Ho un orto in orbita.

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David02
00martedì 17 aprile 2012 02:35
Coltivare nello spazio.
Ho un orto in orbita

Vi riporto un articolo che ho letto sul sito dell'espresso e che ho trovato molto interessante. Buona lettura! [SM=g1950677]

http://espresso.repubblica.it/food/dettaglio/ho-un-orto-in-orbita/2178557

Grano, riso, patate. Ma anche fragole e cipolle. Un rapporto della Nasa spiega che coltivare fuori della Terra è possibile. Tra frumento Apogee, pomodoro Microtina, Riso Supernano, ecco come sarebbe possibile seminare nello spazio.

Una specie su un solo pianeta non ha futuro. Se vogliamo sopravvivere per centinaia di migliaia di anni, prima o poi dovremo popolare altri mondi. Non so quando, ma un giorno gli umani fuori dalla Terra saranno più di quelli sulla sua superficie". Sono parole da visionario. Ma se il visionario che nel 2005 le ha pronunciate si chiama Michael Griffin, e per mestiere faceva il direttore della Nasa, forse c'è da credergli.

Ma per colonizzare lo spazio, serve, innanzitutto, capire come poterci far crescere delle piante. Innanzitutto per produrre cibo: un continuo rifornimento da terra per affollate colonie orbitali sarebbe un incubo logistico dai costi immani, e per pianeti lontani semplicemente impossibile. Il cibo andrà prodotto in sede. "Per colonizzare pianeti extraterrestri sarà necessaria una nuova agricoltura, lo space farming. Per svilupparla servirà il concorso di molteplici discipline biologiche, agrarie e ingegneristiche: sarà una vera palestra delle scienze biologiche", dice Giacomo Pietramellara, dell'Università di Firenze, in un convegno all'Accademia dei Georgofili che ha fatto il punto sull'agricoltura spaziale.
Ma non solo: le piante e il suolo, con la sua comunità microbica, sono i pilastri su cui ricostruire, nel sistema isolato dell'astronave, un piccolo ecosistema che realizzi i cicli vitali: per smaltire i rifiuti, riciclare i residui organici degli astronauti e l'anidride carbonica, rigenerare acqua pulita, ossigeno, nutrienti. Le piante possono agire inoltre da biosensori, segnalando tempestivamente un eccesso di inquinanti nel suolo o nell'aria.

A tutt'oggi, però, non sappiamo simulare a terra un ambiente autonomo, con un ecosistema chiuso in grado di ricreare cicli bio e geochimici completi così che microbi, piante ed equipaggio possano autosostentarsi senza apporti esterni: dagli storici esperimenti Biosfera fatti dalla Nasa negli anni Ottanta, al sofisticato simulatore Melissa dell'Esa, nessun dispositivo ha mai raggiunto la piena autosufficienza. E anche per le aspiranti astropiante le prime esperienze non sono state confortanti: le piante cresciute nello spazio erano piene di anomalie.

Ma il tempo per fortuna ha sovvertito il verdetto. "I risultati erano viziati da problemi sperimentali: temperature eccessive, materiali non consoni", spiega Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale all'Università di Firenze: "Negli esperimenti più recenti si è visto che è possibile ottenere piante nello spazio. L'unico effetto confermato è il nanismo: dal seme terrestre cresce una pianta normale, ma le sue figlie sono più basse e la statura cala di generazione in generazione, almeno per le quattro o cinque coltivate sulla Mir russa".

A partire dagli anni Ottanta, le ricerche hanno battuto in parallelo due grandi filoni: piante ottimizzate per l'ambiente spaziale e tecnologie per coltivarle. In un viaggio spaziale la prima cosa che scarseggia è lo spazio. "Perciò le varietà ideali devono essere corte, commestibili quasi per intero, e a rapida crescita", spiega Luigi Cattivelli, del Centro di ricerca per la genomica di Fiorenzuola d'Arda, nel piacentino: "Poi devono richiedere poca luce perché l'energia è preziosa. E resistere a eventuali malattie".
Perciò si studiano varietà adattate allo spazio, spesso super-nane, sia di colture fondamentali come grano, riso e patate, sia di cibi complementari come lattuga, cipolle, pomodori e fragole.

Fatte le piante, c'è da capire su cosa crescerle. "Con i suoi minerali e una o due tonnellate per ettaro di brulicante vita microbica, il suolo non è solo un substrato ma un complesso bioreattore, responsabile di molte funzioni rigenerative dell'ecosistema", dice Pietramellara.
Le sfide sono tante: in un terreno fine e con bassa gravità, acqua e gas circolano male, si accumulano sali e le radici faticano a respirare e smaltire il calore. Inoltre sali fortemente perclorati e composti tossici come i metalli pesanti rendono arduo indurre e mantenere la fertilità, e possono richiedere interventi di bonifica e l'uso preliminare di specie iperaccumulatrici che puliscano il terreno per quelle alimentari.
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