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Ultimo Aggiornamento: 05/04/2016 21:00
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Utente Master
26/11/2011 12:01

Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:
Delta.Force, 26/11/2011 11.21:






Eone,per quanto riguarda il tipo che sta interpretando la bibbia vedendoci gli extraterrestri,il fatto è che Biglino è un vero traduttore dall'ebraico antico,cosa che non erano i suoi precursori alla Von Daniken,Kolosimo ecc.ecc.L'interpretazione autentica che dà della bibbia in certi punti è interessante,anche se poi per me salta a conclusioni affrettate quando deduce che i cosiddetti elohim venivano da altri mondi.Non so se hai dato una letta ai suoi libri.




Non mi riferivo di certo a Kolosimo e Von Daniken bensì a ricervatori come come Doron Witztum, Eliyahu Rips e Yoav Rosenberg

www.ma.huji.ac.il/rips/Tribes.html

La loro pubblicazione sulla rivista scientifica Statistical Science (1994, vol.9, n.3, 429-438) col titolo "Equidistant Letter Sequences in the Book of Genesis"

cs.anu.edu.au/~bdm/dilugim/Nations/WRR2/index.html

Senza voler levare niente a Biglino sono film già visti .

Altri ricercatori.

www.biblecodedigest.com/page.php?PageID=26






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Utente Illuminato
26/11/2011 13:30

Infatti l'errore di questi personaggi è quello di essere influenzati dalle loro stesse opinioni personali,il che contribuisce non poco a inquinare le loro argomentazioni di una certo tasso di faziosità.Ma in fondo questo discorso vale per tutti.
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Utente Illuminato
26/11/2011 13:47

....ed è chiaro che chiunque,in questo oceano di faziosità,decidesse di ascoltare diversi punti di vista,dopo un pò finirebbe col non capirci più un accidente.
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Utente Master
26/11/2011 14:01

Dimenticavo di dire che le teorie sono state smontate sistematicamente, c'è da considerare una cosa


italiano.skepdic.com/codicegenesi.html

www.math.washington.edu/~greenber/BibleCode.html

Il problema è che la bibbia è cambiata nelle diverse traduzioni e copie, questo volontariamente o involontariamente, da essere un libro completamente diverso.

E sufficiente ricordare lo scempio fatto con il passo di Isaia 14,11-15, da cui si sono inventati Lucifero i cari signori detentori della religioni, per capire che la lettura di quel libro in chiavi astruse porta da ben poche parti, John Marco Allegro decifrò alcuni papiri delle grotte di Qumran ma si beccò diversi anni di manicomio [SM=g8245]

« Negli inferi è precipitato il tuo fasto,
la musica delle tue arpe;
sotto di te c'è uno strato di marciume,
tua coltre sono i vermi.
Come mai sei caduto dal cielo,
Lucifero, figlio dell'aurora?
Come mai sei stato messo a terra,
signore di popoli?
Eppure tu pensavi:
Salirò in cielo,
sulle stelle di Dio
innalzerò il trono,
dimorerò sul monte dell'assemblea,
nelle parti più remote del settentrione.
Salirò sulle regioni superiori delle nubi,
mi farò uguale all'Altissimo.
E invece sei stato precipitato negli inferi,
nelle profondità dell'abisso! » (Isaia 14,11-15)
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Utente Veterano
27/11/2011 00:22


Pallottola nel passato



Nel museo di Storia Naturale di Londra si trova un teschio datato circa 38.000 anni fa, periodo Paleolitico, rinvenuto in Zambia nel 1921. Sulla parete sinistra del teschio c’è un foro perfettamente rotondo. Stranamente non ci sono linee radiali attorno al foro o altri segni che indichino sia stato prodotto da un’arma, una freccia o una lancia.
Nella parete opposta al foro, il teschio è spaccato e la ricostruzione dei frammenti mostra che il reperto è stato rotto dall’interno verso l’esterno, come si fosse trattato di un colpo di fucile. Esperti forensi dichiarano che non può essere stato nulla di diverso da un colpo esploso ad alta velocità con l’intenzione di uccidere.
Chi possedeva un fucile 38.000 anni fa? Certamente non l’uomo delle caverne, ma forse una razza più avanzata e civilizzata.
Un altro caso simile viene citato dal giornalista Victor Louis dalla Russia, il quale riferisce che nel Museo di Paleontologia di Mosca si trova un cranio perfettamente conservato di un bisonte dalle lunghe corna rinvenuto nella Yakuzia (Siberia orientale). Secondo i paleontologi tale specie sarebbe vissuta dai 30.000 ai 70.000 anni fa. Al centro della sua fronte è visibile un foro rotondo che, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere stato causato da una pallottola.
Il teschio di Moia
Moia’ è un comune di circa 5.000 abitanti, situato a circa 40 km a nord di Barcellona (Catalogna-Spagna). In prossimità di Moia’ si trova Cova del Toll, una cavità naturale sotterranea, coperta da un corso d’acqua che è stato usato come un insediamento umano dalla fine del Paleolitico al Bronzo. Queste grotte note come Toixoneres sono servite da rifugio e camere di sepoltura. Gli scavi cominciarono negli anni Cinquanta (l’ingresso principale è stato scoperto il 29-10-1954) la prova della presenza di una ricca fauna in questo luogo fa si che sia considerata dagli esperti come uno dei settori con una maggiore ricchezza di specie di animali del Quaternario, e che corrisponde all’ultima glaciazione di tale epoca anche detto periodo Wurm. La grotta ha una profondità di 1.148 metri, mentre solo 158 possono essere visitati dalla Cova del Sud Tollcorresponden alla Galleria, che è quello che è stato occupato dal primitivo Neanderthal e successive razze.
E ’stato in questa grotta dove hanno trovato i resti di numerosi ominidi tra i ritrovamenti si evidenzia il cosiddetto Teschio di Moia’. Si tratta di un esemplare di Cro-Magnon che ha vissuto in quella zona circa 10.000 anni fa e morì a un’età troppo avanzata per l’epoca, 60 anni. Apparentemente, è stato colpito da varie malattie come l’artrite reumatoide e l’osteoporosi diffusa.
Lo scheletro è molto ben conservato e ciò che attira l’immediata attenzione del visitatore è una perforazione perfettamente circolare che può essere visto al centro dello osso frontale del cranio e che immediatamente ci fa pensare all’impatto di un proiettile.Come in altre occasioni, non è stata valutata la possibilità che la perforazione sarebbe stata prodotta dall’impatto di una pietra in fronte o la forte punta di uno degli strumenti usati da uomo primitivo. Tuttavia, un danno di questo tipo avrebbero prodotto un buco molto più irregolari, ne si è presa in considerazione la possibilità di una trapanazione poichè le dimensioni del buco e anche la sua posizione, sembravnoa escludere questa ipotesi.
Infine, gli esperti hanno concluso che questo ominide aver subito un brutta infezione al dente nella mascella superiore e, di conseguenza, aveva sviluppato una infezione dei seni nasali che danneggiò osso frontale. Gli esperti concordano sul fatto che questo, però, non è stata la causa della sua morte e che è sopravvissuto alla malattia.
Questa spiegazione, forse apparentemente poco plausibile, ma ciò, sembrava rispondere alle questioni sollevate, e sicuramente molto più normale per gli esperti che così non hanno dovuto affrontare l’ “assurdo” teoria che il buco era stato causato da qualcosa di simile di un moderno proiettile. Una dettagliata osservazione del buco del cranio, sembra dimostrare che il foro sia stato fatto dal’esterno verso l’interno dell’osso. Vi è un chiaro ripiegamento dell’osso verso l’ interno, e può essere vista una leggera angolazione di entrata da destra a sinistra. Tutto questo, più esattamente l’ordine e la perfetta rotondità del buco, suggerisce un trauma da ferita probabilmente causato da un impatto esterno, smentendo tutte le teorie mediche constatate in precedenza da medici, il mistero rimane.


Fonte: expianetadidio.blogspot.com/2010/06/pallottole-contro-neandert...
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Utente Veterano
27/11/2011 00:36

Da secoli, nel folklore amerindo, vi è traccia di misteriosi indios dalla pelle bianca a custodia di perdute città sotterranee e di gotte inviolabili quanto inaccessibili. Tra verità e leggenda, ecco la cronaca documentale dei “figli degli dei”.
di Alfredo Lissoni

La leggenda di certe misteriose gallerie fra Centro e Sudamerica, che ospiterebbero civiltà perdute, gira da oltre mezzo secolo anni sia negli ambienti esoterici che nei più paludati circoli archeologici, oltreché che fra gli esploratori; in tempi più recenti, con l’aumentato interesse per le storie di UFO e alieni, esse hanno avuto gli onori della ribalta grazie ad un libro del saggista svizzero Erich Von Daeniken, “Il seme dell’universo” (Ferro edizioni, 1972), in cui si raccontava la storia, completamente inventata, dell’esistenza di caverne scavate millenni or sono dagli alieni in Ecuador. Von Daeniken sosteneva di essere stato portato nelle grotte della Cueva de los Tajos dall’archeologo Juan Moricz, e di avervi trovato tesori, gioielli raffiguranti astronavi ed un tavolo e sette scranni in pietra, istoriati nella notte dei tempi. A seguito di queste rivelazioni, si mossero oltre duecento spedizioni archeologiche da tutto il mondo, ma si scoprirono solo delle grotte levigate da un fiume, senza traccia alcuna di E.T.
Tuttavia, nel 1978, un libro dei documentaristi Marie-Therese Guinchard e Pierre Paolantoni (“Les intraterrestres”, gli intraterrestri; Lefeuvre edizioni) rilanciava la leggenda. Questa volta a parlare era “Yan”, pseudonimo di un archeologo ungherese che avrebbe trovato, nella zona peruviana di Madre de Dios l’accesso al mondo sotterraneo degli “intraterrestri”.
“Esistono, io li ho visti”, sottotitolava il libro, che mostrava una serie di foto sfuocate delle caverne ed i disegni di due grotte sotterranee, contenente la prima una colonna di quarzo brillante in grado di rischiarare l’ambiente (e realizzata dagli intraterrestri); la seconda, il tavolo ed i sette troni citati da Von Daeniken nel suo libro del 1972. In realtà, osservando la foto di “Yan”, pur se sfuocata, si
notava una straordinaria rassomiglianza con l’archeologo Juan Moricz!
Facile dunque pensare che fosse quest’ultimo (che ha sempre negato il suo coinvolgimento con lo scrittore svizzero) ad inventare ed a spacciare ai vari turisti per caso improvvisati la storia (peraltro identica) dei sette scranni del mondo sotterraneo!

Indios dalla pelle bianca

Tutte leggende, dunque? Forse. E forse no. Già nel 1941 due americani, David e Patricia Lamb, dopo un viaggio in Chiapas (Messico), sostenevano di avere scoperto una tribù di indios molto agguerriti, di bassa statura, di pelle chiara, che erano i guardiani di una vasta rete di gallerie sotterranee; vennero ricevuti dal presidente Roosevelt, che volle sapere ogni dettaglio.
Tali indios, secondo alcuni ufologi, sarebbero i discendenti degli alieni scesi nel Continente America nella notte dei tempi, ed incrociatisi con i locali. Un celebre esploratore d’inizio secolo, il colonnello inglese Percy Fawcett, sparito nel Mato Grosso alla ricerca del “mondo sotterraneo”, confermò nel suo diario l’esistenza di indios amazzonici dalla pelle bianca. “A Jequie, un centro piuttosto grande che esportava cacao a Bahia, un vecchio negro di nome Elias José do Santo, ex ispettore della polizia imperiale, mi raccontò di indiani dalla pelle chiara e dai capelli rossi che vivevano nel bacino del Gongugy, e di una città incantata che trascinava sempre più avanti l’esploratore, finché svaniva come un miraggio. Seppi poi dei Molopaques, una tribù scoperta a Minas Gerais in Brasile nel secolo XVII; avevano la pelle chiara e portavano la barba; le loro donne avevano capelli biondo oro, bianchi o castani, piedi e mani piccoli, occhi azzurri”.
La vicenda degli indios bianchi è confermata anche da un altro esploratore, il professor Marcel Homet, archeologo, paleontologo, antropologo ed etnologo francese. Quest’ultimo, durante l’esplorazione dell’Amazzonia brasiliana, nella zona dell’Urari-Coera, si era imbattuto in due indios sbucati dalla foresta. “Senza alcun preavviso”, scrisse Homet nel libro “I figli del sole” (MEB edizioni), “la cortina di foglie della giungla si aperse e ci apparvero due indios bellissimi. Ci studiavano con attenzione, infastiditi dal fatto che puntassimo loro contro i nostri fucili. Ebbi agio di osservarli attentamente. Erano esseri umani di forme bellissime. Dove avevo visto degli esseri simili? Ma certo, in Arabia! I nasi aquilini, le fronti spaziose, gli occhi grandi, spalancati, ed il colore chiaro della pelle…Erano uomini di razza bianca, veri mediterranei, progenitori, contemporanei o parenti di questa razza”.
I due indios vennero in seguito identificati da una delle guide del professor Homet come Waika, membri di una tribù assai poco conosciuta, “pericolosi e crudeli combattenti” che avevano la curiosa usanza di rapire donne dalla pelle bianca con cui accoppiarsi, forse per preservare il colore della loro pelle, oltremodo insolito in quelle regioni selvagge.
Homet citava anche un cercatore d’oro a nome Francisco Raposo, che nel 1743 si sarebbe imbattuto, ad oriente del fiume amazzonico Xing in due indios di una tribù sconosciuta, che alla sua vista se la diedero a gambe. Quegli indios avevano la pelle bianca.
La presunta tribù che vivrebbe nell’Amazzonia peruviana sarebbe stata oltremodo feroce.
Nell’estate del 1979 il Radio Club Peruviano di Cuzco segnalava di avere perso i contatti con una spedizione francese avventuratasi nel dipartimento di Madre de Dios; sfortunatamente, non era questo il primo caso. Tutte le spedizioni che si erano avventurate in quella zona, alla ricerca di una sperduta città precolombiana, erano scomparse misteriosamente. Nel caso dei francesi, l’ultimo messaggio da questi inviato diceva: “Siamo attaccati da una tribù sconosciuta di indios bianchi, alti almeno due metri”, gli stessi da secoli presenti nel folklore sudamerindio.

Il regno del Gran Paititì

“Ero proprio in Venezuela, ai confini dell’Amazzonia colombiana, l’anno in cui la notizia rimbalzò su tutti i giornali brasiliani. Si trattava di questo: erano state avvistate, da due passeggeri di un bimotore che stava sorvolando la zona, tre piramidi di più di cento metri d’altezza, disposte in forma triangolare e situate sull’estesissima frontiera del Brasile. Su questa bomba giornalistica si erano buttati anche Erich Von Daeniken e Jacques Cousteau”. A parlare è la linguista ed archeologa dilettante basca Mireille Rostaing Casini che, nel suo libro “Archeologia misteriosa” (Salani) racconta: “La storia non finiva qui. Ai primi del 1979 erano state fotografate da un aereo dodici piramidi, grandissime, nella foresta del dipartimento peruviano di Madre de Dios, anch’esso confinante con il Brasile. Queste fotografie le mostrano in collocazione simmetrica, le une vicine alle altre, in due file di sei.
Le piramidi si trovano in una regione dove si pensa sia esistito un grandissimo e potente impero, detto del Gran Paititì, e di cui non si sa praticamente nulla se non che nel suo territorio si trovavano enormi ricchezze in oro ed una grande quantità di tesori nascosti. Un indio mi disse che in questa zona esiste un passaggio nella collina denominata Tampu-Tocco, attraverso il quale si passa ad altri mondi situati nelle viscere della terra”.
La storia delle dodici piramidi del Gran Paititì scatena da anni polemiche infuocate. La prudenza è dunque necessaria. Diversi esponenti dell’archeologia e della scienza ufficiale, in testa lo stimatissimo geologo brasiliano Aziz Nacib Ab’Saber, e che hanno sorvolato la zona in elicottero, ritengono trattarsi soltanto di curiose formazioni rocciose, coperte di vegetazione. Costoro disconoscono quanto fotografato nel 1975 dai satelliti meteo Landsat: un’area piana, ellittica, al cui interno sembra proprio di vedere dodici strutture piramidali in duplice fila; fra i sostenitori, i membri della spedizione francese di Thierry Jamin, che il 21 luglio 1998 sarebbe dovuta partire per la zona conosciuta come Pantiacolla, l’antica Paititì. All’ultimo minuto la spedizione saltò, per l’improvviso dietro front degli sponsor.

La cronaca di Akakor

Esiste dunque, nel cuore dell’Amazzonia, una civiltà perduta, forse nemmeno umana, legata al culto delle piramidi? Piramidi, come sottolinea la Rostaing Casini viste le foto, non di tipo azteco ma egizio? E’ difficile sostenerlo, ma da un mio collaboratore, il fisico salvadoregno Luis Lopez spesso a spasso per le Americhe, ho ottenuto ulteriori elementi. “Durante alcune mie ricerche in Salvador”, mi ha raccontato Lopez nel maggio del 1993 ” ho incontrato un archeologo italiano, Mario P., che da anni lavora in Perù. Quest’uomo, appartenendo all’establishment scientifico ufficiale e temendo il ridicolo, ha preteso il riserbo; mi ha raccontato di avere visto degli UFO nella zona e di avere scattato delle foto a certe bruciature circolari; Mario ha aggiunto che questi fenomeni sono ricorrenti nella foresta amazzonica al punto che gli indios, affatto spaventati, hanno ribattezzato i visitatori spaziali gli incas, intesi come appartenenti ad una razza superiore, di signori, come sono considerati gli antichi incas”.
“Non solo”, prosegue Lopez. “L’archeologo ha anche scoperto una serie di scheletri umani lunghi due metri, appartenenti ad una razza sconosciuta.
Questa scoperta è per ora mantenuta top secret e non so se e quando essa verrà divulgata”.
Se così fosse, ed ammesso che la leggenda degli indios bianchi tale non sia, quale è la loro misteriosa origine? La risposta la troviamo in un altro libro, la “Cronaca di Akakor” (Edizioni Mediterranee) del giornalista e sociologo bavarese Karl Brugger (assassinato in circostanze misteriose nel 1984). Brugger conobbe bel 1972 a Manaus, in Brasile, il capo indio – bianco di pelle – Tatunca Nara, a suo dire discendente di una mitica tribù “spaziale”, gli Ugha Mongulala. Secondo il racconto di Tatunca Nara, i Mongulala vivevano nel cuore dell’Amazzonia, sin dalla notte dei tempi, “in piccoli gruppi, in caverne e grotte, camminando carponi”. Poi, nell’anno 13500 a.C. del nostro calendario, “erano giunti gli Dei. Essi portarono la luce”. “Gli stranieri”, ha raccontato il capo indio a Karl Brugger, “apparvero all’improvviso nel cielo su brillanti navi d’oro. Segnali di fuoco illuminarono la pianura; la terra tremava ed il tuono risuonava sulle colline. Gli uomini si prostrarono con stupore e profondo rispetto davanti ai potenti stranieri, che vennero ad impossessarsi della terra”.
“Gli stranieri dissero che la loro patria si chiamava Schwerta, un mondo lontano nella profondità del cosmo. A Schwerta viveva la loro gente, ed essi erano partiti di là per visitare altri mondi, e portarvi la loro scienza. Schwerta era un immenso impero, formato da mondi numerosi come i granelli di polvere di una strada. I visitatori ci dissero che ogni seimila anni i due mondi, quello dei nostri Primi Maestri e la nostra terra, s’incontreranno. E che allora gli Dei torneranno. Dovunque sia e qualsiasi forma abbia Schwerta, con l’arrivo di questi visitatori dal cielo cominciò sulla terra l’Età dell’Oro”.
I Maestri, come vennero prontamente ribattezzati dagli indios, “vennero sulla terra con 130 famiglie, per liberare gli uomini dall’oscurità. E loro accettarono e riconobbero gli uomini come fratelli. I Maestri fecero stabilire le tribù nomadi e divisero lealmente ogni frutto della terra. Pazientemente e senza stancarsi, ci insegnarono le loro leggi, anche se gli uomini facevano resistenza, come bambini ostinati. Per questo loro amore verso gli uomini, per tutto quello che diedero ed insegnarono noi li veneriamo come i nostri portatori di luce. I nostri migliori artigiani riprodussero le loro immagini per testimoniare in eterno la loro grandezza. Così sappiamo come erano fatti i nostri Signori Anteriori”.
“I Signori di Schwerta”, racconta Tatunca Nara, “erano simili agli uomini. Il loro corpo esile ed i tratti del volto erano molto delicati. Avevano la pelle bianca ed i capelli neri con riflessi blu. Portavano una folta barba e come gli umani erano vulnerabili, perché fatti di carne. C’era però un particolare segno fisico che li distingueva dagli abitanti della Terra: essi avevano alle mani e ai piedi sei dita. Questo era il segno dell’origine divina”.
I Maestri, prosegue il capo indio, non erano terrestri. Tatunca Nara, nel ricostruire per Karl Brugger l’intera storia del suo popolo, divideva decisamente il periodo dei visitatori spaziali (peraltro corrispondente, secondo alcune fonti, alla reale nascita della civiltà egizia) dal successivo arrivo di esploratori bianchi: i goti, nel 570 d.C., gli spagnoli, nel 1532, i nazisti, nel 1941. I Maestri “tracciarono canali e strade, seminarono piante nuove, sconosciute a noi uomini. Insegnarono ai nostri primitivi antenati che un animale non è solo una preda da cacciare, ma anche una preziosa proprietà, che allontana la fame. pazientemente trasmisero loro il sapere necessario per comprendere i segreti della natura. Sorretti da questi principi, gli Ugha Mongulala sono sopravvissuti per millenni a gigantesche catastrofi e guerre sanguinose”.

Visitatori dal cosmo

Grazie agli Schwerta, gli Ugha Mongulala costruirono un impero che si estendeva dal Perù al Brasile al Mato Grosso (la regione ove scomparve Fawcett). I Maestri, secondo Nara, conoscevano le leggi dell’intero cosmo. Unendosi carnalmente con gli indios, generarono la tribù degli Ugha Mongulala, gli “alleati eletti”. Costoro, eccezion fatta per le sei dita, nei tratti somatici ricordavano molto i visitatori. Ecco dunque spiegata la presenza di indios bianchi, più o meno alti, nel cuore della foresta amazzonica?
Gli alieni costruirono diverse città, e molte piramidi, “un mezzo per raggiungere la seconda vita”. Un “brutto giorno” gli dei dovettero ripartire. Erano in lotta con un altro popolo dello spazio. “Nel 10481 a.C. gli Dei lasciarono la Terra”, disse Nara. “Le navi dorate dei nostri Primi Maestri si spegnevano nel cielo come le stelle. La fuga degli Dei gettò il mio popolo nell’oscurità. Fummo attaccati da esseri estranei simili agli uomini, con cinque dita ma con sulle spalle teste di serpenti, tigri, falchi e altri animali. Disponevano di una scienza avanzatissima che li rendeva uguali ai primi Maestri. Tra queste due razze di Dei scoppiò una guerra. Bruciarono il mondo con armi potenti come il sole. Ma la previdenza degli Dei salvò gli Ugha Mongulala dalla distruzione”. I visitatori di Schwerta costruirono nel sottosuolo amazzonico tredici dimore sotterranee, disposte secondo la costellazione da cui provenivano. E convinsero gli indios a rifugiarsi dentro caverne scavate nella roccia, e murate dall’interno. Con questo espediente gli indios sarebbero scampati alle devastazioni planetarie scatenate dalle lotte fra dei, come pure a successivi cataclismi e perfino all’avanzata dei conquistadores.
Questo elemento mi è stato in parte confermato da un’esploratrice italiana che ha condotto diverse spedizioni in Perù, la milanese Elena Bordogni. “Durante una spedizione”, mi ha raccontato, “incappammo in un camminamento che costeggiava una montagna e che fiancheggiava un burrone. Sul sentiero si vedevano, pietrificate, le orme dei piedi dei sacerdoti che anticamente percorrevano quella via. Con grande sorpresa ci accorgemmo che ad un certo punto il sentiero si interrompeva dinanzi ad una parete liscia della montagna. Solo in seguito, scoprendo che le grotte erano state murate dall’interno, capimmo dove finissero quelle impronte di pietra”. Si trattava delle grotte Mongulala?
Anche la Rostaing Casini ha scoperto, nelle tradizioni orali peruviane, testimonianze dell’improvvisa fuga e scomparsa degli Ugha: “Secondo le tradizioni dei mistici, circa 6000 anni or sono si sarebbe verificato un terribile cataclisma che avrebbe indotto una parte dei Mongulala a rinchiudersi nel fitto della foresta; altri avrebbero invaso i territori costieri dell’oceano Pacifico, sedi di civiltà preincaiche, per poi imbarcarsi verso ignoti lidi. Alcuni si sarebbero stanziati nell’Isola di Pasqua”.
La storia degli Ugha Mongulala è una miniera per gli appassionati di archeologia misteriosa. I Maestri di Schwerta vengono descritti da Tatunca Nara come esseri “dal volto splendente” . La stessa definizione viene fornita dal patriarca ebraico Enoch, allorché racconta di essere stato rapito in cielo dagli angeli. Sia gli angeli di Enoch che gli Schwerta dei Mongulala si accoppiarono con le donne della Terra. Gli Schwerta avrebbero poi colonizzato “il grande fiume Nilo” ed avrebbero nascosto nella foresta amazzonica un disco volante! “La macchina volante”, racconta Tatunca Nara, “brilla come l’oro ed è fatta di un metallo a noi sconosciuto. E’ un grosso cilindro e può ospitare due persone. Non ha vele né remi ma vola più veloce dell’aquila, attraverso le nubi”.
Ancora, gli Schwerta costruirono le piramidi sudamericane ed egizie “con certe macchine che potevano sollevare il masso più pesante, tenendolo sospeso come per magia; lanciavano fulmini accecanti e fondevano le rocce”.
Gli Schwerta erano portatori di pace. La loro fuga rappresentò la fine per gli Ugha Mongulala, distrutti dalle guerre civili prima, dai terremoti poi ed infine costretti dall’arrivo dei conquistadores all’esilio perenne, nelle caverne sotterranee scavate dagli Dei. “Ma gli Dei torneranno”, dichiarò Tatunca Nara a Brugger, prima di tornarsene nella sua patria misteriosa. “Torneranno per aiutare i loro fratelli, gli Ugha Mongulala. L’alleanza tra questi due popoli sarà rinnovata, e i nostri discendenti si incontreranno di nuovo. Allora ritorneranno i primi maestri…”.

Sarà così davvero?

isole.ecn.org/cunfi/Caverne_Aliene.htm

Pdf
www.laboccadellaverita.info/wp-content/plugins/as-pdf/generate.php?...


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27/11/2011 19:43

Re:
Alex1304, 27/11/2011 00.36:

Sarà così davvero?
Gli alieni costruirono diverse città, e molte piramidi, “un mezzo per raggiungere la seconda vita”. Un “brutto giorno” gli dei dovettero ripartire. Erano in lotta con un altro popolo dello spazio. “Nel 10481 a.C. gli Dei lasciarono la Terra”, disse Nara. “Le navi dorate dei nostri Primi Maestri si spegnevano nel cielo come le stelle. La fuga degli Dei gettò il mio popolo nell’oscurità. Fummo attaccati da esseri estranei simili agli uomini, con cinque dita ma con sulle spalle teste di serpenti, tigri, falchi e altri animali. Disponevano di una scienza avanzatissima che li rendeva uguali ai primi Maestri. Tra queste due razze di Dei scoppiò una guerra. Bruciarono il mondo con armi potenti come il sole. Ma la previdenza degli Dei salvò gli Ugha Mongulala dalla distruzione”. I visitatori di Schwerta costruirono nel sottosuolo amazzonico tredici dimore sotterranee, disposte secondo la costellazione da cui provenivano.
isole.ecn.org/cunfi/Caverne_Aliene.htm

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www.laboccadellaverita.info/wp-content/plugins/as-pdf/generate.php?...






Chissà che cosa c'è di vero e che cosa invece è stato alterato dal tempo in tutti questi racconti. Comunque sia c'è qualcosa di molto strano...
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28/11/2011 00:05


Ciao a tutti
Qua un piccolo approfondimento sulla civilta' enigmatica di Akakor


Il regno di Akakor
autore: Dino Vitagliano

Nel cuore delle foreste amazzoniche giacciono incredibili città sotterranee. L’inchiesta di Brugger, pagata con la morte, svela antichissime tradizioni degli indios, ultimi eredi di esseri stellari.
L’avventura di Karl Brugger, giornalista tedesco, ha inizio in un bar di Manaus, in Brasile, il 3 marzo 1972.

La lunga permanenza nelle foreste amazzoniche e la profonda conoscenza delle tradizioni indios, gli permettono di entrare in contatto con Tatunca Nara, ultimo capo della misteriosa "tribù degli alleati eletti", gli Ugha Mongulala. Il racconto che segue, conservato nei libri sacri de La Cronaca di Akakor, noti come Il Libro del Giaguaro, Il Libro dell'Aquila, Il Libro della Formica e Il Libro del Serpente d'acqua, segnò per sempre la sua vita.

Nel 13.000 a.C. brillanti navi dorate scesero nelle giungle lussureggianti del Sudamerica guidate da maestosi stranieri con la carnagione bianca, il volto contornato dalla barba, folta chioma nera con riflessi blu, sei dita alle mani e ai piedi. Dissero di provenire da Schwerta, una costellazione lontanissima con innumerevoli pianeti, che incrocia la Terra ogni 6.000 anni. Sconosciuta la tecnologia in loro possesso: pietre magiche per guardare ovunque nel mondo, arnesi che scagliano fulmini e incidono le rocce, la capacità di aprire il corpo dei malati senza toccarlo.

Con infinito amore donarono agli indios il lume della civiltà e gettarono le basi di un impero vastissimo che comprendeva Akakor, l’imprendibile fortezza di pietra nella vallata sui monti al confine tra Perù e Brasile, Akanis in Messico e Akahim in Venezuela, le grandiose città di Humbaya e Patite in Bolivia, Cadira, Emin sul Grande Fiume e maestosi luoghi sacri: Salazare, Tiahuanaco e Manoa sull’altopiano a sud.

Sotto Akakor, una rete vastissima di tredici città sotterranee, nascoste alla vista degli intrusi, come arterie invisibili percorrono le millenarie foreste brasiliane. La loro pianta riproduce fedelmente Schwerta, la dimora cosmica degli Antichi Padri. Una luce innaturale le illumina all'interno, mentre un ingegnoso complesso di canalizzazioni porta aria e acqua sin nelle sue profondità.

Il potente dominio, che contava sotto di sè trecentosessantadue milioni di individui, durò tremila anni quando nell'Ora Zero, il 10.481 a.C., gli Antichi Padri ripresero la via del cielo con la promessa di ritornare.

L’inizio di un ciclo

La Terra parve piangere la loro scomparsa e tredici anni dopo un'immane catastrofe si abbattè sul pianeta e sconvolse il suo aspetto, seminando ovunque morte e desolazione. Gli uomini persero la fede negli dèi, degenerando e commettendo azioni crudeli nei millenni a venire.

Seguì un seconda catastrofe. Una stella gigantesca dalla coda rossa impattò la Terra, provocando un immane diluvio. Secondo le parole dei sacerdoti: "Quando la disperazione avesse raggiunto il culmine, i Primi Maestri sarebbero tornati". E nel 3.166 a.C. ricomparvero le navi d'oro. Lhasa, il "Sublime", regnò ad Akakor e suo fratello Samon volò sul Nilo per fondare un secondo impero che regolarmente approdava in terra sudamericana a bordo di immense navi. Reperti di varia natura scoperti dagli archeologi confermano la presenza egiziana in Sudamerica, come la "Roccia delle Scritture" che l'antropologo George Hunt Williamson rinvenne sulle Ande nel 1957, istoriata da geroglifici simili a quelli egizi, venerata dai nativi e collegata alla discesa di antenati spaziali che dimoravano nel Gran Paititi.

Il principe di Akakor governò con saggezza riorganizzando l'impero distrutto ed eresse nuove città come Manu, Samoa, Kin, in Bolivia e Machu Picchu in Perù. Trecento anni rimase sulla Terra finchè un giorno si diresse sulla montagna della Luna, sopra le Ande e disparve nel cielo in un fuoco. Partenza che riecheggia moltissimo quella di Quetzalcoatl, la divinità messicana.

Un popolo prezioso

Millenni di guerre contro le tribù nemiche videro Akakor cadere e risorgere più volte, stringendo anche alleanze con stirpi straniere giunte da lontano. Le tradizioni degli Ugha Mongulala parlavano di popolazioni bianche come i Goti che visitarono le loro terre. Ancora una volta questo si rivela una conferma notevole alle antiche cronache medievali nelle quali navi vichinghe partite all'esplorazione di mondi lontani, dopo un naufragio, approdarono sulle coste del Sudamerica. Nella sierra di Yvytyruzu, in Paraguay, l'archeologo Jacques de Mahieu ha scoperto un masso pieno di caratteri runici, disegni dei drakkar, le navi nordiche, e di un uomo barbuto con armatura. Le attuali popolazioni di quei territori possiedono la pelle bianca, un torace sviluppato e la barba.

Ma un evento ancor più strano, preconizzato nelle antiche scritture degli Antenati Divini, è l'arrivo ad Akakor di 2.000 soldati tedeschi che aiutarono gli indios ad armarsi contro i barbari bianchi, senza successo, poiché la Germania perse la Seconda Guerra Mondiale. I nativi ricordano lo stemma cucito sulla giacche delle truppe, identico ai covoni di grano in foggia di svastica, che rotolavano dalle colline durante cerimonie sacre nel solstizio d’estate.
Il Fuhrer era ossessionato a tal punto dalle tradizioni esoteriche da abbracciare le idee della società segreta Thule – nome di un vasto territorio che andava dal Mar del Gobi al Polo Nord (vedi Il mistero degli Etruschi, nella sezione Popoli Italici), abitato dalla civiltà degli Iperborei – e conferirle il carattere di un gruppo operativo incaricato di custodire le conoscenze perdute. L'esistenza di una razza antichissima che viveva in cavità sotterranee stimolò la sua curiosità, spingendolo a inviare numerose spedizioni in tutto il globo per accertare la veridicità dei suoi studi occulti.

Il contingente tedesco partito da Marsiglia verso l'Inghilterra a bordo di un sottomarino era ignaro della vera destinazione e dello scopo della missione: prendere contatto con la "tribù degli alleati eletti". Un resoconto di viaggio del navigatore greco Pitea di Massalia, nel IV sec a.C., il De Oceano, narra la partenza da Massalia, l'antica Marsiglia, per giungere alla mitica Thule ubicata nei ghiacci remoti nel lontano Nord. Molto probabilmente la città francese custodisce segreti esoterici noti ai nazisti da lungo tempo.

La permanenza dei soldati nella città fece nascere una profonda amicizia con gli indios, che portò all'unione tra i due popoli, i quali ancora oggi vivono in numero di trentamila ad Akakor inferiore, come pure sono abitate le città di Boda e Kish sotto di essa e la poderosa Akahim.

La dimora degli dèi

Il Tempio del Sole di Akakor, vigilato da guardie armate, custodisce mappe segrete vergate dagli Antichi Padri che mostrano il cosmo di millenni prima, con altre lune, un'Isola perduta ad Ovest e una terra nell'Oceano, inghiottite dai flutti nel corso di un'epica battaglia stellare tra due progenie di dèi, le cui conseguenze investirono persino i pianeti Marte e Venere. I documenti raccontano inoltre che i Signori del Cielo portarono l'uomo da un pianeta all'altro fino a giungere sulla Terra.

Il teorico nazista Hoerbiger aveva postulato l'esistenza di varie lune nelle ère perdute della Terra; le mappe si ricollegano, inoltre, alla carta astronomica del 4.000 a.C. appartenuta al compianto ricercatore britannico David Davenport sulle rotte dei vimana verso il nostro pianeta, provenienti da sistemi stellari lontanissimi.

Fedeli ai desideri dei Primi Maestri, i sacerdoti raccolsero tutto il sapere e la storia della tribù eletta in libri custoditi in una sala scolpita nella roccia all’interno delle dimore sotterranee. Nello stesso luogo gli enigmatici disegni dei Padri Divini sono incisi in verde e azzurro su di un materiale sconosciuto. Disegni che né l’acqua né il fuoco riescono a distruggere.

Nei sotterranei giacciono anche armi simili a quelle dei tedeschi appartenute agli Dèi, l'astronave di Lhasa, un cilindro di metallo ignoto che volava senz'ali, e un veicolo anfibio che attraversava le montagne. Tatunca Nara in persona vide una sala rischiarata da una luminosità azzurrina che mostrava in animazione sospesa quattro persone, tra cui una donna, con sei dita alle mani e ai piedi, entro contenitori di cristallo pieni di liquido.

Akakor risorge

Molti si chiedono se la misteriosa città sotterranea non sia solamente frutto di un racconto fantasioso.

Il ricercatore Antonio Filangeri ha verificato le credenziali di Karl Brugger direttamente dal fratello Benno nel corso di un suo viaggio a Monaco negli anni '50, ottenendo nuove informazioni. Benno rivelò che dopo la morte di Karl, colpito in circostanze misteriose da una pallottola nel 1984, il Consolato Tedesco aveva perquisito l'appartamento di Karl a Rio de Janeiro, confiscando tutta la documentazione relativa alla spedizione di Akakor. In seguito, le casse con gli incartamenti furono oggetto di diversi tentativi di furto. Inspiegabilmente, il console di Rio venne trasferito in Costa d’Avorio con i documenti al seguito. Parte del materiale scomparve poi quando giunse in Germania su richiesta di Benno. Un alone di mistero sembrava aleggiare intorno ad Akakor.

Quando Tatunca Nara avviò delle trattative con alti ufficiali bianchi per fermare lo sterminio indiscriminato degli indios, che prosegue tuttora indisturbato da parte delle autorità, ebbe modo di affidare alcuni scritti degli dèi al vescovo M. Grotti che dopo aver spedito i documenti in Vaticano, perì in un incidente aereo. Coincidenze?

Tatunca Nara è profondamente disgustato dalla civiltà dei barbari bianchi, con le loro feroci contraddizioni, e afferma con orgoglio: "Ma noi siamo uomini liberi del Sole e della Luce. Noi non vogliamo gravare il nostro cuore del peso della loro fede errata e bugiarda". Con pazienza attende il ritorno degli dèi. O forse gli dèi, nascosti ad Akakor, attendono con pazienza che gli uomini tornino a loro stessi.

L'approfondimento

Il Terzo Reich non fu il solo a interessarsi ad Akakor. La ricerca di un'antica civiltà scomparsa, le cui rovine colossali giacciono sepolte sotto le foreste del Sudamerica, è stato il sogno di numerosi avventurieri nel corso delle varie epoche. Già nel 1530 l'ufficiale di Pizzarro, Francisco Orellana, favoleggiava di un reame pieno d'oro tra il Rio delle Amazzoni e il fiume Orinoco. I Gesuiti sono in possesso di antichi scritti di viaggio relativi a un antica popolazione che dimora in una città maestosa nella giungla brasiliana.

Un gruppo di sette uomini, guidato da Hamilton Rice, si spinse nella Sierra Parima, tra il Venezuela e il Brasile nel 1925 alla scoperta di Ma-Noa, la capitale del leggendario El Dorado. Curiosamente il nome ricorda Manu, una delle città costruite da Lhasa.

La documentazione più importante riguardo l'esistenza di scomparse civilizzazioni antecedenti a quelle conosciute proviene del colonnello Percy Harrison Fawcett, cartografo della National Geografic Society. In Sudamerica si dedicò alla consultzione del Manoscritto dei Bandeirantes, della prima metà del 1700, al Museo dell'Indio di Rio, che descriveva l'esplorazione delle foreste amazzoniche da parte di un gruppo di venti uomini e la scoperta di una metropoli di pietra deserta dalle mura gigantesche. Organizzata una spedizione del 1925 in Mato Grosso, si inoltrò con il figlio Jack lungo il Rio Araguaia, entrando in contatto con varie tribù di indios che conservavano nelle loro tradizioni il ricordo di una provenienza stellare. Proprio quando sembrava aver raggiunto le vestigia di remote città illuminate da luci fredde, scomparve misteriosamente in estate nell'alto Rio Xingu.

Nel 1946 è la volta di Leonard Clark, che in un resoconto di viaggio, divenuto poi un libro dal titolo I fiumi scendevano a Oriente (Tea, 2000), narra il ritrovamento di sei delle sette città dell'El Dorado nelle Ande Peruviane. Undici anni dopo Antonio Filangieri stimolato dai racconti del colonnello Fawcett ricalcò lo stesso itinerario e constatato che molti luoghi collimavano, partì per un secondo viaggio, in modo da verificarne le scoperte archeologiche e raccogliere informazioni sulla sua scomparsa, viaggio da cui dovette desistere, come egli stesso riferisce, "per drammatici eventi sopraggiunti". L'archeologo brasiliano Roldao Pires Brandao individuò una montagna tra il Brasile e il Venezuela, il Pico De La Neblina, nel 1975 e quattro anni dopo, nello stesso posto, tre piramidi di 150 metri accanto a un complesso urbano nascosto dalla foresta.

Ai giorni nostri il ricercatore Marco Zagni, si è assunto il compito di svelare l'esistenza di scomparse civiltà preincaiche, organizzando una spedizione in Perù, nelle zone di Pantiacolla, del fiume Pini Pini e di Pusharo, dove, in base alle testimonianze di una spedizione francese smarritasi nel 1979, esisterebbero indios di due metri, strane formazioni piramidali, fotografate dal satellite LandSat, e i "Soccabones", fitta rete di cavità sotterranee. Anche gli archeologi sono propensi nel riconoscere che tra il 6.000 e il 4.000 a.C. sia fiorita una "Civiltà Amazzonica" dei "Mogulalas", formata da numerose città-stato, che si estendeva dal Venezuela alle Ande peruviane. Una conferma esoterica giunge anche dal libro di Leo e Viola Goldman, I Misteri del Tempio (Edizioni Synthesis, 1998), il cammino iniziatico di una donna nella città nascosta di Ibez, all'interno della montagna sacra del Roncador in Mato Grosso, popolata da Maestri divini che, scampati alla distruzione di Atlantide con i vimana, crearono le civiltà inca, maya e atzeca.
Fonte
www.acam.it/akakor.htm

Qua segue un bellissimo articolo ma in francese
www.guillaume-delaage.com/articles/05-lhistoire-a-la-lumiere-de-la-tradition/hit...


[Modificato da Alex1304 28/11/2011 00:13]
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29/11/2011 00:03

Lo strano manufatto di London: un martello del cretaceo?

di Mattera Antonio

Il manufatto di London fu trovato vicino London, Texas, in Kimball County.

Il sito fa parte di una grande zona geografica chimata Edwards Plateau.

Esso consiste principalmente in roccia del periodo cretaceo. Nel giugno del 1934, Max Hahn scoprì una roccia, posizionata libera su una sporgenza di roccia accanto un salto d’acqua fuori London, nel Texas. Accorgendosi che da questa stagionata roccia sporgeva del legno, egli e la sua famiglia la spaccarono aprendola con un martello e uno scalpello, esponendo così la testa di un martello alla luce del giorno per la prima volta sin da quando la roccia si formò intorno ad essa!

Per verificare che il martello fosse fatto di metallo, essi tagliarono in uno dei lati smussati con una lima. Nell’ incisione che ne risultò, fu esposto un luminoso, brillante ferro.

Il brillante metallo nell’incisione è ancora là, con nessuna corrosione.

La testa di martello in metallo è approssimativamente lunga sei pollici (15,24 cm) con un diametro di un pollice. Questo sembra piuttosto piccolo per un volgare strumento da martellamento, suggerendo che questo attrezzo fosse utilizzato per lavori leggeri o metallo morbido.


La densità del ferro in un piano centrale sezionato obliquamente è mostrata nella foto sotto.

Essa mostra che il metallo interno è molto puro, senza bolle. Le industrie moderne non riescono coerentemente a produrre fusione di ferro di questa qualità.

Il centro del manico è di forma ovale e all’incirca 1"x1/2".

La foto sopra mostra che la densità è circa del 10% più grande vicino la superficie. In questa rappresentazione, i colori sono usati per indicare la densità di una particolare parte. Le aree bianche sono più dense, e le aree scure sono meno dense.

Come precedentemente affermato, un taglio con una lima fu fatto in uno degli orli del martello nel 1934, e ha lasciato questo lato libero alla corrosione nei sessanta e più anni passati dalla scoperta di questo manufatto. L’area è mostrata nella foto sotto.



Il manico di legno sembra essere stato rotto, e consumato e liscio dove sporgeva dalla massa rocciosa. La foto sotto mostra il manico dalla sommità con la testa del martello rimossa. L’area scura nel legno è dove è stato parzialmente coperto dal carbone.



La fine del manico visibile attraverso la sommità del centro della testa del martello appare segata, come mostrato nella foto sotto.



Rimangono alcuni quesiti , ai quali si può rispondere con esami più approfonditi

1) il cloro trovato nella lega di ferro è contenuto completamente nel martello o solo in superficie?

2) L’alta concentrazione di ossido di ferro nella roccia è simile a quella del martello?

3) Ci sono residui di carbonio nella cavità?

4) Ci sono rapporti che affermano che la lima possa contenere FeO. Questo ossido di ferro non si forma subito sotto le presenti condizioni ambientali. Noi anche conosciamo evidenti punti di decomposizione per un campo geomagnetico, con una vita media di 1400 anni.

Se il martello è veramente antico, può il forte campo magnetico aver avuto l’effetto di aiutare la formazione di FeO?

5)Se il manufatto è veramente una struttura del periodo Cretaceo, dove dovremmo riportare la teoria dell’evoluzione umana, considerando che ,secondo la teoria tradizionale, l’uomo non sarebbe apparso per altri 100 milioni di anni almeno?

5) Se il manufatto è relativamente recente, questo significa che la formazione cretacea del Hensell Sand dalla quale proveniva e nella quale era racchiuso è relativamente giovane..

Alcuni potrebbero arguire che la roccia originale e il fossile siano erosi e rilavorati, ma i fossili rilavorati mostrano segni evidenti di logoramento. Il fossile nella massa rocciosa mostra, inverosimilmente, dettagli fini, indicando che esso non è stato rilavorato, ma facente parte di una formazione originale. Quindi sorgono di nuovo domande sulla teoria evoluzionistica e sulla comparsa dell’uomo sulla terra.

L’impronta di Burdick

La Burdick Track è un’impronta umana in un calcare del Cretaceo trovata in una falda del Cross Branch, un affluente del Paluxy River, a Glen Rose, Texas.

Essa è stata fonte di numerose controversie dovuta alla perfezione della sua forma, ma allo stesso tempo alle sue anomalie, tanto che da alcuni è stata considerata come un lavoro d’intaglio e quindi un falso.

Nel 1990, il direttore Carl Brough e il geologo Don Patton eseguirono ricerche estese per verificare la sua autenticità. Sin da quando la traccia fu rimossa, molti anni fa, dal fiume, il sito originale non venne ritrovato. Questo fu possibile in seguito a scandagliamenti effettuati da "veterani", esperti conoscitori, del Glen Rose, i quali fornirono indizi sull’originale locazione dell’orma in questione. Dopo molti giorni di ricerca, una falda esposta nel Cross Branch, apparve essere simile al calcare della Burdick Track ( tinta avorio- grana fine- inclusioni di calcite cristallina).

Un tagliatore di gemme esperto tagliò un sottile strato sia dalla Burdick track che dalla falda del Cross Branch. Esse risultarono combacianti.

Cordell VanHuse, un intagliatore esperto di Dallas, fece delle sezioni incrociate della traccia.

Tagliando attraverso la sezione del tallone scoprì le strutture senza roccia che seguivano il contorno del tallone; la sezione a croce dell’area delle dita mostrava chiaramente linee di pressione che seguono il contorno delle dita. Queste traccia non può essere stata scolpita e ancora contenere questi lineamenti!.

La Burdick track è ampia 6 ½ pollici e lunga 14 pollici!

Questa larghezza di un’impronta non è inconsistente come dimensione se riferita ad individui abituati a camminare a piedi nudi. La lunghezza dell’impronta poteva indicare che essa apparteneva a persone dal fisico imponente, alte circa 7 piedi!

Il team del Creation Evidence Museum, ha scoperto, in seguito, circa altre 80 impronte simili, alcune affiancate ad impronte di dinosauro, sempre nel Paluxy River!

L’impronta di Burdick, trovata molti anni fa, ne fu un fulgido ed originario

Fonte
www.acam.it/london.htm

it.wikipedia.org/wiki/Martello_di_London

Qua altre impronte fossili. www.nova3.com/_serv/_stranezze/impronte_fossili2.htm

Considerazioni personali ,
Non vi sono prove sull'autenticita' del martello , anzi molti dubbi , e [SM=g1950687] penso proprio che sia un falso creato a pennello , per quanto riguarda le impronte il mistero rimane !

[Modificato da Alex1304 29/11/2011 00:23]
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29/11/2011 00:42

Il Martello di London


Dove, quando e da chi è stato trovato?

-E’ stato rinvenuto nel giugno 1936, a London (Texas,Kimball Country). (altre fonti sostengono nel giugno del 1934 e poi la traduzione in “Londra” non è corretta e ha creato imbarazzanti ambiguità in alcuni testi).
Il sito fa parte di una grande zona geografica chiamata Edwards Plateau.
Lo trovarono Max Hahn con la moglie Emma durante un’escursione in cui erano diretti alla funivia di Llano costeggiando il Red Creek vicino alla città
di London.(altre fonti raccontano si tratti di un gruppetto).

Da un masso spunta un insolito pezzo di legno e la famiglia incuriosita inizia a liberarlo dalle rocce, scoprendo che si tratta inspiegabilmente di un
manico di martello.Altre fonti sostengono che gli Hahn abbiano asportato dei blocchi di arenaria e successivamente nel 1946-1947, il loro figliolo (George), ruppe uno dei blocchi d’arenaria trovando la testa metallica.

Inoltre anche la struttura dell’agglomerato fa supporre che il pezzo non sia stato staccato dalla
roccia, ma che sia stato trovato già disgiunto in modo naturale.

Come si presenta il reperto.

-Il reperto è contenuto in un blocco roccioso, con la parte metallica quasi completamente esposta da un lato; la testa misura circa 15 cm di lunghezza , con lati di circa 2,5cm. Al centro si apre un foro ovale (di circa 1,5cm x 2,5) in cui è incastrato perpendicolarmente il manico ligneo piuttosto ricurvo lungo circa 13cm, e spezzato all’estremità inferiore. La parte superiore, che si incastra nel blocco metallico, presenta invece un taglio netto longitudinale e piccole crepe laterali, che consolidano l’aggancio delle due porzioni.

Il reperto presenta una leggera incisione nella parte superiore, che secondo le testimonianze fu eseguita con una lima dal sig. Hahn al momento della scoperta per verificare che il manufatto fosse realmente di metallo. In quel punto è visibile la parte metallica più lucida e pura, come pure l’interno dell’oggetto sembra fatto di composizione assolutamente pura omogenea.La testa metallica è coperta in parte da una porzione rocciosa rimovibile in cui è presente un guscio di mollusco fossilizzato ma non ben identificato.

Analisi scientifica del reperto.

-L’arenaria che ingloba il reperto, avrebbe un’età compresa tra i 140 e i 65 milioni di anni, (ufficialmente tra 110 e 115 mln di anni; risalirebbe quindi al Cretaceo [135~70 mln di anni] ossia nell’epoca dei grandi Dinosauri.

- C’è chi sostiene che le rocce del Red Creek possano essere molto più antiche, ossia dell’Ordoviciano o Siluriano, (ma tra gli autori più ostinati, c’è stata sempre un po’ di confusione).

-Il tipo di roccia ben coincide con il periodo cretaceo, tuttavia alcuni esperti sostengono che il reperto possa appartenere a un’epoca molto recente, ma essersi inglobato nella roccia antica mediante un processo di rapido indurimento della roccia stessa, come già accaduto ad esempio per
reperti bellici moderni.

-Il manico del martello sembra parzialmente fossilizzato nella parte esterna mentre l’interno appare come carbonizzato. Non ci sono rapporti ufficiali di datazione al C14. Verso la fine degli anni ‘90 comparvero delle affermazioni senza però alcun dato o riferimento scientifico che datavano il
reperto (al C14) come relativamente moderno.

Sono state invece eseguite delle analisi metallografiche sulla testa del reperto nel 1989 al Battelle-Institut a Columbus, Ohio, rilevando una composizione di 96,6% Ferro, 2,6% Cl e 0,74% S. (Non viene specificato a quale porzione della testa del manufatto si riferisce l’analisi.

La composizione è piuttosto insolita, soprattutto per la così alta presenza di cloro. Anche lo zolfo è in quantità decisamente maggiori rispetto a quella che si trova nelle moderne leghe ferrose normalmente utilizzate che, tra l’altro presentano in generale elementi di alligazione di tipo metallico, e non solo non metallico come nel manufatto, in quanto verrebbero a indebolirsi le proprietà fisiche e chimiche della lega.

Sarebbe molto più plausibile se al posto di quella percentuale di cloro (Cl), ci fosse del carbonio (C) e che si trattasse solo di un errore di battitura tramandato poi in tutti i resoconti, visto che certificati autentici non sono disponibili.

Si può pensare che sia stata analizzata la parte interna e pura dell’oggetto; è singolare che non sia stata prestata attenzione alla crosta esterna e che non sia stata evidenziata la presenza di ossigeno, visto che il reperto appare con un notevole strato di ruggine (ossidi idrati di ferro), come dimostrato dalle immagini e dalle indagini spettroscopiche. Sarebbe perfettamente plausibile che l’oggetto sia stato sottoposto nel tempo
all’azione ossidante dell’aria umida, che tra l’altro ha concorso al processo di calcificazione delle rocce che lo inglobano, e quindi un’analisi metallografica combinata corretta avrebbe certamente aiutato in una
classificazione temporale del reperto.

La valutazione della formazione di ossido di ferro nell’oggetto, comparato con quello presente nella roccia,nelle condizioni ambientali a cui sono stati sottoposti nel tempo, permetterebbe un’interessante stima sulla datazione. Bisogna poi fare molta attenzione nell’affermare se si tratta di ferro puro o lega pura; il fatto che non ci sono bolle è sì indice di purezza, ma con più il ferro è puro, con più il suo potenziale standard di riduzione è basso e con più facilmente si passiva; cosa che invece chi valuta il punto di recente limatura, sostiene si sia pochissimo ossidato nei settanta anni trascorsi, e che quindi è sintomo che sia ferro puro; in questo caso però bisogna valutare che l’oggetto dopo il suo ritrovamento non è più stato sottoposto alle intemperie, ma conservato in collezioni o musei e quindi in ambienti decisamente meno “invecchianti”

Inoltre bisognerebbe valutare effettivamente a quanto ammonta l’area della superficie limata rispetto a quella dell’intero reperto e soprattutto lo spessore, per valutare il grado di ossidazione.

Infine andrebbero considerate le aree metalliche a contatto con la roccia calcarea; infatti l’idratazione del carbonato, crea ioni a carattere basico che spostano l’equilibrio redox a sfavore dell’arruginimento.

Se la roccia è molto calcica, si crea una crosta attorno all’oggetto dovuta alla riprecipitazione del carbonato di calcio, se invece l’equilibrio di dissoluzione è dinamico, è favorito l’effetto corrosivo.

Detto questo analisi dettagliate possono approfondire se l’oggetto si è arrugginito prima di essere inglobato (e in tal caso sarebbe molto vecchio) o se il meccanismo è stato di tipo concertato.

Sia la forma dell’oggetto che le analisi della lega, sarebbero propense a dichiarare il reperto comparabile a un martello di epoca piuttosto moderna (XIX sec.).

Dove e da chi è custodito il reperto?

Nel 1983 Carl Baugh ne divenne proprietario e ora il reperto è esposto nel Creation Evidence Museum a Glen Rose, nel Texas, di cui ne è direttore.
Il proprietario, di convinzioni fortemente creazioniste, pare non sia ben disposto a sottoporre il reperto a indagini scientifiche più accurate.

www.antikitera.net/public/Il%20Martello%20di%20London.pdf

184.154.224.5/~creatio1/index.php?option=com_content&task=vi...

Il museo dei creazionisti

www.creationevidence.org/

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29/11/2011 01:50

Un'impronta di 500 milioni di anni?
di Mattera Antonio


La più antica impronta fossile fu trovata nel giugno 1968 da William J. Meister, un collezionista di fossili. Quest’impronta è stata stimata antica di circa 300-600 milioni di anni.

Un sandalo che schiaccia un trilobite: è questa la prova che ci sono state precedenti civiltà sulla terra, o visitatori da altri mondi?

Meister fece questa non comune scoperta durante una spedizione di ricerca di rocce e fossili ad Antilope Spring, 43 miglia ad ovest di Delta, Utah.

Egli era accompagnato dalla moglie e da due figlie.La comitiva aveva già scoperto molti piccoli fossili di trilobiti quando Meister spaccò una lastra di roccia spessa più di due pollici con il suo martello e scoprì l’eccezionale impronta.

"la roccia si aprì come un libro " Meister ebbe modo poi di dire " su di un lato dell’impronta di un uomo".

I trilobiti erano piccoli animali invertebrati marini, antenati dei granchi e dei gamberetti, che fiorirono per circa 320 milioni di anni prima di incominciare ad estinguersi 280 milioni di anni fa. Si pensa che l’essere umano sia comparso tra 1 e 2 milioni di anni fa e che abbia incominciato ad indossare scarpe e sandali da solo qualche migliaio di anni.

Il sandalo che schiacciò il trilobite era lungo 10,5 pollici: il calcagno è leggermente impresso più della suola, come un’impronta di scarpe umane deve essere. Meister prestò la roccia a Melvin Cook, un professore di metallurgia dell’Università dello Utah, il quale lo avvisò che si sarebbe fatto carico di mostrare il manufatto ai suoi colleghi geologi.

L’impossibilità di trovare geologi disposti ad esaminare l’ingombrante impronta, costrinse Meister a pubblicare la notizia su un giornale locale,il "The desert news". In non molto tempo la notizia divenne di diffusione nazionale.

Il 20 luglio 1968, il sito di Antilope Spring, fu esaminato da prof Clifford Burdick, un geologo di Tucson, Arizona. Egli ben presto trovò il segno di un piede di bambino impresso in un letto di roccia.

Burdick disse:" Il segno era di circa 6 pollici in lunghezza, con le dita estese, come se il ragazzo non avesse mai calzato scarpe, le quali, al contrario, comprimono generalmente le dita. Queste invece non appaiono essere molto inarcate, e il dito grande non è prominente"

Il dottor Burdick stabilì:" Su una sezione trasversale la struttura della roccia sporge su strati fini e piani. Dove le dita pressarono nel materiale morbido, gli strati sono schiacciati verso il basso dall’orizzontale, indicando un peso che ha pressato nel fango.."

Nell’agosto del 1968 Mr. Dean Bitter, un insegnante di salt Lake city, dichiarò di aver scoperto altre due impronte di scarpe o sandali ad Antilope Spring. Secondo il prof Cook, nessun trilobite era presente in quest’impronta, ma un piccolo trilobite fu scoperto vicino alla stessa roccia, indicando che la piccola creatura marina e il viandante che girovagava con sandali ai piedi erano contemporanei.

Fonte
www.acam.it/impronta.htm
ilportaledellaverit.forumfree.it/?t=58148854
http://www.marinarossi.altervista.org/Un'impronta%20di%20500%20mila%20anni%20pag%2044.htm
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29/11/2011 02:24

Molti degli Ooparts arrivano dagli ambienti cristiani creazionisti, quindi sono da prendere con le pinze e contro pinze.

Il museo dei creazionisti

www.creationevidence.org/
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29/11/2011 10:46

Poi stranamente non vogliono che i reperti siano studiati seriamente... Non mi fiderei molto di questa gente. La scienza ha già spiegato moltissimi fatti, sono convinto che se tali reperti fossero veri avremo saputo qualcosa
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29/11/2011 10:51

Re:
Andrea.ufoonline, 29/11/2011 10.46:

Poi stranamente non vogliono che i reperti siano studiati seriamente... Non mi fiderei molto di questa gente. La scienza ha già spiegato moltissimi fatti, sono convinto che se tali reperti fossero veri avremo saputo qualcosa



Infatti Andrea tali reperti vengono usati come prova di un creatore all'interno di parecchie comunità religiose, le varie sfaccettature del Cristianesimo derivate dagli ambienti protestanti e pentecostali sono realmente incredibili anche per noi che abbiamo il Cristianesimo in casa.

Consiglio di dare un'occhiata al museo che ho citato al link precedente, se ne vedono delle belle.




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Utente Veterano
29/11/2011 13:06

Re: Re:
eone nero, 29/11/2011 10.51:



Infatti Andrea tali reperti vengono usati come prova di un creatore all'interno di parecchie comunità religiose, le varie sfaccettature del Cristianesimo derivate dagli ambienti protestanti e pentecostali sono realmente incredibili anche per noi che abbiamo il Cristianesimo in casa.

Consiglio di dare un'occhiata al museo che ho citato al link precedente, se ne vedono delle belle.








Lo immaginavo... I creazionisti non sono molto attendibili. Adirittura propongono falsi come prova del fatto che l'uomo sia sempre esistito fin dalla nascita della terra... E' assurdo
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29/11/2011 13:39

Re: Re: Re:
Andrea.ufoonline, 29/11/2011 13.06:




Lo immaginavo... I creazionisti non sono molto attendibili. Adirittura propongono falsi come prova del fatto che l'uomo sia sempre esistito fin dalla nascita della terra... E' assurdo




Non è assurdo, è normalissimo [SM=g6794]

Quando si vogliono attirare adepti e si pensa di essere nel giusto se ne vedono di tutti i colori.

«Dio li salvò dal Diluvio universale facendoli salire sull'Arca di Noè»

Quando i dinosauri vivevano con gli uomini

Aperto in Arkansas (Usa) il primo museo creazionista di scienze naturali che insegna la storia della Terra secondo la Bibbia

www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/05_Maggio/04/mus...


Il museo del creazionismo di Petersburg, Kentucky (da non perdere).





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29/11/2011 13:58

Re: Re: Re: Re:
eone nero, 29/11/2011 13.39:




Non è assurdo, è normalissimo [SM=g6794]









[SM=g1420771] Com'è possibile che vengano diffuse queste sciocchezze... Non so se ridere o piangere!
Non fatevi fregare da questa gente mi raccomando
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29/11/2011 14:05

Re: Re: Re: Re: Re:
Andrea.ufoonline, 29/11/2011 13.58:




[SM=g1420771] Com'è possibile che vengano diffuse queste sciocchezze... Non so se ridere o piangere!
Non fatevi fregare da questa gente mi raccomando



Quelle sciochezze passano sotto il nome di Religione, quindi... [SM=g6794] [SM=g8416]

Non so se conosci i deliri religiosi americani, dalle profezie di padre Camping, ai millenarismi vari, sembriamo in pieno medioevo e ci sono decine di milioni di fedeli.




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29/11/2011 15:05

per la bibbia l'uomo ha 6000 anni circa , io penso che gia' questo dato Assodato che e' falso debba far comprendere la situazione...

il museo del creazionismo e' un insulto alla scienza , ma il vero lato dolente, e' che nessuno fa' nada [SM=g2201336]


siate uomini e no' pecorelle smarrite nel bosco [SM=g1950684]
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29/11/2011 15:19

Dimenticavo il sito del museo di Petersburg dove alla modica cifra di 24$ potete fare un salto nel passato

www.creationmuseum.org/

E qua il tour virtuale.

creationmuseum.org/whats-here/photo-preview/

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