Gange fiume per la vita

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(richard)
00venerdì 5 settembre 2008 15:59
Il bacino del Gange è stato intensamente coltivato per oltre cinquemila anni: Ora è in pericolo a causa del global warming.

Il Gange è un antico e autorevole protagonista della cultura indiana. Lungo i 2.500 chilometri del suo percorso fino al mare, distribuisce minerali che provengono dalle vette dell’Himalaya creando uno dei terreni più fertili del pianeta.

Il bacino del nostro fiume è il più popolato del mondo ed è stato intensamente coltivato dall’uomo per oltre cinquemila anni. I 38mila metri cubi di acqua al secondo che trasporta riforniscono le falde, irrigano i campi e calmano la sete di piante, animali, esseri umani.

L’India è viva grazie all’esistenza del Gange e la morte di questo fiume significherebbe la fine della civiltà indiana. Attualmente sul nostro grande fiume incombono diverse e gravi minacce.

In primo luogo i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale, che stanno causando lo scioglimento e il ritiro del ghiacciaio Gangotri. Questo ghiacciaio, da cui nella stagione secca arriva circa il 70% dell’acqua del Gange, è attualmente lungo 30,2 chilometri, per una larghezza compresa fra i 500 metri e i 2,5 chilometri e si sta riducendo a una media di 12-13 metri all’anno, con un ritmo doppio rispetto a 20 anni fa.

La scomparsa del ghiacciaio implicherebbe il prosciugamento del Gange nella stagione secca: il nostro grande fiume diventerebbe un corso d’acqua stagionale, privando l’India della sua vitale “linea d’acqua” per molti mesi all’anno.

Ma non sono soltanto i cambiamenti climatici a mettere in pericolo la sopravvivenza del Gange. In molti punti del suo corso il fiume è interrotto perché raccolto in dighe o convogliato in tubature per alimentare le centrali idroelettriche, che lo privano dei suoi preziosi sedimenti.

Il bacino artificiale creato dalla diga di Tehri, costruita negli anni Settanta, è così pieno di minerali che nei primi due anni di esercizio è emersa un’isola. La diga inoltre ha creato gravi dissesti geologici locali, con frequenti frane.

I 42 chilometri quadrati del bacino di raccolta, trattenuto da un muro alto 260 metri, si trovano in una zona dell’Himalaya geologicamente instabile.

Secondo una ricerca condotta da Navdanya dalla costruzione della diga si sono verificate più di cento frane significative, che hanno messo in pericolo tra le 1.500 e le 2.000 famiglie in nove distinti villaggi. A Kangsali e Nantaar si sono aperte grandi fessure nella roccia.

Quando una regione viene inondata le frane aumentano perché l’acqua penetra in zone di roccia poco solide. Per questo il numero di persone colpite dall’opera aumenta rispetto alla stima iniziale.

Nel caso della diga di Tehri non sono state colpite solo le 100mila persone che vivevano nei 33 villaggi sommersi con i loro 125 milioni di ettari di terra fertilissima, ma anche coloro che, a causa delle continue frane, sono stati costretti a spostarsi.

Ora il sacro Gange non è più considerato una fonte di vita per cinquecento milioni di indiani ma piuttosto una fonte di energia.

Quando il primo ministro dell’Uttarkhand ha inaugurato il progetto del nuovo impianto idroelettrico di Pala Maneri, da 480 megawatt, i giornali hanno dato ampio spazio alla notizia definendo l’Uttarkhand “lo Stato dell’energia”.

Non hanno parlato, però, delle numerose frane che si stanno già verificando nella zona a causa dei lavori in corso per la costruzione della diga né del fatto che altre dighe già realizzate hanno interrotto il corso del Gange.

Tra il maggio e il giugno scorso abbiamo lanciato un’iniziativa per la sopravvivenza del Gange presieduta dal professor G.D. Aggarwal, uno dei più autorevoli scienziati dell’India.

Tutti i movimenti di difesa del nostro fiume si sono riuniti nella richiesta di sospendere i lavori sulle nuove dighe e di sottoporre a una valutazione di impatto ambientale quelle già esistenti.

Dobbiamo trovare il tempo e il coraggio di riflettere sull’irrazionalità del “progresso” che distrugge la nostra vera e originaria fonte di vita. Dobbiamo valutare le perdite di risorse alimentari e idriche che avremo come conseguenza della costruzione di dighe lungo il corso del Gange.

Dobbiamo impegnarci per ottenere energia elettrica da fonti rinnovabili, come il solare. Non è un caso se il Gange è stato definito “fiume sacro”. Ci offre da bere e da mangiare. Se muore il Gange muore l’India. Se vive il Gange, vive l’India. [SM=x708804]

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