Addio a Robert Edwards, padre della fecondazione artificiale.

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Regulus83
00giovedì 11 aprile 2013 15:30
È morto ieri a 87 anni, il premio Nobel che realizzò per primo una fertilizzazione in vitro.

Quando Robert Edwards sentì dei progressi della tecnica di laparoscopia del dottor Patrick Steptoe (1913-1988) decise di non perder tempo, e di contattare subito il collega di Oldham, in Inghilterra. Era il 1968, ed erano già dieci anni che Edwards, fisiologo a Cambridge, studiava come far maturare gli ovociti, cioè gli ovuli di donna, in laboratorio. Ma era il momento di fare qualche passo avanti se voleva portare a compimento il suo grande progetto: realizzare, per la prima volta nella storia, la fecondazione in vitro nella specie umana, cioè fecondare l’ovocita con il seme maschile per poi reimpiantarlo nell’utero di una donna. Se tutto fosse andato come doveva, sarebbe stato il più rivoluzionario dei trattamenti contro l’ infertilità. Edwards ci avrebbe messo l’esperienza nella fecondazione, Steptoe invece gli avrebbe fornito la materia prima - ovvero gli ovociti prelevati direttamente dalle ovaie di una signora grazie proprio alla laparoscopia.

Il contributo di Steptoe fu certo fondamentale al successo dell’impresa, ma era stato Edwards che con i suoi esperimenti in vitro che aveva svelato tutti i segreti della maturazione di un ovulo e che era riuscito a capire anche quando i due attori, ovulo e spermatozoo, fossero rispettivamente pronti all’incontro. Aveva anche intuito che forse sarebbe stato meglio, per il gamete femminile, presentarsi all’appuntamento preparandosi nel suo ambiente naturale, cioè nelle ovaie, e per questo si era rivolto a Steptoe. Il sodalizio fu vincente, e grazie al lavoro di squadra i due riuscirono a portare a termine con successo la fecondazione in vitro, innescando lo sviluppo dell’embrione con la divisione cellulare. Le difficoltà maggiori, però, riguardavano l’impianto: dopo poche settimane le donne abortivano, oppure l’embrione si annidava fuori dall’utero, come riportarono i due ricercatori su Lancet nel 1976, con il caso di una gravidanza extrauterina nelle tube.

I successi comunque, anche se limitati, facevano bene sperare. Così nel 1977 Lesley e John Brown decisero di affidarsi a Edwards per cercare di avere quel figlio che in nove anni di tentativi non era ancora arrivato (Lesley infatti soffriva della chiusura delle tube di Falloppio). Edwards propose loro la nuova tecnica di fecondazione in vitro, e i coniugi di Bristol accettarono: il 10 novembre del 1977 venne eseguita la fecondazione di un ovocita di Lesley con lo sperma del marito, dando vita a un embrione che allo stadio di otto cellule fu impiantato nell’utero della madre. Circa otto mesi dopo, il 25 luglio del 1978, all’ Oldham General Hospital nasceva una bambina sana, bionda e con gli occhi azzurri, di 2.608 kg: Louise Brown, il primo vero successo della fecondazione in vitro.

L’arrivo della piccola Louis fu uno degli eventi più popolari nei giornali dell’epoca e fu ripreso con tanto di telecamere (su Youtube il video della nascita), ma anche uno dei più discussi da religiosi e bioeticisti dell’epoca. L’entusiasmo per essere riusciti a dare un bambino a una coppia infertile fu però maggiore delle critiche, e nel 1980 Edwards e Steptoe fondarono la prima clinica interamente dedicata alle tecniche di procreazione assistita, la Bourn Hall Clinic, nel Cambridgeshire. Due anni dopo in casa Brown arrivò Natalie, nata anche lei grazie alle intuizioni di Edwards, che nel frattempo avevano aiutato almeno una quarantina di coppie nel mondo. Nel 2010 la quota è arrivata a quattro milioni, un traguardo che ha portato il suo ideatore Robert Edwards a Stoccolma a ritirare il Nobel per la Fisiologia e la Medicina.


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Fonte: Wired.it
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