I campi di lavoro e di prigionia della Corea del Nord
Voglio fare una pausa con gli Aerei classificati X per parlare di questo argomento, molto più serio e che hai più sembra incredibile per l'epoca in cui viviamo. Sono passati decenni dai campi di concentramento tedeschi di Hitler ma questi non sono scomparsi nel mondo.
Continuano ad esistere e portano con loro le stesse atrocità e sofferenze.
Ecco due articoli che testimoniano cosa succede in uno dei Paesi più chiusi al mondo esterno:
Svelato l'orrore di una camera a gas in un gulag nordcoreano.
Una serie di scioccanti testimonianze sta facendo luce sul Campo 22, uno dei piu' orribili segreti dello stato.
Haengyong è nell'angolo nord-est della Corea del Nord, nelle vicinanze del confine con Russia e Cina. Nascosta tra le montagne, questa piccola città è la base del Campo 22 - il più grande campo di concentramento della Corea del Nord, dove sono detenuti migliaia di uomini, donne e bambini accusati di crimini politici.
Ora, è noto anche che vi muoiono in migliaia ogni anno, e che le guardie della prigione marchiano il collo dei figli dei prigionieri per ucciderli.
Lo scorso anno testimonianze di prima mano da fuggiaschi nordcoreani avevano già fatto luce su uccisioni e torture; stanno ora emergendo agghiaccianti che le mura del Campo 22 nascondono un segreto ancora più diabolico: camere a gas dove si conducono orribili esperimenti chimici su esseri umani.
Dei testimoni hanno detto di aver visto intere famiglie messe in stanze di vetro per venir poi "gasate". Sono state lasciate ad agonizzare fino alla morte, mentre gli scienziati prendevano appunti. Le prove fornite danno un'immagine ancora più scioccante di quella che si aveva del regime nordcoreano di Kim Jong-il.
Kwon Hyuk, che ha dovuto cambiare nome, era l'ex capo militare dell'ambasciata nordcoreana di Beijing. E' stato anche capo del management del Campo 22. Nel documentario "This World" della BBC in onda stasera, Hyuk afferma che ora vuole far sapere al mondo cosa sta succedendo.
"Ho visto personalmente un test in cui un'intera famiglia è stata soffocata e uccisa coi gas, in una camera a gas", dice. "I genitori, un figlio e una figlia. I genitori, pur vomitando e agonizzando, fino all'ultimo momento hanno tentato di salvare i bambini facendo loro la respirazione bocca a bocca".
Hyuk ha tracciato diagrammi dettagliati della camera a gas che ha visto: "si tratta di un alloggiamento di vetro chiuso ermeticamente. E' largo 3,5 metri, lungo tre, e alto 2,2; vi e' un tubo che può iniettarvi gas all'interno. Normalmente una famiglia viene messa tutta insieme, mentre i prigionieri singoli stanno attorno agli angoli. Gli scienziati osservano l'intero processo dall'alto, attraverso il vetro".
Spiega anche come ha potuto credere giustificato un simile trattamento. "All'epoca ritenevo che si meritassero davvero una morte simile, perche' noi tutti venivamo indotti a credere che tutte le brutte cose che stavano avvenendo nella Corea del nord fossero dovute ai loro errori; e poi che eravamo poveri, divisi, e non facevamo progressi come paese".
"Sarebbe la menzogna più totale per me dire che provavo almeno simpatia per i bambini che morivano di una morte così dolorosa. In quella società e sotto quel regime, sono convinto di essere stato il solo all'epoca a pensare che quelli erano nemici. Così, non sentivo alcuna simpatia o pietà per loro".
La sua testimonianza è sostenuta da Soon Ok-lee, che è stata imprigionata per sette anni. "Un ufficiale mi ordinò di scegliere 50 prigioniere di buona salute", dice. "Una delle guardie mi diede un cesto pieno di cavoli trattati; non per me, ma per darne a quelle 50 donne. Ne diedi loro e sentii urla da quelle che ne avevano mangiato. Gridavano tutte e vomitavano sangue. Tutte quelle che avevano mangiato le foglie di cavolo cominciarono a vomitare violentemente sangue, e a gridare per il dolore. Fu un inferno. In meno di venti minuti erano pressochè tutte morte".
I fuggiaschi sono riusciti a portar fuori documenti che sembrano rivelare con quale metodicità si procedesse con esperimenti chimici. Uno, con su stampato "top secret" e "lettera di trasferimento" è datato febbraio 2002. Il nome della vittima è Lin Hun-hwa, un uomo di 39 anni. Il testo dice: "la persona di cui sopra è trasferita al... Campo 22 allo scopo di sperimentazione umana di gas liquidi per armi chimiche".
Kim Sang-hun, un difensore dei diritti umani della Corea del nord, afferma che il documento è vero: "ha il formato nordcoreano, la qualità della carta è nordcoreana, ed ha un timbro ufficiale delle agenzie coinvolte con la sperimentazione su esseri umani. Un timbro che non possono negare. E riporta il nome della vittima, ed anche dove e perchè e come queste persone sono state sottoposte ad esperimenti".
Il numero di detenuti nei gulag nordcoreani è sconosciuto; una stima parla di duecentomila persone tenute in dodici centri o più. Si pensa che nel Campo 22 ve ne siano cinquantamila.
Molti sono imprigionati a causa della sola relazione di parentela [con altri prigionieri politici] e sono considerati particolarmente pericolosi dal regime. Molti sono cristiani, una religione che Kim Jong-il crede sia una delle più grandi minacce al suo potere. Secondo il dittatore, non solo va arrestato il sospetto dissidente, ma anche i suoi familiari fino a tre generazioni, per sradicare il cattivo sangue ed il seme del dissenso.
Mentre la Corea del Nord tenta di guadagnare concessioni in cambio della riduzione del suo programma nucleare, [da parte nostra] si chiede che in qualsiasi tipo di accordo vengano tenuti in considerazione i diritti umani. Richard Spring, portavoce per gli affari esteri dei conservatori, sta facendo pressione alla Camera dei Comuni perchè si discuta sui diritti umani nella Corea del Nord.
"La situazione è assolutamente terribile", ha detto Spring. "E' del tutto inaccettabile da tutte le regole della società civile. E' ancora più urgente convincere la Corea del Nord a smettere di cercare di procurarsi armi di distruzioni di massa, non solo per la sicurezza della regione ma anche per il bene della sua popolazione".
Mervyn Thomas, direttore di Christian Solidarity Worldwide, ha detto: "per troppo tempo queste orrende sofferenze del popolo nordcoreano, specialmente le persone detenute in campi di prigionia indicibilmente barbari, hanno incontrato solo il silenzio... E' di importanza fondamentale che la comunità internazionale non continui a essere cieca verso queste atrocità, atrocità che dovrebbero pesare decisamente sulla coscienza mondiale".
di Antony Barnett, tratto da: The Observer, 1.02.2004.
Fonte: storia libera.It
Noi due, nordcoreani sopravvissuti ai lager nel Paese delle torture.
La fame. Una fame atroce, che ti fa contendere il cibo ai cani. La voglia di morire. Una voglia disperata, che ti spinge a tentare il suicidio senza avere abbastanza energia per farcela. Storie di miseria estrema e indicibile crudeltà. Voci dalla Corea del Nord, dai lager dove si rimane rinchiusi per anni e anni. A causa di
«qualcosa che fece mio nonno, e non so cosa fu». E il caso di Kim Hye-suk, fuggita nel 2008 dal «campo numero 18». Oppure perché «alcuni parenti di mia mamma durante la guerra scapparono al Sud», come racconta Kim Kwang-il, che ancora oggi, sette anni dopo l’evasione, è costretto ogni notte a bere alcoolici per addormentarsi.
Per svincolarsi dalla memoria delle percosse subite, del cibo negato, dei corpi martoriati abbandonati a terra insepolti. Solo per essere ghermito dai ricordi subito dopo in un sonno zeppo di incubi.
Ospiti a Roma del Partito radicale, Hye-suk e Kwang-il descrivono il loro personale inferno, così atrocemente simile a quello di altri 150mila detenuti politici, secondo i calcoli della ong sudcoreana «Comitato di indagine sui crimini contro l’umanità». Hee-suk sopraffatta dall’emozione, scoppia ripetutamente in lacrime. «Si alternano le stagioni, per me è il tempo immutabile del dolore». Kwang-il apparentemente impassibile, srotola l’elenco delle nefandezze viste e patite con lo stesso inalterato tono
di voce, rigidi i lineamenti del volto, quasi pietrificati in una crosta d’abitudine al male.
Aveva 13 anni Hye-suk, quando gli agenti la bloccarono al ritorno da scuola. Cinque anni prima le avevano portato via i genitori, senza dirle dove, senza spiegarle perché. Ricongiunzione familiare. Hye-suk ed i fratellini raggiungono la mamma in prigione, a Bukchang. «Non la riconoscevo più. Terribilmente invecchiata. Pallida, scheletrica, la pelle rugosa coperta di piaghe. Ci misero tutti in una capanna lurida, una ex-stalla senza tetto». Da mangiare nient’altro che un chilo di grano a testa al mese. Estenuanti lavori forzati. Disperata la continua ricerca di verdure selvatiche da strappare al terreno per vincere i morsi della fame. Il cibo, un’ossessione. Detenuti guadano il fiume Daedong. Sulla riva opposta un altro lager, altre guardie, altri orrori. Ma cresce qualche spiga di mais. Li prendono, li legano a un albero, gli sparano sei colpi di pistola ciascuno. Davanti a tutti, affinché non si ripeta più. «E invece ogni anno venti, trenta persone ci riprovavano, venivano prese e ammazzate».
In prigione Hye-suk sposa un compagno di sventura. Nascono due bambini. Il marito muore in miniera. I figli scompaiono in un’alluvione. Lei tenta di avvelenarsi, sopravvive. Fugge in Cina. Un giorno riattraversa il confine e viene catturata. La rimandano a Bukchang. Ritrova i fratelli. La stessa razione di prima ora deve bastare anche per lei. Dividono quel nulla. Nella loro cella vigono ancora regole di umana solidarietà. Ma Hye-suk vede «genitori divorare la zuppa dei figli». Vede una mamma vendere il proprio ragazzo malato e mutilato per sedici chili di grano. Riesce miracolosamente a scappare una seconda volta e raggiunge la Corea del sud. Ai figli, scomparsi nel nulla, manda un messaggio straziante: «Nel paese delle torture mamma non è mai riuscita a darvi un pasto caldo. Perdonatemi».
Nella Repubblica popolare democratica di Corea il sospetto di infedeltà verso il regime è sufficiente per finire dietro le sbarre. Era così sotto il «grande leader» Kim Il-sung. Così resta con il figlio e successore, il «caro leader» Jong-il. Così potrebbe continuare dopo il probabile passaggio di consegne al terzo rampollo del potente casato, Jong-un. Mentre la tirannia del comunismo dinastico coreano si perpetuava nei decenni, le condizioni materiali di vita della popolazione peggioravano. La carestia fra il 1995 ed il 1998 ha falciato tre milioni di individui. Il World food programme dell’Onu calcola che il 40% dei cittadini rischi la morte per fame. Pyongyang alterna richieste di aiuto al mondo esterno con improvvisi irrigidimenti isolazionisti e iniziative minacciose. Lanci di missili, esperimenti atomici, sino al recentissimo affondamento di una nave del Sud. La diplomazia del dialogo intercoreano varata da Seul nel 2000 è sembrata a tratti preludere a cambiamenti importanti a nord del trentottesimo parallelo. Gli spiragli negoziali si aprono e si chiudono. Terrore e miseria perdurano. I superstiti raccontano. Kim Kwang-il viene arruolato a forza nell’esercito a 18 anni nel 1981. La base 898 di Musan è un luogo di punizione per i reprobi, colpevoli di discendere da «famiglie malsane», cioè politicamente inaffidabili.
Dal servizio militare al lavoro in miniera. Sempre nello stesso luogo. Ogni tanto varca la frontiera e cerca di guadagnare qualcosa in Cina. I suoi viaggi avanti e indietro destano sospetto. Il sospetto diventa certezza quando gli trovano in casa una Bibbia e una lettera ricevuta da una zia emigrata in Canada.
Kwang-il è bollato come una spia. Lo rinchiudono di nuovo a Musan. Lo massacrano di botte. Una mazzata gli rompe tutti i denti. Una bastonata gli frattura la nuca. Lo legano alle inferriate in modo che non possa né sedersi né stare in piedi. La fame lo strazia. Vede qualche osso nella ciotola di un cane. Implora le guardie di passargliela. In risposta ottiene solo un calcio alla scodella e risate di scherno. Il supplizio dura otto mesi. Alla fine confessa colpe che non ha commesso. I carnefici hanno l’involontaria onestà di ammettere l’inutilità di interrogatori svolti nella presunzione di colpevolezza dell’imputato: all’udienza partecipa imbavagliato. Finisce nel carcere speciale di Yodeok. Controlli rigidissimi. «Accompagnati perfino in bagno, legati gli uni agli altri a gruppi di tre». Tredici ore di lavoro forzato. La sera 120 minuti di indottrinamento. Chi non impara a memoria il pensiero del «grande laeder» e del «caro leader», non ha diritto al riposo notturno. Kwang-il, ormai considerato un pericoloso oppositore, è contento quando lo assegnano al reparto agricolo. «Almeno non morirò di fame». Ma la sorveglianza accanita vieta ai galeotti di appropriarsi di un solo chicco di grano. Oppure le guardie lasciano fare, dopo avere spruzzato i semi di pesticida. Il rischio di ammalarsi non trattiene gli affamati. Mangiano anche quel veleno. «Divoravi qualunque cosa riuscissi a scovare, che non fosse un sasso». Gli aguzzini organizzano il cottimo della fame e della morte. Chi più raccoglie, più grammi di grano avrà da mandar giù. Poco conta se molti non ce la fanno, rimangono senza cibo sufficiente, si spengono. Denutriti, sfiniti. Nel campo di Yodeok i carcerieri organizzano gare sportive per sconfiggere la noia dei lunghi inverni. I detenuti devono trascinare la legna degli alberi segati in montagna giù per quattro chilometri sino al porto. Un trofeo attende coloro che ne avranno portata di più: un pasto a base di grano. Tutti a correre giù per il pendio, spingendosi a vicenda e inneggiando al miraggio del premio che li attende a valle. «Nella ressa spesso qualcuno cadeva giù nel precipizio. Gli ufficiali guardavano, ridevano, si divertivano».
Kwang-il tace un attimo. Il pensiero corre ad una donna, che nel campo di Musan ha visto «picchiare nuda ogni giorno per tre o quattro mesi. Finché un giorno le hanno messo un sacco in testa e le hanno sparato. Non riesco a capire come essere umani possano fare certe cose, come un essere umano possa essere trattato così. Non vi nascondo che un giorno ho tentato di ammazzarmi. Non ci sono riuscito»
di Gabriel Bertinetto, L'Unità.
[Modificato da _Thomas88_ 30/06/2010 12:43]