Il caso Madau

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cagliari79
00domenica 20 dicembre 2009 10:27
Notiziario Ufo n°3 – Luglio Agosto 1999



“Sollevato da un fascio di luce”

Sardegna, 1948: l’inedita e straordinaria esperienza del 4° tipo di un religioso



Nel dicembre del ’90 un’insolita missiva giungeva alla sede del Coordinamento Nazionale del CUN; in calce essa recava l’intestazione di un istituto ecclesiastico di Roma, il Centro Missionario Italiano dei Frati Minori Conventuali. L’autore era un frate di origine sarda, di nome Giuseppe Madau, all’epoca sessantenne, e da oltre 15 anni in missione nello Zambia. Precisando di aver trovato il recapito del CUN sul libro di R. Pinotti, “UFO, Visitatori da Altrove”, acquistato in occasione del rientro in Italia per le festività natalizie, il religioso narrava di essere stato protagonista parecchi anni prima, nel settembre del ’48, all’età di diciotto anni, di un clamoroso contatto ravvicinato con un UFO. Ciò era avvenuto in pieno giorno nei pressi del proprio convento di Oristano, in Sardegna, nel corso del quale – per evidente azione del misterioso oggetto – egli era stato sollevato in aria per alcuni istanti, insieme ad un cane che si trovava



A questa esperienza, continuava il Madau nel proprio scritto, ne seguì decenni più tardi, nel 1974, una seconda, di minore entità. Si fa per dire: l’avvistamento sui cieli dello Zambia, di un’enorme piattaforma cilindrica metallica, che affiancò per qualche istante l’aereo a bordo del quale egli si trovava, poco prima che avesse inizio la manovra di atterraggio.
Vi era la giustificata sensazione che si fosse in presenza di un caso di notevole spessore, soprattutto per ciò che riguardava l’episodio dell’incontro ravvicinato del ’48. Ovvero un vento inedito risalente agli albori dell’era ufologica, caratterizzato da una così rilevante interazione fra il testimone ed un oggetto non identificato; oltretutto il primo del genere, in Italia, e non solo, nel quale un religioso fosse stato di prima persona coinvolto. Questa consapevolezza trovava conferma nella convinzione del protagonista stesso circa alcuni elementi della vicenda, del cui significato egli non riusciva bene a capacitarsi, e che –a suo dire – avrebbero necessitato di un debito approfondimento in sede di regressione ipnotica, esperienza che egli si diceva disposto ad affrontare malgrado l’avanzata età.


Ulteriori dettagli

Data l’esiguità del periodo entro il quale il religioso sarebbe stato reperibile prima del ritorno in Africa, Gianfranco Neri si affrettò ad inviare una lettera contenente alcuni quesiti circa la dinamica dell’episodio in questione; poco dopo giunse una risposta.



Così era apparso l’oggetto volante in questione agli occhi stupiti dell’allora giovane seminarista: un disco sormontato da una cupola trasparente, sospeso al di sopra di un albero, a poche decine di metri di distanza da lui. Il Madau asseriva anche di avere constatato la presenza di due figure di aspetto estremamente simile all’uomo; agitato il braccio ad esse rivolto, in segno di saluto, queste avrebbero risposto!
Le entità uscite quindi all’esterno, avrebbero invitato a gesti il giovane ad avvicinarsi al di sotto del disco, ma a fronte della sua manifesta riluttanza, sarebbero rientrate a bordo. A questo punto la narrazione passava a descrivere il clou dell’evento: effettuata una strana manovra di mutamento del proprio assetto, l’oggetto avrebbe preso ad emettere strani fasci di luce di diverso colore, separati l’uno dall’altro per scomparire quindi di colpo dal campo visivo del testimone, il quale si sarebbe sentito improvvisamente sospeso in aria. Di lì a poco il seminarista avrebbe cominciato a recepire una crescente e non meglio precisata sollecitazione di tipo elettrico sul proprio cervello, sempre più fastidiosa e dolorosa: era come se venisse letteralmente scandagliato da qualcosa contro la quale egli nulla poteva.
Sentendosi prigioniero di funi invisibili, e di una paura che in lui stava crescendo incontrollata, egli avrebbe preso a supplicare la Madonna, perché lo salvasse da quell’inaudita condizione; poco dopo la voce chiara ed un po’ distaccata di una donna, echeggiante nella sua mente, ingiungeva fermamente a qualcuno che egli venisse lasciato libero. Di lì a poco tutto sarebbe cessato, ed egli insieme al cane, suo compagno di sventura, sarebbe stato lentamente adagiato a terra.
Dell’oggetto, a questo punto, non vi era più alcuna traccia, se non nel suo animo comprensibilmente frastornato. Rientrato in convento, e cercato di far parola ai propri compagni dell’incredibile accaduto, egli venne impietosamente zittito.
Così terminava la ricostruzione epistola dell’episodio occorso nel lontano ’48. Negli anni che seguirono, l’ex seminarista – divenuto frate – tacque a lungo sulla propria incredibile esperienza. Dapprima, non avendo di fatto alcuna nozione di accadimenti ufologici, e quindi impossibilitato ad interpretarla in alcun modo, relegò in un angolo della propria memoria, archiviandola idealmente. L’eco degli avvistamenti che andavano ripetendosi in tutto il mondo, e di cui egli apprendeva dai giornali, operò in lui una prima sensibilizzazione. Ciononostante ogni sui tentativo di aprirsi con terzi dovette rivelarsi infruttuoso e solo raramente egli poté ricevere attenzione e credibilità. Venne poi il lungo periodo missionario nello Zambia, lontano dalla civiltà e dal mondo, ma paradossalmente fu proprio in quel contesto che si verificò la seconda esperienza ufologica della sua esistenza: l’avvistamento del grande oggetto cilindrico che procedeva a zig zag, di fianco al suo aereo, nascondendo di volta in volta dentro le coltri nuvolose.
Alla luce dell’apparente impossibilità di un approfondimento dell’intera vicenda, data la pressoché continua assenza del missionario dall’Italia, le lettere furono archiviate e del caso rimase una vaga memoria nei pochi che di esse avevano a suo tempo preso visione. Lo stesso Gianfranco Neri aveva, peraltro giustamente, sconsigliato il Madau dall’intraprendere la regressione ipnotica, sia per l’avanzata età di questi, sia per la continuità che un tale trattamento avrebbe richiesto.


Nove anni dopo: l’incontro

Quando, nel dicembre del ’98, mi trovai casualmente tra le mani quegli scritti, apprendendo a grandi linee dell’incredibile storia, così frettolosamente – anche se giocoforza – accantonata, fui tentato di verificare, tramite il Centro Missionario Italiano dei Frati Minori Conventuali di Roma, se qualcuno fosse in grado di fornirmi il recapito di padre Madau, nella vaga speranza di contattarlo per lettera. Con mia grande sorpresa – si era a ridosso delle festività natalizie – venni a sapere che il religioso era provvisoriamente rientrato in Italia, e che si trovava in quei giorni presso il medesimo istituto. Nel volgere di un paio d’ore potei parlarvi: si ricordava perfettamente della lettera scrittaci nel ’90 e del suo successivo breve contatto con Gianfranco Neri. Essendo peraltro il suo udito fortemente compromesso dalla malaria e dal chinino, condizione che rendeva a dir poco problematica la conversazione telefonica, fu lui stesso ad esortarmi ad andarlo a trovare a Roma. L’incontro ebbe luogo in capo ad una decina di giorno, nella stessa sede del Centro Missionario, la Casa Kolbe, nello splendido contesto del Palatino. Constatato il mio interesse per l’esperienza dell’incontro ravvicinato ad Oristano, non tergiversò affatto a ripercorrere quell’intero episodio, ampliandolo con inediti ed estremamente interessanti dettagli. Quanto segue è il contenuto dell’intervista concessami nel gennaio scorso, rievocante il clamoroso evento in questione nelle sue fasi più importanti e significative, preceduta da un breve preambolo.
Il 13 settembre 1948 è la vigilia della ricorrenza di Santa Croce; Oristano è addobbata a festa per l’occasione, e sulla torre medievale della piazza centrale sono state disposte delle luminarie. Verso le ore 19.00, malgrado il sole sia appena tramontato, vi sono ancora eccellenti condizioni di luminosità, come è del resto tipico in Sardegna ancora in quel periodo dell’anno. Madau, in ritiro spirituale presso il locale seminario diocesano, in attesa di fare le prime promesse dell’ordine francescano (cioè i voti), esce dal collegio recitando il Rosario. Inoltratosi nell’orto del convento, prende il sentiero diretto a ponente, uno dei tre percorsi dai quali all’epoca era attraversato. Qui egli si imbatte nel cane del guardiano, un vecchio animale mezzo cieco, che prende a seguire il frate sino alla fine del vialetto, punto dell’orto coincidente, a sinistra, con l’angolo nord dell’edificio conventuale, poco più in là del muro di cinta oltre il quale corre l’allora Strada Provinciale Cagliari – Sassari, oggi sostituita dalla Strada Statale.
Fermatosi un istante, recitando la prima parte dell’Ave Maria, lo sguardo rivolto al cielo, ancora chiarissimo e privo di nubi, egli scorge verso ponente un corpo mobile, dapprima scambiato per un volatile, in quanto pressoché puntiforme, che scende in picchiata verso di lui, divenendo sempre più grande…


Quella sera di 50 anni prima – Una descrizione lucida e accurata

In pochi secondi vidi una macchina assolutamente silenziosa e di forma stranissima che non avevo mai visto, e di cui non avevo mai sentito prima parlare (durante il periodo del ritiro spirituale o noviziato i seminaristi erano tenuti ad osservare l’isolamento totale rispetto al mondo esterno, lontani quindi da radio, giornali etc… NdR). All’inizio essa non planava parallela al suolo, ma piuttosto obliqua, di modo che, arrivata all’altezza dell’edificio seminariale, potei vederne chiarissima la sagoma: era un disco color argento, a forma di campana. La cupola pareva essere di plastica trasparente, dato che notai indistintamente all’interno la presenza di due uomini, bianchi, di aspetto giovanile. Il disco si fermò poco al di sopra di un albero, un eucaliptus, disponendosi parallelamente al suolo: contemporaneamente si udirono grida convulse e disorientate di gente, provenienti dalla piazza del paese, e dal vicino distretto militare: “E’ andata via la luce”, andavano a più riprese ripetendo.
Le figure uscirono quindi all’esterno dell’oggetto, che era sospeso a poche decine di metri di distanza da me, ponendosi in piedi sulla sua piattaforma: erano uomini piuttosto alti, 1.90 o forse 2 metri, bellissimi, dal portamento nobile, e vestivano una specie di tuta argentea; incuriosito, feci loro un cenno di saluto, agitando il braccio, ed essi mi risposero sorridendo, invitandomi testualmente, così mi parve, ad avvicinarmi al loro disco: intendendo volessero portarmi via con loro, rifiutai. Ripeterono il loro invito più di una volta, ma io non lo accolsi, conscio del fatto che il seguirli avrebbe significato per me l’impossibilità di divenire frate francescano. Quasi constatando il mio atteggiamento, le figure rientrarono nella loro macchina, la quale si dispose in assetto obliquo, mostrando la propria parte inferiore: fu in quel momento che notai la presenza di un’apertura circolare scura, al centro, e di una specie di struttura “a cingolo”, o “cinghia” metallica, posta lungo la circonferenza esterna. Questa prese a muoversi, girando dapprima a scatti netti ed intermittenti, con un suono secco, (simile a quello prodotto da una catena su di un ingranaggio) e poi sempre più velocemente. Di colpo il rumore cessò ed il disco, dispostosi nel proprio primitivo assetto orizzontale, prese ad emettere a “raffica”, in rapida successione, dall’apertura sottostante, stranissimi fasci di luce, di diverso colore, indipendenti l’uno dall’altro. Si trattava di luce a settori, o “blocchi”, il cui aspetto cromatico cominciava dal viola, sfumava nel blu/celestino, quindi nel verde, nel giallo, nell’arancione, nel rosso e per ultimo nell’incolore: ebbi l’impressione che ognuno di essi “spingesse” quello sottostante, ad un ritmo ininterrotto. Tra i vari “blocchi”, ognuno dei quali culminava in una specie di divisione / strozzatura, che dava all’insieme un aspetto a “salsiccia”, vi era una zona acromatica di transizione. Il disco d’un tratto scomparve dal mio campo visivo e cominciai a recepire la distinta sensazione di un suono elettrico: uu-uu/uu-uu. Questo però si manifestava non a mezzo dell’udito, bensì nella parte superiore del cervello: mi sentivo molto leggero, ondeggiante come un panno appeso ad un filo! Non vidi cosa stesse in quel momento capitando al cane. Forse l’oggetto in quel momento era sopra di me; di fatto comunque non lo vedevo più. Da quel momento il suono in questione si convertì in sensazione tattile ed avvertii qualcosa di simile a “dita elettrice”. Mi stava “rovistando” nel cervello, insistendo particolarmente sul lobo sinistro.
Inizialmente era paragonabile ad un solletico, e ci fu una fase durante la quale fui, credo, assente come coscienza, rispetto ciò che avveniva. Ecco perché, a suo tempo, avevo proposto di venire sottoposto ad ipnosi regressiva. Mi risvegliai con una sensazione dolorosa: il “frugamento” stava continuando ed io sentivo sempre più male. Fu a questo punto che cominciai a spaventarmi, pensando mi volessero acchiappare e portare via… Reagii allora “esclamando” nella mente: “No, non voglio”!, e con la mia coscienza di frate mi misi a pregare, ed invocai: “Madre mia, aiutami. Non voglio!”. Fu allora che sentii la voce di una donna, che rivolta a “qualcuno”, diceva, sia pur con poca convinzione: “Ma lasciatelo; lasciatelo stare”. La risposta a queste parola, fu data da un suono indistinto ed incomprensibile di “voci” estremamente “accelerate”, che potei paragonare a quello comunemente prodotto dal nastro di un registratore fatto procedere alla massima velocità.
Lo scambio “verbale” si protrasse per alcuni istanti, mentre io seguitavo a supplicare “Madre mia, aiutami”: si trattava però, voglio nuovamente precisare, di “voci” e suoni a loro volta non provenienti dall’esterno, ma che io udivo dentro di me.
Ad un determinato punto echeggiò nuovamente la stessa voce femminile che, chiara ed energica, ingiunse: “Basta, lasciatelo!”. Il “rovistio” cerebrale cessò di colpo, ed ebbi la sensazione di “scendere” di lì a poco, confermata dal mio battere i tacchi delle scarpe al suolo, come quando ti capita quando scendi da un gradino elevato. Fu allora che riaprii gli occhi e, voltandomi a sinistra, vidi il cane, ancora sospeso a mezz’aria, il muso in alto, le gambe in posizione “fetale”, la coda infilata tra queste: lo vidi scendere lentamente a terra; arrivato a venti centimetri da terra, l’animale fece una caduta improvvisa. Per l’occasione constatai che il punto sul quale fummo “calati” distava circa una decina di metri dal sentiero di ponente, ove inizialmente eravamo: ci trovavamo ora infatti sul sentiero centrale dell’orto. In quel preciso momento, quando appunto avevo ripreso coscienza, sentii i soldati del vicino distretto militare gridare: “E’ tornata la luce”; analoghe grida udii provenire dalla piazza del paese, che salutavano la riaccensione delle luminarie sula torre. Contemporaneamente sulla vicina Statale Cagliari – Sassari, al di là del muro di cinta del Convento, le automobili si rimettevano in moto: per quale motivo esse si fossero fermate non sono in grado di dirlo.
Era nel frattempo ormai divenuto buio, e mi riavviai verso casa: in quel mentre, ebbi la netta sensazione che sulla parte sinistra della testa, in corrispondenza della zona prefrontale e parietale, mi avessero fatto una cucitura. Quest’impressione durò qualche istante e poi svanì. Incontrai i miei compagni che stavano preparando canti e cerimonie per la festa del giorno dopo, tentai di informarli di quanto mi era capitato. Il tentativo fu inutile, in quanto non appena ebbi abbozzato la descrizione dello strano oggetto che avevo visto, essi seccati per la mia intrusione, mi zittirono quasi insultandomi. Da allora tacqui per lungo tempo, nella convinzione che l’esperienza che quel giorno avevo vissuto, ben difficilmente avrebbe potuto essere resa nota.


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