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Il racconto della mia abduction di Maurizio Baiata

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2010 06:26
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04/10/2010 13:32





E’ ora di scrivere questa cosa. Dovevo farlo da mesi e mi rammarico del tempo passato, perche` la memoria in me tende a offuscarsi. Di quanto sto per raccontare esiste una registrazione in video, effettuata dalla regia di Open Minds, alla quale ho richiesto copia in dvd, per mia consultazione. Forniro` una ricostruzione piu` precisa, rivedendo il filmato della regressione cosciente condotta su di me tre mesi fa dalla dottoressa Ruth Hover. La proposta di tale regressione e relative riprese mi e` stata fatta dal regista Tom Ruffin, responsabile delle video produzioni di Open Minds, il quale sapendo della mia esperienza ha creduto opportuno richiedermi una testimonianza in “presa diretta”, senza bias o filtri. Ho accettato per la fiducia che ripongo in Ruth Hover, una donna straordinaria che si occupa da decenni di fenomeni di abduction.

Le persone in Italia che all’epoca ne vennero a conoscenza sono poche. Innanzitutto la mia seconda moglie Wendy d’Olive, che lavorava con me nella rivista “Stargate”. Poi Cristoforo Barbato, anche lui in redazione (un villino al 20mo km della via Nomentana, fuori Roma) e Corrado Malanga che informai telefonicamente la mattina dopo. Corrado e io eravamo gia’ fuori dal Cun.

L’anno doveva essere il 1999. Il mese credo Settembre. Il giorno non lo ricordo.

Era notte fonda. Mi sveglio sollecitato da un qualcosa che mi suggerisce di aprire gli occhi. Sono cosciente. Guardo la sveglia. Le 4 in punto. Dalle tapparelle filtra la luce fioca delle lampade dal giardino su cui si affaccia la mia stanza da letto, al secondo piano del villino) che e’ nella quasi oscurita`.

Sono sdraiato sul letto e noto sulla mia destra, a circa un metro e mezzo da me, il formarsi nell’aria di una nebbiolina giallastra fatta di corpuscoli luminosi che velocemente sembrano aggregarsi. E’ passato un minuto, perche` mi giro sulla sinistra e sul comodino la sveglia indica le 4.01. Mi dico che sono sveglio e che non sto sognando. Lucido, guardo. La nebbia si aggrega sino a comporre tre sagome, color arancio grigiastro. Due piccole figure, alte circa un metro, una piu` alta, circa 1 metro e 40. I contorni delle sagome diventano piu’ netti. Vedo le figure dal busto in su. Distinguo al loro interno in alto i visi. Inespressivi. Occhi grandi neri, bocche a fessura. Con la mano destra mi pizzico la coscia destra. Mi dico “ecco, sono qui per me”. Il piu’ alto, in qualche maniera simile al “dottore” descritto da Betty e Barney Hill, sembra ondeggiare sul busto, inclinandosi verso di me come facendo perno sul bacino. Il viso si avvicina. Nella testa sento le seguenti parole in Italiano, “Non avere paura Maurizio, non ti facciamo alcun male”.

Automaticamente scatta dentro di me una reazione istintiva, verbale.

Rispondo cosi’: “Non vi conviene”. Credo intuiscano quello che intendo dire. Che non mi faccio prendere. Mi stupisco un po’ di questa mia frase. Non aspetto la loro replica. Mi sembra che comunichino all’unisono mediante il piu’ alto. Non mi interessa. Mi giro dall’altra parte, guardo l’orologio, sono le 4.03. Mi dico che loro se ne sono andati e che posso tranquillamente riprendere a dormire. Mi addormento.

Al risveglio al mattino ricordo immediatamente tutto. Lo racconto a Cristoforo, anche lui appena sveglio (dorme nella sua stanza al primo piano. Aspetto l’arrivo di Wendy e glielo racconto. Poi chiamo telefonicamente Malanga e glielo riferisco. Mi dice che possiamo vederci e fare una regressione se lo desidero. Gli rispondo “no grazie, perche’ tanto non e’ successo niente”.

Sono certo di aver avuto un contatto che pero’ si e’ interrotto grazie ad una mia reazione automatica di autodifesa (praticavo il Karate da molti anni) che ha indotto i miei visitatori a desistere. Restero’ con questa falsa convinzione fino a tre mesi fa. Nell’arco degli ultimi 4-5 anni pero’ ne ho parlato con molte altre persone e pubblicamente, in occasione di conferenze alle quali ho preso parte come relatore, in Italia e negli USA. Lentamente, nel tempo, ho cominciato a nutrire il sospetto che le cose non fossero andate esattamente come le ho appena descritte e ho sempre creduto fossero avvenute. Non avevo piu’ la certezza, quasi incrollabile di prima, soprattutto perche’ avevo maturato una diversa consapevolezza grazie alle tante persone addotte con le quali ero venuto a contatto. Le loro esperienze e il graduale processo di presa di coscienza rappresentavano un vissuto reale, in parallelo fra noi. Veniva quindi a galla molto lentamente, questa cosa cosi’ tanto interiore da essere quasi impiantata nel subconscio. A meno che non ci fossero stati traumi tali da stravolgere la loro vita quotidiana, il meccanismo di “rimozione” e o di estraniamento dalla diversa realta’ prospettata dall’esperienza (che io ricordavo aver vissuto coscientemente sino in fondo) funzionava. Con me aveva funzionato. Insomma, galleggiavo nel dubbio. E ho continuato cosi’ sino all’incontro con Ruth McKinley Hover, psicoterapeuta di Fountain Hills, Arizona. Dopo diversi incontri durante conferenze varie, ho sentito la necessita` di dire a Ruth cosa mi era accaduto. Le riferii tutto. Ovviamente, anche come credevo fosse andata a finire. Mi disse subito che, volendo, si poteva andare piu` in la` e io la ringraziai per l’invito declinandolo, o almeno soprassedendo.

Poi, tre mesi fa, un pomeriggio Ruth e` arrivata negli uffici di Open Minds, dove lavoravo. Seduti al grande tavolo rosso della redazione le ho riassunto la storia. Ruth mi ha detto che era stata invitata per un’intervista e una session di regressione. Tom Ruffin a quel punto e` intervenuto nella conversazione chiedendomi se mi andava di sottopormi al test. Ho risposto di si`.

Lo studio televisivo di Open Minds e` perfettamente attrezzato. Ci sistemiamo su due comode poltrone, Tom e’ regista e operatore.

Ruth mi invita a tornare all’esperienza della quale sappiamo. Mi chiede di descrivere cosa succede. Parliamo tranquillamente.



Ruth con voce gentile mi invita a rilassarmi, a mettermi comodo e a ritornare a quei momenti. Il mio sguardo vaga nella sala, osservo la telecamera fissa davanti a noi che riprende (ce n’e’ una seconda, laterale sulla sinistra). Tom dietro la camera sorride un po’ sornione. Mi sembra di ricordare di avergli detto qualcosa tipo “E se mi metto a parlare in Italiano, invece che in Inglese?” Mi fa cenno di stare tranquillo. Nella sala accanto i tecnici seguono la registrazione. Quadra tutto nella circostanza reale nella quale mi trovo. Mi rilasso nella poltrona comoda. Prima ci sprofondo dentro, ma mi sento di dovermi tirare in su, sul busto e lo faccio. Socchiudo gli occhi e paff!!! Avviene qualcosa. Mi sento investire come da un lampo di luce intensa che proviene dall’alto del lato sinistro dello studio di registrazione. E lo dico subito a Ruth, “Hey, qui c’e’ una luce forte!”. Ruth mi chiede di tornare al momento in cui quegli esseri erano li’ con me, nella mia stanza. “Cosa vedi?” Ecco. Occhi socchiusi, descrivo. Mi trovo in un ambiente buio. So di essere in piedi. Davanti a me, a circa tre metri da me, appare, come sotto la luce di un debole riflettore, un divano molto grande, colore indefinibile, grigio o beige scuro. Ambiente oscuro, squallido e disadorno. Una stanza senza finestre. Sedute sul divano ci sono quattro persone. La prima, sulla sinistra la riconosco immediatamente. E´ M. B., una mia cara amica romana, che vive a New York da dieci anni ed e’ un’addotta. Le altre persone (credo siano tutti uomini) non le conosco. Sono sedute e mi sembra abbiano le mani poggiate sulle ginocchia, l’espressione sui visi e’ assorta, quasi imbambolata. I loro visi sembrano leggermente inclinati in avanti. Ai lati del divano, in piedi, ci sono due esseri, evidentemente di tipo grigio. Altezza non superiore a un metro. Sembrano svolgere la funzione di custodi, o controllori. Non esprimono nulla. Cerco di fissare negli occhi quello che mi appare sulla destra, che vedo meglio. Ma il contatto visivo non avviene. Nello stesso istante pero’ un altro flash di luce mi inonda la mente, ma ho la sensazione stia veramente invadendo lo studio di registrazione. Sono in grado di vedere lucidamente quello che avviene nello studio, ma sono anche in grado di connettermi con la “visione” della mia esperienza di tanti anni prima. E´ come schiacciare un bottone del telecomando e passi istantaneamente su un altro canale. Solo che questo canale non lo sto scegliendo, ne’ lo sto cambiando io. “Ahhhhh… ma allora non era finita li’….. “. Lo dico a Ruth. “Ora chi c’e’ li’ con te?” mi chiede. “Oh, c’e’ qualcuno alle mie spalle, io sono in piedi, si’, sento una presenza dietro di me, e ora sento due mani che si appoggiano sulla schiena e spingono decisamente in avanti. Cerco di opporre resistenza. E ora davanti a me c’e’ un altro essere, alto piu’ o meno come me, anche questo apparentemente grigio, ma non riesco a distinguere alcun lineamento e’ come un’ombra scura, che mi si para davanti. Le loro mani ora spingono insieme, verso il basso e delicatamente mi ritrovo sdraiato sul pavimento (se lo e’). Hanno agito all’unisono, imprimendo una forza strana. Non capisco se sono immobilizzato o meno. (Penso) mi sto agitando. Ormai percepisco perfettamente la situazione. Di certo sento aumentare le pulsazioni. Guardo Ruth, che mi scruta con espressione dolce, un po’ da mamma. Tranquillo, va tutto bene, puoi lasciarti andare, sai come fare…”. La scena non cambia, ma c’e’ un altro flash luminoso, intenso. Ed ora osservo e vedo me steso e i due esseri ai miei fianchi. Le loro mani sono poggiate sul mio ventre. “Cosa fanno le loro mani?” mi chiede Ruth. Armeggiano – rispondo. E ora all’istante mi vedo indietro nel tempo, all’Aprile 1971, alla sera in cui a seguito di un incidente stradale mi ritrovai in coma al Policlinico di Roma. Passai la notte in un letto in una grande sala con tanti altri ricoverati. Una notte insonne, trascorsa, ne sono certo, fra la vita e la morte. Vissi una NDE (Near Death Experience) il ricordo cosciente della quale riaffioro’ soltanto molti anni dopo. Vidi tutto, la luce, il tunnel e un viaggio a ritroso e in avanti nel tempo a velocita’ superluminale. La sensazione di abbandono totale che mi attraeva verso la fine del tunnel di luci vorticose tutte intorno a me, portava a una luce ancora piu’ abbagliante, ma che non feriva gli occhi, avvolgente come il piu’ tenero e focoso degli abbracci d’amore. Nulla di mistico. Poi il dolore mi riportava indietro. Il dolore allucinante allo stomaco, lacerato e inondato di sangue, aveva nuovamente il sopravvento. Tornava violentissimo. Andava e veniva a intervalli di 10 minuti circa e io viaggiavo, avanti e indietro. In stato di coscienza il dolore segnalava la vita. In stato di incoscienza, la sensazione di beatitudine segnalava la morte.

Mi operarono allo stomaco, con grave ritardo rispetto all’ora di ricovero, quasi la mattina dopo. Al mio risveglio, aprendo gli occhi, mi vidi in una stanza d’ospedale, con mia madre e mio fratello accanto. Guardavo la scena dall’alto, mi trovavo infatti in astrale vicino al soffitto e vedevo tutto. Fu la seconda parte dell’esperienza di pre morte, nella fase OBE.

“Ruth…. Ma c’e’ un collegamento fra quello che vedo ora e quella esperienza di pre morte?” le chiedo. Nel farlo capisco che sono ancora perfettamente in grado di determinare gli stati della realta’ che sto vivendo. Il contatto con gli alieni nel 1999.

L’esperienza di pre morte del 1971. Sono collegati. Non so se siano la stessa cosa. Non so se gli alieni quella notte del 71 erano li’ accanto a me. So per certo che il racconto della mia esperienza di abduction andava ben oltre il momento in cui avevo creduto di averli mandati via. Con buona pace chi sa perche’ della mia coscienza (forse quel barlume di razionalita’ che ancora fa capo in me, in rare occasioni) mi avevano preso e, senza che io mi fossi reso conto di nulla, mi avevano portato altrove e avevano operato su di me. Bene. Erano ancora li’, mentre seguivo la scena che Ruth mi invitava ancora a descrivere. Ma non c’e’ molto da aggiungere. Sono gli ultimi scampoli di una visione. Che svanisce molto velocemente. Ad occhi bene aperti ora. Chiedo a Ruth come e’ andata secondo lei. “Bene, Maurizio, hai ricordato molto. Cosa ne pensi?” “Penso… beh, grazie Ruth, ora so come e’ andata davvero… penso… che tipo di ipnosi abbiamo praticato?”. “Ti sei solo rilassato e sei entrato nell’altra dimensione”. “Cosa? Vuoi dire la dimensione dove ci sono loro e alla quale possiamo accedere anche noi?” La incalzo. “Si’, hai aperto la porta giusta, vedi, puoi farlo altre volte se vuoi, anche da solo.” “Ma e’ solo questione di tecnica?” le chiedo. Sorride. E´ ora di andare.

Un mese dopo, circa, Ruth mi scrive, in un biglietto che accompagna un libro che mi consiglia di leggere: “Sapevi che i due esseri alti che sono con te hanno occhi dorati? Sono alti, magri e le iridi dei loro occhi sono color oro!!!”.

Credo sia necessario vedere la registrazione della mia regressione. Mi manca ancora qualcosa. Senno ci metto altri dieci anni a capire.

fonte: Maurizio Baiata (Note Facebook)




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