L'acqua più antica dell'universo

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(richard)
00venerdì 19 dicembre 2008 23:30
Ha 11 miliardi di anni ed è nascosta in una remota galassia
L’acqua più antica si trova nelle profondità dell’Universo. Ha 11 miliardi di anni ed è stata scoperta adesso da due giovani scienziate italiane impegnate al Max Plack Institut di Bonn.

Le due studiose fanno parte di un gruppo di ricercatori guidati da Violette Impellizzeri. Le tracce del prezioso liquido sono state raccolte ora perché tanto tempo ha impiegato la radiazione elettromagnetica emessa dallo stesso ad arrivare sino a noi, pur viaggiando alla velocità della luce. Così abbiamo scrutato un interessante passato remoto che ci aiuta a ricostruire le tappe dell’evoluzione cosmica.

QUASAR E MASAR - Arrivare al risultato non è stato facile e la fortuna ha dato una mano. La nube di vapore acqueo era presente nei pressi di un buco in una lontana galassia, un quasar, ed è stata individuata grazie al fatto che nello spazio c’era una sorgente maser e una lente gravitazionale.

Un maser è un fascio di radiazioni in particolari condizioni fisiche che quando attraversa un gas si amplifica. Altrettanto succede con la lente gravitazionale: una grande massa con la sua possente gravità riesce ad ingigantire l’immagine di un oggetto che gli sta dietro, proprio come una lente ottica tradizionale.

In questo modo la debolissima presenza della nube di vapore acqueo è giunta fino a noi ed è stato possibile individuarla, appunto, grazie all’amplificazione esercitata dai due fenomeni che la fortuna ha posto davanti alle antenne del radiotelescopio di Effelsberg, il più grande d’Europa e installato vicino a Bonn.

«Siamo state fortunate – ammette Paola Castangia dell’Inaf-Osservatorio astronomico di Cagliari – abbiamo individuato il maser proprio nel primo oggetto sul quale abbiamo puntato il nostro occhio. Quasi non ci credevamo».

BUCHI NERI - Ma le verifiche compiute in seguito con il radiotelescopio VLB nel New Mexico (Usa) hanno confermato: l’acqua esisteva davvero. Per raccogliere i segnali normalmente spiegano le scienziate si sarebbero impiegati 580 giorni, invece grazie ai due effetti che ingigantivano il tutto è stato più facile e sono bastati 14 giorni.

«Questi fenomeni – spiega Paola Castangia - sono collegati ai buchi neri che emettono getti di materia. Di solito si osservano in galassie vicine ma averli individuati in un’isola stellare tanto lontana ci permette di decifrare sia le caratteristiche dei buchi neri in quelle epoche e soprattutto ci aiuta a costruire l’identikit dell’ambiente cosmico circostante».

Paola, 32 anni, ha compiuto per un anno la sua esperienza Bonn grazie al programma “Master & Back” varato dalla Regione Sardegna che sostiene esperienze all’estero di giovani scienziati garantendo poi il loro ritorno. Infatti ora Paola è appena rientrata e lavora all’Osservatorio di Cagliari. E la storia continua.
Virgilio-Corriere della sera.it




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