire dalle note frammentate che aveva lasciato. I vividi ritratti delle emozioni nei dipinti della scuola di Leonardo dimostrano che i suoi studenti avevano imparato a leggere nei minimi dettagli i moti mentali dei loro soggetti.

Quella di associare un'espressione emotiva del volto a un “moto della mente” fu un'intuizione stupefacente di Leonardo e una metafora sorprendentemente moderna. Oggi correliamo specifici modelli della dinamica elettrochimica (cioè “moti”) del sistema nervoso centrale a sensazioni emotive. La coscienza, il substrato di qualsiasi sentimento emotivo, è di per sé un “moto della mente”, uno stato effimero caratterizzato da determinati modelli dinamici di attività elettrica. Anche se tutti i neuroni, le loro parti costitutive e i circuiti neuronali rimangono strutturalmente gli stessi, un cambiamento nelle dinamiche può significare la differenza tra coscienza e incoscienza.

Ma che tipo di moto è? Quali sono i modelli di attività elettrica che corrispondono al nostro stato soggettivo di essere coscienti, e perché? Possono essere misurati e quantificati? La questione non è solo teorica o filosofica, ma è di interesse vitale per l'anestesista che sta cercando di regolare il livello di coscienza nel corso di un intervento chirurgico, o per il neurologo che sta tentando distinguere i diversi stati di coscienza in seguito a trauma cerebrale.

Qualche mese fa, Casali e colleghi hanno presentato una metrica quantitativa che fornisce, secondo gli autori, una misura numerica della coscienza, separando gli stati vegetativi dagli stati di minima coscienza. Lo studio offre indizi per identificare l'enigmatica sindrome locked-in, in cui il soggetto è cosciente ma non è in grado di comunicare con il mondo esterno a causa di deficit motori, ma la cosa più interessante è l'affermazione che le misure permettono una comprensione scientifica della coscienza, fornendo una misura obiettiva.

La loro metrica, come altre misure cliniche esistenti della coscienza, si basa sull'elettroencefalogramma (EEG), ossia sulle differenze di potenziale registrate da elettrodi posti sul cuoio capelluto, che presenta un quadro di massima dell'attività neurale nel cervello. L'EEG può essere usato per misurare sia l'attività cerebrale spontanea, sia quella evocata da uno stimolo esterno. Secondo gli autori, l'attività in questione viene evocata direttamente nel cervello utilizzando un campo magnetico transitorio (stimolazione magnetica transcranica).

Questo comporta l'applicazione di un campo magnetico transitorio che, in virtù della legge di Faraday, genera un campo elettrico in una particolare regione del cervello: è un po' come collegare una batteria all'insieme dei circuiti neurali. Ciò fa sì che nel cervello fluiscano delle correnti elettriche, non solo nella zona stimolata, ma anche in altre regioni a essa collegate. I modelli spaziali e temporali di queste correnti cerebrali sono poi ricavabili dalle misurazioni EEG e quantificate per produrre la metrica.

La novità dello studio è nel metodo usato per quantificare la distribuzione spazio-temporale delle correnti, che è anche alla base della rivendicazione teorica. L'idea è che quando il cervello è incosciente, l'attività evocata o è localizzata (gli autori parlano di “mancanza di integrazione”) , oppure è diffusa e uniforme, come durante il sonno a onde lente o gli attacchi epilettici (“mancanza di differenziazione”).

Lo stato di coscienza dovrebbe invece corrispondere a un modello spaziotemporale distribuito ma non uniforme delle sorgenti di corrente. Per distinguere tra i due scenari, gli autori applicano uno schema di compressione dei dati standard (l'algoritmo di Lempel-Ziv, che viene utilizzato per esempio per le immagini in formato GIF). Il grado di comprimibilità della distribuzione di corrente quale è desumibile dagli EEG è la metrica della coscienza che propongono.

Casali e colleghi riferiscono che la loro misura si comporta in modo davvero impressionante nel distinguere sia gli stati di coscienza dei singoli soggetti, sia quelli di soggetti diversi che si trovano in differenti stati di coscienza clinicamente ben identificati. Questi promettenti risultati stimoleranno senza dubbio ulteriori studi. Tuttavia, l'affermazione che la misura è teoricamente fondata su una comprensione concettuale della coscienza merita uno sguardo più attento. Si è tentati di pensare che uno studio clinico della coscienza fondato su basi concrete faccia progredire la nostra comprensione del fenomeno, ma è davvero così?

In medicina è abbastanza comune vedere misurazioni associative di tipo ingegneristico utili dal punti di vista pratico, ma che non derivano da una comprensione di fondo. I medici dell'antichità diagnosticavano il diabete mellito senza capire la patologia sottostante. L'utilità clinica non è automaticamente garanzia di comprensione scientifica.

C'è ragione di essere cauti anche in termini clinici. Alcuni precedenti tentativi di quantificare numericamente la coscienza si sono dimostrati problematici. In un suo blog un'anestesista ammonisce a non “dare più fiducia alla BIS [analisi bispettrale, una tecnica di monitoraggio dello stato di anestesia, N.d.T.] o a qualsiasi altro metodo piuttosto che al buon senso e all'esperienza.” Un esperto umano resta ancora l'arbitro ultimo della stato di coscienza di un altro essere umano. Ed è improbabile che le cose cambino a breve.

Esistono ostacoli pratici e concettuali allo sviluppo di una "metrica della coscienza".

In termini pratici, abbiamo pochissimo accesso ai dettagli delle dinamiche neuronali nel cervello umano. In un recente invito alla presentazione di progetti per la registrazione diretta e la stimolazione dei neuroni nel quadro della terapia con stimolazione cerebrale profonda, la DARPA - tutt'altro che timida di fronte a sfide tecnicamente ambiziose - si è limitata a 200 elettrodi, vale a dire a circa un miliardesimo del numero stimato di neuroni nel cervello. L' EEG rappresenta uno strumento per misurazioni indirette nel cervello di capacità molto bassa. L'incapacità di misurare in dettaglio la dinamica dei neuroni cerebrali potrebbe limitare qualsiasi tentativo di quantificare la coscienza.

La caratteristica che definisce lo stato di coscienza è la consapevolezza soggettiva, in prima persona, e questo ostacola in modo fondamentale le misurazioni oggettive da parte di un osservatore indipendente, che non può avere accesso ai fenomeni primari se non attraverso il resoconto soggettivo dell'individuo cosciente.

E' possibile (e utile) ottenere misurazioni sempre migliori correlate a questo resoconto soggettivo, ma queste misurazioni fanno davvero luce sul fenomeno della coscienza?

Per chiarire le questioni di base, consideriamo una sorta di test di Turing per le metriche della coscienza. Se una misura della coscienza deve avere una patente di scientificità, non dovrebbe attribuire un alto grado di coscienza a un sistema inanimato passivo in equilibrio termodinamico, altrimenti ci ritroveremmo con qualche tipo di nozione pan-psichica della coscienza. Tuttavia, un semplice esperimento mentale dimostra che sarebbe facile costruire un sistema del genere per la metrica di cui stiamo discutendo.

La misura in questione si basa sui modelli spazio-temporali delle correnti indotte da un campo magnetico transitorio. Tuttavia, le equazioni di Maxwell impongono che un campo magnetico transitorio genererà un modello di correnti in qualsiasi pezzo di materia; la corrispondenza con qualche distribuzione di tali correnti evocate è semplicemente una questione di proprietà del materiale.

Si consideri per esempio una rete di resistori, condensatori e induttori con costanti temporali del circuito sintonizzate in modo da restare nel range delle centinaia di millisecondi (corrispondente a quello dell'EEG). Si potrebbe poi usare un'antenna radio per rilevare il campo magnetico variabile e assorbirne l'energia. A questo punto, non sarebbe difficile creare una disposizione circuitale che produca una distribuzione di corrente transitoria, spaziotemporalmente non uniforme e adeguatamente non comprimibile, e quindi capace di ingannare il dispositivo producendo un elevato punteggio di coscienza.

Ci si potrebbe anche chiedere se la metrica ci aiuta a rispondere a un quesito evolutivo fondamentale: si possono differenziare gli organismi nelle categorie “coscienti e “non-coscienti”? Mentre la maggior parte dei neuroscienziati non avrebbe problemi ad attribuire la coscienza agli animali vertebrati o invertebrati dotati di cervelli complessi (si pensi ai polpi o alle api), esiterebbe di fronte agli invertebrati dal sistema nervoso semplice (le meduse sono coscienti? E le spugne?)

Dato che la metodologia in discussione è stata predisposta pensando agli esseri umani, e in ultima analisi dipende dalla correlazione con un resoconto soggettivo, è difficile vedere come possa essere estesa a tutto l'albero filogenetico in modo tale da contribuire a risolvere queste domande fondamentali sulla coscienza.

Allora, dove cercare misure della coscienza che facciano avanzare la nostra comprensione scientifica? La maggior parte dei neuroscienziati sarebbe d'accordo che la coscienza è associata ai sistemi nervosi degli animali (non agli alberi o alle rocce). Invece di cercare genericamente astratte descrizioni matematiche della coscienza, potremmo avere bisogno di studiare nello specifico l'architettura dettagliata dei sistemi cerebrali coinvolti nell'eccitazione sessuale, nell'attenzione e così via.

I sistemi nervosi degli animali complessi probabilmente hanno evoluto la coscienza perché ha alcune importanti funzionalità. Se l'architettura dei sistemi cerebrali coinvolti nell'eccitazione mostra una convergenza evolutiva tra invertebrati e vertebrati, questo darebbe importanti indicazioni sulla coscienza come fenomeno biologico. Una migliore comprensione neurobiologica della coscienza potrebbe a sua volta far progredire le misurazioni cliniche.

Dai tempi di Leonardo abbiamo fatto molta strada, ma gli osservatori umani restano essenziali per giudicare le sottigliezze dei “moti mentali” che chiamiamo coscienza. Per quanto sofisticati siano i nostri strumenti, la coscienza è ancora un profondo mistero che lascia ampio spazio alle innovazioni concettuali e al pensiero creativo.

Partha Mitra è Crick-Clay Professor presso il Cold Spring Harbor Laboratory. Ha conseguito un dottorato di ricerca in fisica teorica ad Harvard ed ha fatto parte del Theory Group dei Bell Laboratories. (La versione originale di questo articolo è apparsa su scentificamerican.com il 7 gennaio. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

Articolo di: Partha Mitra

Fonte dati: www.lescienze.it/news/2014/01/11/news/misurare_stati_coscienza_eeg-...

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